Jurassic World: Il Dominio Recensione, la conclusione dell'Era Giurassica

Arriva in sala il capitolo conclusivo della trilogia di Colin Trevorrow, radunando vecchie e nuove glorie del franchise ma senza particolare entusiasmo.

Jurassic World: Il Dominio Recensione, la conclusione dell'Era Giurassica
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È una questione di firma. E Colin Trevorrow una firma non ce l'ha. Difficile surclassare l'imprescindibile Jurassic Park del '93 diretto dal maestro Steven Spielberg, ma non impossibile lasciare la propria impronta nel franchise, qualcosa di riconoscibile. Lo ha dimostrato anche Juan Antonio Bayona nel sottovalutato Jurassic World: Il Regno Distrutto (e la nostra recensione di Jurassic World Il Regno Distrutto ne è testimonianza), giocando con il genere horror e confezionando uno dei capitoli più autoriali della saga, ma Trevorrow no. Il suo Jurassic World del 2015 riusciva a sfruttare bene e con intelligenza il concept dell'apertura del parco sognato dal compianto Hammond, mettendo insieme tensione e divertimento in un film capace di coinvolgere e intrattenere al meglio delle sue possibilità. Di fatto, però, mancava la sua impronta, uno o più elementi in grado di rendere distinguibile l'opera, blockbuster di successo senza particolari qualità cinematografiche, di concreto risalto.

Un buon mestierante, Trevorrow, che scompare però tra fan service ed esigenze di botteghino, soprattutto in questo Jurassic World - Il Dominio, sulla carta ultimo ed epico capitolo del franchise, summa di passato e presente di una proprietà intellettuale da miliardi di dollari e milioni di fan in tutto il mondo. Non riesce purtroppo nel suo intento - non del tutto - e sfrutta spesso gli assi nella manica in modo superficiale, tornando a reiterare situazioni già assaporate e di gusto ormai preistorico, cadendo poi nella stretta maglia della nostalgia.

Tutti insieme appassionatamente

Quattro anni dopo la distruzione dell'Isola Nublar e l'outbreak dei dinosauri nel mondo contemporaneo, la società umana si trova costretta a una convivenza forzata con queste creature. Il prologo concepito sotto forma di documentario riassume molto bene la situazione e apre ai diversi fronti in campo, che di base sono due.

Il primo vede Owen Grady e Claire Dearing crescere insieme un'ormai adolescente Maisie Lockwood, primo clone umano della storia e perno centrale del racconto. Nel secondo, la dottoressa Ellie Sattler unisce le forze con il vecchio compagno, amico e collega Alan Grant e il carismatico Ian Malcolm per smascherare i piani di una pericolosa multinazionale. Il Dominio mette subito in chiaro il suo respiro più giramondo con l'incedere della storia, passando dalle montagne innevate del nord degli Stati Uniti a Malta e poi fino alle Alpi Italiane. Un film grande che vuole mostrare di esserlo, soprattutto nel secondo atto, ma che deve inevitabilmente fare i conti con alcuni punti focali dall'intreccio e con i personaggi in campo. Da una parte l'evolvere del fronte Grady ci porta fin dentro alle gialle mura de La Valletta, in una sorta di underground malavitoso dove i dinosauri sono intrattenimento e merce pregiata, dall'altra quello Sattler diventa una strana commistione tra spy, heist movie e commedia che non lascia quasi mai soddisfatti o sorpresi. La coralità dei protagonisti viene mitigata dalla scelta di suddivisione degli archi narrativi, dove l'azione è al servizio dei "più giovani" mentre la ricerca è rimessa ai "più vecchi".

Il ritmo si mantiene incalzante e il film non soffre di particolari momenti di stanca ma è come se non sapesse come comportarsi, cosa scegliere prima, a cosa dare più importanza e cosa pensare per sorprendere. E infatti non riesce quasi mai a entusiasmare a pieno regime salvo qualche sequenza ben ideata, citando qua e là il passato e anche alcune glorie cinematografiche come Indiana Jones. La parte più dinamica e adrenalinica è sicuramente Malta, quella più stancante la lunga re-introduzione dei protagonisti nel primo atto. Fa poi sicuramente piacere rivedere i volti di Laura Dern e Sam Neill all'interno della saga che hanno contribuito a rendere leggendaria, ma non c'è reale emozione, non c'è curiosità, non c'è totale trasporto nei loro confronti, oltre ogni forma di bene plausibile.

