Recensione Jimi: All Is By My Side

John Ridley debutta alla regia con un solido biopic che racconta gli inizi della carriera del leggendario Jimi Hendrix

Recensione Jimi: All Is By My Side
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Il leggendario Jimi Hendrix è uno di quegli artisti che non necessitano di presentazioni. Considerato come uno, se non il più grande chitarrista della storia della musica, l'autore di canzoni come Purple Haze e The Wind Cries Mary ha lasciato il segno nel 1967, a soli 24 anni, nel leggendario concerto di Monterey dove diede fuoco e poi distrusse la sua chitarra. Un concerto impresso su pellicola da un maestro del direct cinema, Donn Alan Pennebacker (che già aveva seguito un altro grande della musica, Bob Dylan, nel suo tour inglese) nel suo Monterey Pop del 1968 e in Jimi Plays Monterey del 1986. Proprio per questa ragione il Jimi: All is by my side di John Ridley non vuole raccontare quel concerto ma preferisce soffermarsi sull'ascesa di Jimi Hendrix, dai suoi inizi con Curtis Knight quando ancora si faceva chiamare Jimi James fino alla formazione della sua band The Jimi Hendrix Experience. Fulcro centrale di questa evoluzione musicale sarà l'incontro con la modella Linda Keith, ai tempi nota per essere la fidanzata del chitarrista dei Rolling Stones, Keith Richards (il quale scrisse per lei la bellissima Ruby Tuesday). Ma più di tutto il film riesce ad essere un ritratto fedele di Jimi, a detta soprattutto di chi lo ha conosciuto, raccontandone le geniali capacità musicali ma anche le contraddizioni che caratterizzano ogni essere umano.

Swinging London

Jimi Hendrix (interpretato dal cantante degli Outkast, André Benjamin, noto anche come André 3000) sopravvive facendo il turnista per alcuni gruppi e suonando in fumosi locali dove nessuno lo ascolta. Proprio in uno di questi incontra la modella Linda Keith (Imogen Poots) che si accorge del talento di quel giovane, forse proprio per la vicinanza con un altro grande chitarrista, Keith Richards, di cui è la fidanzata. L'incontro tra i due segna così l'inizio di una relazione che porterà il chitarrista dall'altra parte dell'oceano, in Inghilterra alla conquista di Londra, grazie anche all'aiuto del manager Chas Chandler, ex-bassista degli Animal. Nella Swinging London, il chitarrista ventireenne, incontrerà una rossa esplosiva, Kathy (Haley Atwell) che gli starà sempre accanto; un attivista per i diritti dei neri, Michael X, ma, soprattutto, incontrerà la droga, che se lo porterà via a soli 27 anni, nel 1970, in seguito ad un mix di allucinogeni e tranquillanti.

Foschia Viola

Come nasce una leggenda? Da questa semplice domanda il regista John Ridley parte per la costruzione del suo personale biopic su Jimi Hendrix. Chi era Jimi prima del concerto di Monterey che lo consacrò nel mondo della musica? Il film si sviluppa così su binari radicalmente diversi da ciò che forse ci si poteva aspettare da una biografia sul musicista. Non una mera trasposizione della sua vita, dall'inizi della carriera fino alla morte, ma un'analisi più approfondita di un solo anno, il 1966, quando Jimi è partito letteralmente alla conquista musicale di Londra, facendosi strada prima nel mondo underground e poi in quello mainstream, incontrando personaggi altrettanto leggendari come i Beatles ed Eric Clapton (che in un'emblematica scena del film dopo averlo sentito suonare esclama "è davvero così bravo?!?", diventando una delle poche persone capaci di comprendere a fondo il genio dell'artista). Un film che lascia poco spazio alla musica di Hendrix -non diventando così un lungo e banale videoclip- ma qualcosa di più profondo. Proprio grazie alla colonna sonora, vero punto forte dell'intera opera, che si trasforma di volta in volta in base alla situazione, diventando un vero e proprio tappeto sonoro che accompagna le immagini, qui in modo dissonante e distorto, là in modo gradevole e quasi sinfonico.

Jimi: All Is By My Side Al suo debutto cinematografico, il produttore e sceneggiatore di 12 anni schiavo, sforna un solido biopic che racconta gli inizi della carriera di un grande artista. Registicamente Ridley riesce anche a tirare fuori dal cilindro dei momenti alquanto particolari, riuscendo a mischiare presente, passato e futuro in alcune sequenze (come quella della telefonata al padre, che da flashback si trasforma in cupo presagio grazie alle surreali immagini che si susseguono durante il dialogo). L'unica pecca del film rimane la sceneggiatura, che non riesce a convincere fino in fondo risultando a tratti banale, soprattutto nella seconda parte. Ciononostante il film rimane un tassello importante per la (ri)scoperta di uno dei migliori interpreti della storia della musica moderna.

6.5

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