Kung Fu Panda, recensione del film animato Fox

La voracità del Panda diverte anche l'occidente! La recensione di Kung Fu Panda, film animato targato Fox.

Kung Fu Panda, recensione del film animato Fox
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Get ready to feel the Thunder!

Nella guerra di cartoonia ormai in corso da qualche anno a Hollywood, le due maggiori contendenti, Pixar e Dramworks Animation, stanno seguendo percorsi differenti dal punto di vista della qualità tecnico-artistica. La dove Pixar, magari anche a fronte di incassi domestici e worldwide inferiori, si attesta sempre su dei livelli espressivi e di know how tecnologico capaci di aumentare esponenzialmente ad ogni nuova incursione nelle sale, Dramworks alterna prodotti d’indubbio fascino autoriale, Shrek e Madagascar, ad altri estremamente più poveri, deboli e scricchiolanti come Bee-Movie e Over The Edge.
Quest’anno la battaglia delle cifre fra WALL*E (Pixar) e Kung-Fu Panda (Dreamworks) ha visto uscire vincitore il cartoon della casa fondata dal trio Spielberg-Katzenberg-Geffen.
Nato in un anno che ha visto la Cina continuamente sulle pagine dei giornali, dalla catastrofe del Sichuan, alle critiche della comunità mondiale nei confronti della repressione cinese ai danni delle varie minoranze passando per le gargantuesche olimpiadi, viene quasi spontaneo domandarsi se il successo del film sia da imputare agli effettivi ed intrinseci meriti dello stesso o ad una sorta di, magari involontaria ed inconscia, Sindrome Cinese.
Seguiteci e lo scoprirete.

I sucked more than anyone in the history of kung fu!

Per il paffutissimo Panda Po (Jack Black) il futuro riserva ben poche sorprese. Il suo destino è già stato scritto, ed è stato inciso fra i tavoli e la cucina della spaghetteria di suo padre (un’oca!). Ma campare fra tagliolini e verdure sminuzzate, non è di certo la sua massima aspirazione. Il suo sogno è quello di diventare un maestro di Kung Fu come i suoi ammiratissimi Tigre (Angelina Jolie), Mantide (Seth Rogen), Scimmia (Jackie Chan), Vipera (Lucy Liu) e Gru (David Cross) dei quali custudisce gelosamente addirittura le action figure.
Nel palazzo di Giada, sede dei suddetti maestri e del loro mentore, il severo Maestro Shi-Fu (Dustin Hoffman), non tutto va come dovrebbe dato che il leggendario Maestro Oogwai, colui il quale ha creato il Kung Fu, ha avuto una visione nella quale lo spietato e crudele leopardo delle nevi Tai Lung (Ian McShane), l’ex allievo e protetto di Shi-Fu, riusciva ad evadere dalla prigione nella quale era tenuto prigioniero. Il momento di scegliere il leggendario Guerriero Dragone, l’unico in grado di sconfiggere la furia di Tai Lung e di apprendere i segreti dell’antica pergamena, è ormai giunto, ma la scoppiettante irruzione di Po durante la cerimonia nella quale uno dei cinque maestri doveva essere incoronato guerriero leggendario, stravolge i piani di Shi-Fu. Ma d’altronde, come insegna Maestro Oogway “Nulla accade per caso”. Neanche l’apparizione di un pingue panda imbranato.

I'm not just a big fat panda. I'm THE big fat panda.