Restano comunque l'anima della serie e i volti fondanti e unici della stessa, così come il mitico Jeff Goldblum, che torna ancora una volta a essere grande mattatore della scena. Chris Pratt prosegue invece il suo percorso da uomo d'azione a tutto tondo (c'è un inseguimento in moto con i dinosauri davvero spettacolare) e continua a convincere in questo senso anche Bryce Dallas Howard, specie quando si tratta di restituire al pubblico terrore e tensione (la scena del lago), eppure la cura del dramma non sembra essere amica della penna di Trevorrow e di Emily Carmichael nemmeno in questo film.

Un futuro diverso

Al netto di promesse di grande epicità e di un capitolo conclusivo differente, la verità è che, per quanto in effetti più globetrotter, Jurassic World - Il Dominio non riesce a valorizzare al meglio il suo grande potenziale, riducendolo via via sempre più. Il respiro più ampio e il concept iniziali vengono infatti ridimensionati con furbizia così da riportare lo status quo cinematografico a un nuovo punto di partenza, re-inventandosi con astuzia per reiterare con perseveranza soluzioni ormai note che è forse tempo di superare.

Non c'è alcun gioco di genere come sperimentato da Bayona con il suo brillante re-take di Nosferatu a tema dinosauri in una particolare sequenza di Jurassic World Il Regno Distrutto e, a parte qualche sequenza davvero avvincente (le abbiamo citate poco sopra), il film ha poco da aggiungere a quanto in verità già detto e ripetuto nei cinque capitoli passati, che si tratti della legge del caos o della necessaria convivenza tra specie. La tematica della clonazione umana viene schiacciata sotto il peso dell'inadeguatezza del mezzo commerciale tout court, che predilige per forza di cose l'intrattenimento o il fanservice al coraggio della profonda esplorazione dell'argomento, lasciandolo lì, affrontandolo senza colpo ferire.

Allo stesso tempo le motivazioni di alcuni nuovi personaggi lasciano il tempo che trovano sia sul fronte aiuto che pericolo, ma rientra tutto nelle stringenti richieste Universal, nelle tante esigenze da rispettare e nei troppi compromessi a cui scendere, soprattutto per un capitolo conclusivo come questo. E tutto sommato il Dominio riesce a tirare le fila di una saga lunga tre decenni con una certa bontà mainstream e una coerenza di fondo evidente, al netto di continui cambi di pelle e di regia.

Sembra quasi una costante delle nuove produzioni a maxi budget hollywoodiane: la capacità di deludere premesse, promesse e aspettative (guardando ad esempio anche al nuovo corso di Star Wars), e quest'ultimo Jurassic World non fa specie. Magari il futuro porterà con se nuovi orizzonti da esplorare, forse più arditi e magari più originali, ma questo de Il Dominio è il finale che ci è stato consegnato, non un meteorite infuocato e distruttivo come ci aspettavamo ma una pietra accomodante lanciata nello stagno cinematografico senza particolare riverbero.

Jurassic World: Dominion Jurassic World: Il Dominio si fa summa concettuale e contenutistica del passato e del presente del franchise, risultando nostalgico e accomodante. Reitera con insistenza situazioni e idee che non aiutano la vena originale del racconto, aprendosi prima a un respiro più giramondo e avvincente per poi tornare a chiudersi su stesso, quasi ripartendo da zero. Il ritorno di Alan Grant, Ellie Suttler e Ian Malcolm è sicuramente un valore aggiunto del film, che però non viene sfruttato al meglio del suo potenziale, a volte trattato anche superficialmente rispetto all'arco narrativo dedicato ai più novizi Owen Grady e Claire Dearing, molto più action, frenetico, appassionante e divertente. Stretto nella morsa delle esigenze produttive e del fanservice, Trevorrow dimostra di non avere ancora una firma decisa e coraggiosa, che sappia regalare anche emozioni e soddisfazioni, una chiara idea di cinema (pure se commerciale), oltre a qualche bella e sporadica sequenza. Non c'è ispirazione e non c'è grinta ma solo un capitolo conclusivo che tenta di fare bene come può, a volte riuscendoci, altre no. Il dominio sulla saga resta di Steven Spielberg.

6.5

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