Jackie: la recensione del film con Natalie Portman

Pablo Larraìn torna la cinema, raccontando uno spettacolare dualismo in continuo movimento negli occhi di Natalie Portman.

Jackie: la recensione del film con Natalie Portman
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Stanze: pareti, tendaggi, letti, poltrone, porte, corridoi infiniti e poi ancora pareti, tendaggi, letti. La Casa Bianca è un dedalo infinito di luoghi, grandi e piccoli, in cui esistere in maniera effimera. Nessun presidente si ferma in quel luogo per più di otto anni di tempo massimo, e una First Lady è sempre pronta a fare le valigie. John F. Kennedy in quelle labirintiche stanze fatte di pareti, tendaggi, letti scelti da sua moglie ci è rimasto solo per due anni e mezzo, fino al 22 novembre 1963: Jackie a fare le valigie però non è pronta, e tutto ciò che ha di ritorno dal viaggio a Dallas non è altro che un abito di sangue in un mare di corridoi vuoti che improvvisamente, dopo due spari, non le appartengono più. Tutto ciò che le appartiene è la memoria di suo marito, e la consapevolezza di doverne fare qualcosa, qualsiasi cosa, purché esista. In questo spazio tra il lacrerante dolore privato e il dovere istituzionale, essere e apparire, realtà e performance esiste la Jackie di Pablo Larraìn in Natalie Portman, impostata e confusa, reale e costruita, madre e prima donna. Larraìn la segue in quei primi passi spaventosi in solitaria, un labirinto fisico e mentale che diventa cieco e sordo, estraneo, necessariamente bloccato sia a livello emotivo che coercitivo. In questa ingombrante tragedia già passata ma mai così presente Jackie si ricostruisce davanti ai nostri occhi, lava via il sangue e ristruttura l'immagine pubblica prima ancora di quella privata, facendosi icona del dolore e donna nell'incertezza.

For one brief shining moment that was known as Camelot.

Chi è Jackie? Ha amato Jackie? È mai stata amata, Jackie? Pablo Larraìn tenta di scavare nella donna durante la costruzione del mito seguendola in quei corridoi e negli spazi angusti, chiusi della sua mente, ma tutto ciò che ne ricava è ancora più ombra e mistero. In quei cinque drammatici giorni dopo l'attentato le due anime di Jackie si rincorrono e si fondono definitivamente, il pubblico diventa privato e il privato diventa pubblico, a volte in maniera maldestra, a volte semplicemente perché non potrebbe essere altrimenti. Jackie costruisce la sua stessa tragedia con la meticolosa attenzione che ha utilizzato per scegliere pareti e tendaggi, in un ultimo show che consegna al mito suo marito e transitivamente lei; perché perdere un Presidente è come perdere un padre e in quel momento lei, madre di tutti gli americani, abbraccia il popolo - facendo contemporaneamente un passo indietro e uno in avanti nei confronti della sua esistenza. In questo spettacolare dualismo in continuo compimento Pablo Larraìn inserisce la sua parabola, che non riguarda il patriottismo americano (e come potrebbe, d'altronde) né tantomeno lo svelamento di una figura a cui al contrario regala ulteriori pennellate di tenebre, avvolgendola in una foschia impenetrabile perfino per lui stesso. Ciò che interessa a Larraìn al contrario sembra essere una donna costantemente al secondo posto, sempre "seduta accanto": sono i suoi occhi a farla da padrone, incastrati in struggenti primi piani senza paura né vergogna, che rivelano un lacerante dolore e una granitica compostezza con la stessa assoluta intensità. È il suo punto di vista per lui quello davvero importante, perfino in quegli spari, in quel momento. Lei è al centro ed è tutta nella fragilità composta di una meravigliosa Natalie Portman, la First Lady della filmografia del regista cileno - che fino ad oggi ha sempre preferito gli uomini come protagonisti - instancabilmente convincente in ogni istante e in ogni sguardo. Il primo passo di Larraìn verso Hollywood è attento, ragionato ma non certo meno convincente: al contrario appare rigoroso e strutturato proprio come un manichino, come la sua protagonista. Non c'è spazio per la passionale poesia di Neruda, né per l'agghiacciante e sentito dolore di El Club. C'è spazio solo per una donna, per il suo modo di evolversi nel comunicare attraverso il momento più drammatico della sua vita, e la sua capacità di creare lei stessa, nell'ombra, "one brief shining moment that was known as Camelot".

Jackie Il primo passo Hollywoodiano di Pablo larraìn si spoglia della sua esuberante passione ma evolve in comunicazione compiendo lo stesso percorso di Jackie, la sua protagonista. Il regista cileno rimaneggia la storia americana spostando il focus e regalando il punto di vista ad una donna che, in cinque giorni, consegna il marito alla memoria collettiva e si fa portatrice di un mito che diventerà eterno, di fatto segnando l'inizio della più grande dinastia americana. Fascino, dolore lacerante, studiata compostezza: negli occhi di Natalie Portman e nelle sue movenze c'è tutto, per un ensemble che non solo funziona ma che a suo modo è destinato a fare la storia di uno dei personaggi più misteriosi d'America.

8

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