L'Europa, alla metà del '900, è un bel posto: le guerre sono un lontano, lontanissimo ricordo e le città brulicano di vita e movimento, contornate da paesaggi rurali mozzafiato, vere oasi naturali a due passi dal caos cittadino. La piccola Kiki, oramai, non è più tanto 'piccola': ha tredici anni e, come tutte le streghe, deve affrontare il suo rito di passaggio verso l'età adulta. Nello specifico, un anno di “prova sul campo” durante il quale dovrà dimostrare di essere in grado di sfruttare i propri poteri per il bene comune, assecondando la sua indole per scoprire quale, in futuro, potrà essere la sua occupazione. Si separa, dunque, dalla famiglia per andare a vivere da sola, con l'unica compagnia di un curioso gatto nero, Jiji, con il quale comunica magicamente. In viaggio sulla sua scopa volante, Kiki decide infine di stabilirsi in una bella e movimentata città costiera, dove per una serie di fortuite circostanze intraprenderà l'attività di corriere... volante!
Con Kiki - Consegne a domicilio ancora una volta Lucky Red ci delizia con la riedizione cinematografica di un capolavoro dello Studio Ghibli. E per “riedizione” non intendiamo un semplice passaggio al cinema di una vecchia versione, ma una sortita di indubbio spessore, con master audio/video di qualità e un nuovo doppiaggio/adattamento, più rispettoso e meno invasivo della precedente (e oramai introvabile) edizione Disney.

Kiki - Consegne a domicilio è uno dei film ingiustamente più sottovalutati della filmografia miyazakiana, scomodamente incastrato tra i ben più noti Il mio vicino Totoro e Porco Rosso. Eppure, merita assolutamente di essere visto e rivalutato, per tutta una serie di motivi.
Innanzitutto al film -tratto dal romanzo omonimo di Eiko Kadono- hanno lavorato quasi tutti i talenti più grandi che abbiano prestato servizio presso lo Studio Ghibli: dall'invincibile Miyazaki (qui regista, sceneggiatore e produttore) all'altrettanto grandioso Isao Takahata (qui in veste inusuale di direttore del suono), dal produttore storico dello studio Yasuyoshi Tokuma al magnifico musicista Joe Hisaishi, passando per l'inconfondibile tratto di Katsuya Kondō. Tutti insieme per dimostrare che si può realizzare qualcosa di magnifico in meno di due anni di lavorazione, di cui uno condiviso con Totoro, se all'arte si mescola la passione e la tecnica.
Kiki vanta tutti i temi classici dello Studio Ghibli -il rapporto dell'uomo con la natura, la formazione dei giovani, le dinamiche della crescita, la valorizzazione del ruolo della donna- inserendoli però in una storia meno avventurosa e più quotidiana di molte altre dello studio (Laputa, Nausicaä etc.) avvicinandosi alla tematica del quotidiano che avrà una sempre maggiore importanza nei lavori di Miyazaki, Takahata e tutti i loro discepoli (vedasi I sospiri del mio cuore, I miei vicini, gli Yamada o La collina dei papaveri).
In Kiki è presente un elemento fantastico, certo, ma serve unicamente da contrasto per far notare lo straordinario nell'ordinario e l'ordinario nello straordinario. Vedere una streghetta svolazzare per la città non incute timore agli abitanti della cittadina, anzi, ma i progressi della scienza, quelli sì che sono straordinari e lasciano a bocca aperta! Allo stesso modo, per Kiki è normale volare e interloquire con un gatto parlante, ma è, invece, un'incredibile avventura traslocare, trovarsi un lavoro e degli amici, fare una folle corsa in bicicletta. Un'apologia della scoperta delle piccole-grandi cose della vita che ritroviamo spesso nella filmografia ghibliana e che tanto fanno sognare anche il pubblico europeo che idolatra personaggi come Amélie Poulain. Il tutto, naturalmente, costellato dei piccoli dolori della crescita interiore della protagonista, comuni, in fondo, a tutti, che deve ritrovare la fiducia in se stessa e le giuste motivazioni per tornare a volare e trovare l'ispirazione, come del resto la sua amica pittrice, incarnazione specchiata e priva di poteri magici nella quale possiamo, a nostra volta, specchiarci noi.