J-Hope in the Box, recensione: viaggio in un cammino da solista

Credendo basti solamente impostare la telecamera, J-Hope in the Box è un reportage che dice assai poco sull'importante percorso da solista del cantante.

J-Hope in the Box, recensione: viaggio in un cammino da solista
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Lo avevamo detto con la recensione di Blackpink The Movie, lo confermiamo con J-Hope in the Box, da febbraio 2023 nel catalogo Disney+. Ci sono alcuni prodotti, soprattutto legati a fenomeni del momento, che non hanno molto senso d'esistere se non per il semplice fatto di essere seguiti in quanto tali, a prescindere dall'effettiva qualità con cui i loro soggetti vengono ritratti. Contenitori che servono solamente a realizzare il prossimo prodotto da poter vendere, così da aumentare l'interesse dei fan, senza realmente offrire loro qualcosa in cambio. Illudendoli di poter avere ogni volta materiale degno e sostanzioso con cui poter alimentare ancora di più la propria fame di conoscenza sul suddetto talent o sulla sua visione artistica, o anche semplicemente sperando di uscirne più arricchiti di prima.

Quando al reportage manca la sostanza

Lo abbiamo visto anche nella recensione di Sento ancora la vertigine sulla figura di Elodie, che al contrario di esaltare la personalità e la carriera della cantante, ampliatasi nel 2022, ne ha solamente riempito un piccolo vuoto con cui gli appassionati si sono potuti accontentare dopo la fine di Sanremo e la release del nuovo album.

Una sorta di strascico a cui tenersi stretti pur di avere ogni giorno qualche perla nuova sul proprio artista preferito. Ma che la maggior parte delle volte si rivela solamente un guscio vuoto, privo della qualità o della consistenza al suo interno. Ciò avviene anche con J-Hope in the Box portando addirittura tale operazione all'estremo. Se in verità avrebbe potuto rivelarsi davvero interessante seguire il percorso da solista di uno dei componenti dei BTS, quello che tenta di essere un mal riuscito documentario è solamente un reportage di video spezzettati e messi insieme l'uno con l'altro, per ritrarre sia la vita privata che professionale del cantante. Eppure di autentico non c'è mai niente e, se è per questo, nemmeno di costruito. Questo perché si pensa che basti puntare una telecamera addosso al protagonista su cui ci si vuole concentrare per rendere dinamico e immersivo un prodotto audiovisivo.

Dimenticandosi che ci sono delle regole o delle direttive che sarebbe il caso di seguire, o almeno di provare a farlo. Non dare per scontato che basti la sola presenza della star per far vivere di luce riflessa la materia che verrà poi riprodotta su qualsiasi tipologia di schermo, grande o piccolo che sia. Il dare dignità alla costruzione di un reportage che deve saper restituire rispetto tanto a coloro che vengono inquadrati, quanto a chi si pone a osservarli. Non pensare che basti l'idea di riprendere qualcuno per raccontare una storia, anche quando la si vuole più spontanea e veritiera possibile.

Dal gruppo al percorso da solista

Mancando di qualsiasi punto d'attrazione se non quell'unico fulcro che è J-Hope, senza nessuna narrazione a sorreggerlo, il documentario sul cantante dovrebbe, eppure non rappresenta a dovere l'importante salto fatto dall'artista partendo dalla band coreana fino al suo primo album e spettacolo da solista. L'esplorazione di un tragitto per la realizzazione di un obiettivo di cui sarebbe stato il caso di indagare bene il significato emotivo e personale, nonché professionale, ma che si limita a venire esposto solamente tramite alcuni stralci di clip in cui il cantante parla direttamente alla telecamera.

Un aggiungere poi sequenze di prove, sessioni musicali, momenti di esibizioni dal vivo e tante, tante, tante inutili soste o camminate. Se J-Hope voleva mostrarsi per ciò che è realmente, restando "In the Box" non c'è affatto riuscito a causa di un progetto banale e inconcludente he sa dire molto poco rispetto alla sua musica. L'unica che può davvero rappresentarlo e in cui dimostra di saper rivelare al meglio se stesso.

J-Hope in the Box J-Hope in the Box è un altro esempio di come si crede debbano essere i documentari, non riuscendo mai nell'intento di realizzarli adeguatamente. Seguendo il cantante, ma non costruendo una base solida nella narrazione del suo passaggio da membro dei BTS a solista, il reportage è solo un insieme di clip incollate l'una con l'altra in cui traspare poco dell'animo privato e professionale dell'artista. Un prodotto alquanto vacuo, che offre una visione parziale a fan e spettatori su quello che è un momento di grande tensione e emozione per il suo protagonista.

4.5

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