Se potessimo indossare un auricolare/traduttore tipo quello de “Guida Galattica per Autostoppisti” di Doug Adams, l' affermazione fatta da Jeffrey Katzenberg riguardo Kung Fu Panda, “Il film è una vera e propria lettera d’amore verso la cultura cinese”, suonerebbe alle nostre orecchie più o meno così “La Cina è un mercato dalle potenzialità quasi infinite, quindi perché non realizzare una bella marchetta omaggiandone la cultura?”. Facili cinismi a parte, Kung Fu Panda colpisce lo spettatore fin dalle prime sequenze iniziali, nelle quali Po sogna di sgominare armate diaboliche a fianco dei suoi ammiratissimi maestri animali. Creata in animazione tradizionale, questa tranché d'apertura si lascia contemplare per l’eleganza estetica e la cura con la quale è realizzata, tanto che riesce a richiamare sia gli spettacoli delle ombre cinesi, sia l’avanguardia dell’animazione 2d di Genndy Tartakowsky.
Quando si passa al film vero e proprio, il tratto stilizzato che ormai è tipico di certe produzioni Dreamworks, torna a farsi apprezzare, grazie a dei personaggi dalle linee essenziali ma al contempo elegantissime, capaci di connotare al meglio le peculiarità fisiche e caratteriali dei protagonisti di questa spassosa avventura. Il Panda Po, con tutto il suo carico di trippetta e pelo, strappa risate dalla prima all’ultima sequenza del film e sembra davvero di stare ad osservare un Jack Black in versione animal/digitale. In un tempo in cui il cinema per ragazzi sembra virare verso i pericolosi baratri di una “coolness” esasperata, dove sono solo i più tosti e alla moda che riescono a stare sulla cresta dell’onda (che sia il laccatissimo e plastificato Zach Efron di High School Musical o le squillo in erba delle “Bratz” il punto rimane sempre quello: solo il più figo sopravvive e non c’è spazio per il benché minimo difetto), è davvero piacevole assistere a questa fiera dei buoni sentimenti che rifugge da facili stucchevolezze e che è capace di parlare direttamente all’audience di riferimento principale, quella dei bambini, con un messaggio schietto, diretto e sincero: fregatene dei tuoi difetti, sei speciale per quello che sei e preoccupati di inseguire le tue aspirazioni (e per una volta tali ambizioni non girano intorno alla vittoria in una gara di ballo!). Il processo d’identificazione fra il buffo protagonista del cartoon e i piccoli spettatori infatti, è immediato fin dall’inizio del film in cui vediamo la cameretta del Panda piena zeppa di memorabilia dei suoi idoli delle arti marziali.
Seppur in maniera meno ricercata rispetto alle produzioni Disney/Pixar, Kung Fu Panda non mancherà di divertire anche gli spettatori più grandi, grazie al sagace lavoro registico di Mark Osborne e John Stevenson. La pellicola offre delle scene d’azione davvero lodevoli ed è piena zeppa di riferimenti ai film d’arti marziali cinesi, ormai sdoganati e stimati da tempo anche nel bel paese. Da un contrasto cromatico rubato a Once Upon A Time In China a una pioggia di frecce che pare uscita fuori da Hero, fra una partitura musicale che in certi passaggi ricorda molto da vicino Tan Dun e personaggi che si muovono leggiadri come i Chow Yun-Fat e Michelle Yeoh de La tigre e il Dragone, fra rimandi espliciti allo slapstick di Jackie Chan, che non a caso compare fra i doppiatori originali ed altri magari meno visibili alla golden age dgli Shaw Brothers e alla Golden Harvest le citazioni scorrono via leggere e di certo in modo meno arrogante e pretenzioso rispetto ad un qualche film di Tarantino.
Alla deliziosa fattura dei personaggi, si aggiunge poi una perfetta gestione dei tempi comici, soprattutto negli scambi di battute fra Po e il suo papà oca (!), saggiamente alternati ad altri più riflessivi e drammatici come ad esempio il flashback nel quale viene narrato il passato di Shi-Fu e del suo “figliastro” Tai Lung.
Elegante, come al solito, la colonna sonora firmata Hans Zimmer che, dopo le sonorità elettroniche ed essenziali di The Dark Knight, passa quà a delle sfumature orientaleggianti che sottolineano in maniera davvero adeguata i passaggi del film.
La più grande pecca del film viene dal doppiaggio in italiano del protagonista. La distributrice italiana del film ha, infatti, seguito lo stesso assioma della casa madre americana, affiliando al protagonista di Kung Fu-Panda una voce riconoscibile e famosa, Fabio Volo. La differenza non trascurabile del tutto è che, in patria, i personaggi dei film d’animazione vengono elaborati utilizzando la fisionomia e la fisicità dell’attore che presterà loro la voce. Il marketing si unisce, in maniera spesso azzeccatissima, allo stile d’animazione. Tale modus operandi diviene del tutto fallimentare nel momento in cui viene applicato al di fuori di Hollywood ed è per questo che alle soporifere prestazioni di Ale e Franz in Madagascar si aggiunge ora la follia di far doppiare il vulcanico Jack Black a Fabio Volo che, seppur pregevole come attore e showman radiotelevisivo, è del tutto inappropriato, con la sua cadenza placida e bergamasca, come doppiatore del nuovo John Belushi.

Kung Fu Panda Kung Fu Panda, seppur estremamente meno elaborato o iconoclasta rispetto ad altre produzioni Dreamworks, Shrek e Madagascar in primis, riesce comunque a coinvolgere gli spettatori, grandi e piccini che siano, in virtù di una morale, di un messaggio quasi demodè in questi anni in cui il cinema chiede a bambini ed adolescenti di essere solo ed esclusivamente “cool” e alla moda, di un character design eccellente e di una fitta rete di rimandi al cinema asiatico capace di soddisfare le voglie cinefile dell’appassionato di Jet Li and Co. Le uniche pecche vengono dal doppiaggio italiano del film, per l’esattezza del suo protagonista, e da una sceneggiatura che non offre alcuno spazio all’imprevedibilità e che, soprattutto nella seconda parte del film, sembra scivolare via verso un finale troppo affrettato. Se siete over 15, sentitevi pure liberi di togliere un mezzo punto al voto finale.

7

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