Creatura ibrida e particolare, questo Jesus Rolls di e con John Turturro, che purtroppo ci ha convinto davvero poco. Per chi non lo sapesse, l'eccentrico e viscido Jesus Quintana non è un parto della mente dei fratelli Coen, che invece lo hanno "rubato" (spiega ironicamente il regista) da una commedia teatrale del 1988 sempre interpretata da Turturro. È insomma interamente farina del suo sacco e voleva riappropriarsene per declinarlo nel suo personale ideale di cinema, riproporlo al pubblico attraverso uno sguardo più intimista e narrativamente astratto. Dato che si definisce "un pazzo", non lo ha fatto costruendo uno spin-off de Il Grande Lebowski (con cui il film non ha assolutamente nulla a che vedere) ma girando quello che in sostanza è un remake diretto della commedia I santissimi di Bertrand Blier del 1974, in modo dichiarato e visibile.
La storia è dunque la stessa, pur cucita addosso ai pochi spunti caratteriali che costituiscono la personalità di Jesus. Il mitico giocatore di bowling è infatti appena uscito dal carcere dopo una condanna per "offesa al pudore" e vuole tornare a godersi la libertà insieme all'amico fraterno Petey, interpretato da un Bobby Cannavale particolarmente simpatico.
Nel farlo rubano una macchina, una pistola e sequestrano l'assistente anorgasmica (Audrey Tautou) di un egocentrico parrucchiere (Jon Hamm), girando per lo stato di New York senza meta, cercando di capire insieme cosa significhi in fondo essere liberi, padroni del proprio destino, tra sessualità fluida, piccoli crimini e reciproche scoperte umane.
Teneramente vecchio
Sembra proprio rimasto a cinquant'anni fa, Turturro, in quanto regista. Se la commedia grottesca e seminale dei fratelli Coen inventava o ripensava un linguaggio grottesco intelligente fatto di situazioni assurde e al limite del ridicolo, con protagonisti ben caratterizzati e decisamente sopra le righe (compreso Quintana), Jesus Rolls in quello stesso stile ci sguazza senza idee, tuffandosi di pancia e incapace di tornare poi a galla, ristagnando in un concept vetusto, stantio, semplicemente datato.
La promozione ci ha messo del suo per venderci il film come uno spin-off di Lebowski inserendo il fuorviante riferimento al bowling nel poster, quando poi c'è appena un accenno alla grande passione di Quintana e a quel suo piglio stravagante nel leccare la palla e fare sempre strike. Quello è il solo punto di contatto con il titolo del 1998, perché tutto il resto viene da Blier e dunque da un linguaggio cinematografico francese fino al midollo, per giunta intriso della stessa ironia.
Jesus, Petey e Marie sono un piccolo nucleo familiare disfunzionale che condivide tutto, si tratti di sesso, soldi o cibo. Siamo dalle parti del road movie alla Kerouac e quelle vibrazioni tipiche della beat generation: l'ardente desiderio, una proseguire priva di ostacoli, il senso stesso della vita che viene fuori un incontro dopo l'altro, un luogo dopo l'altro.
Peccato che Turturro abbia scelto di sfruttare per questo remake tutt'altro che riuscito un'icona cult come Quintana, certo togliendo ogni dubbio (anche con piglio brillante) sulla sua presunta e a lungo dibattuta pedofilia e mostrandolo in tutta la sua bizzarria ma girando un film che ruota su se stesso e intorno a mille stereotipi razzisti e sessisti - per giunta -, imitando attivamente Blier ma dimenticandosi forse del background storico contemporaneo.
Il prezzo della libertà
Si vanno a formare innumerevoli quadretti narrativi: il furto dell'auto, la sosta in una casa occupata, la ricerca "della donna perfetta". In ognuno di essi viene messa al centro del dialogo la relazione tra uomo e donna ma anche tra uomo e uomo, attraverso questo rapporto alla Don Chisciotte e Sancho Panza tra Jesus e Petey e di quello che i due hanno con Marie. Tutto sfocia sempre velocemente nell'espressione sessuale, mettendo anche spesso e volentieri in scena l'atto come emblema di libertà. C'è poi questa visione instupidita dell'uomo eterosessuale che pensa di potere insegnare tutto alla donna, anche come essere donna, a provare un orgasmo mai raggiunto. Le rispettano e le amano ma non le comprendono e si credono superiori, cercando in continuazione di portarle a letto pur muovendosi con dolcezza (se così vogliamo chiamarla). Misura di questa tenerezza e delicatezza la dà il personaggio di Susan Sarandon, che è il solo a subire un'evoluzione importante all'interno del film, in un minutaggio paradossalmente ristretto. Jesus, Petey e Marie continuano invece a ripetere gli stessi schemi e comprendere infine come alcune scelte del libero arbitrio, fuori da ogni logica sociale e civile, possano ripercuotersi contro di loro.
È palpabile e comprensibile il discorso sulla libertà e tutto il gioco di specchi emotivi che Turturro ha voluto riproporre in Jesus Rolls, ma di base è tutto fin troppo stucchevole e sospeso in una dimensione chiusa su se stessa, finita ancor prima di cominciare. Uno stanco ripetersi di situazioni che non trova mai veramente l'interesse dello spettatore, perché parla di vita in senso libertino e fin troppo superficiale, creando persino un forte senso di angoscia per il viaggio senza destinazione dei protagonisti.
Quello di Jesus Rolls è un modo di affrontare l'esistenzialismo davvero fine a se stesso, che trasforma l'ironia in disagio, il sesso in unico strumento dialogico e la libertà in condanna, tutto in senso quasi assoluto, senza ammettere dibattito. Un film ingenuo, a tratti persino volgare cercando di mascherare tutto con toni fiabeschi, finta dolcezza e sonorità latine che non fanno altro che aumentare l'affanno di una visione che forse era meglio evitare.
John Turturro si riappropria del personaggio di Jesus Quintana per declinarlo nel suo ideale di cinema, confezionando un particolare ibrido tra spin-off de Il grande Lebowski e remake de I Santissimi di Bertrand Blier. Ne viene fuori un titolo che parla di libertà in senso assoluto, concentrandosi sulle relazioni tra uomo e donna e uomo e uomo, in un afflato di fluida sessualità che sfocia spesso nel grottesco e nel volgare. È un titolo dal spore stantio, dall'estetica vetusta e dal contenuto tutt'altro che brillante e condivisibile, al netto di alcuni momenti divertenti o delicati sempre e comunque fini a se stessi. Vive in una dimensione ormai superata e chiusa in se stessa e non tiene per nulla conto del background storico contemporaneo, risultando persino ingenuo, sciocco, fuori luogo. Le interpretazioni di Turturro, Bobby Cannavale e di Audrey Tautou sono comunque divertite e intense, così come la parte dell'ottima Susan Sarandon, ma non bastano a salvare un titolo rimasto fermo a cinquant'anni fa, con un ideale "alla Kerouac" decisamente superato.