Recensione Itaker - Vietato agli italiani

Un film che narra le difficoltà degli emigrati italiani nella Germania degli anni '60

Recensione Itaker - Vietato agli italiani
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Mentre ancora vagano per la mente le voci e le immagini di un festival capitolino che ha premiato (inondato dalle critiche) il cinema nostrano più controverso, ecco arrivare nelle sale Itaker - Vietato agli Italiani, un prodotto esattamente agli antipodi. Itaker è una coproduzione italo-rumena e il primo film che subirà gli effetti benefici di quello che oramai può essere ufficialmente definito come il post-franchismo (cinematografico), un fenomeno che senza ombra di dubbio rileggerà il cinema italiano ancora da venire (ma a buon bisogno anche quello passato) con un termine di paragone così basso da illuminare anche le produzioni più mediocri. E, infatti, l'opera prima di Toni Trupia (un lavoro sotto tutti i punti di vista onesto) è stata accolta all'anteprima stampa con un lungo e vigoroso applauso che premia il gusto della sobrietà di un racconto storico e sociale che non brilla per originalità, ma che è intriso di quella dignità e di quel rispetto che andrebbero sempre riconosciuti alla Settima Arte. Itaker, termine che in Germania indica gli ‘italianacci', da un gioco di parole tra Italia e Itaca, e che rimanda a un popolo di giramondo, di vagabondi, è una storia ambientata a cavallo tra l'Italia e la Germania degli anni '60 e che segue quel flusso migratorio che vide molti cittadini italiani trasferirsi nella vicina terra tedesca in cerca di prospettive di vita migliori (o diverse). Il punto di vista è (come spesso accade in questo genere di film) portato ad altezza bambino, e sfrutta gli occhi ancora ingenui e tutto sommato sognanti di un piccolo italiano di soli nove anni che (ormai senza madre) si ritroverà in Germania in cerca di un padre di cui sembrano essersi perse le tracce. Ad affiancarsi al viaggio personale di Pietro, ci sarà la figura del giovane Benito Stigliano (anch'egli emigrato e in cerca di un riscatto personale) divenuto padre occasionale prima e vocazionale poi, in un breve ma intenso percorso di formazione attraverso il quale sia il piccolo sia il grande uomo riusciranno a carpire un piccolo frammento della loro (multipla) identità.

Quando l'emigrazione scalfisce l'identità

Ancora una storia che parla di emigrazione e di interculturalità sofferte soprattutto da chi (lontano da casa e privo di una vera identità) è costretto a barcamenarsi in società ostili che tendono a etichettare lo straniero con una serie di termini dispregiativi (Itaker, in questo caso) utili a esacerbare il senso di solitudine e estraneità in luoghi che parlano lingue il più delle volte - e a più livelli - incomprensibili allo 'straniero'. A questo tema si somma quello di una paternità delegata che fa fatica ad accettare la propria responsabilità ma che (nello stesso tempo) non riesce a rinnegarla. Così, anche dietro l'apparente ostilità di Benito nei confronti di Pietro e dietro la sua apparente voglia di ‘disfarsi del piccolo fardello' si agita comunque il guizzo umano di una solidarietà umana (prima ancora che paterna) che non può restare inascoltata. Il siciliano Toni Trupia sceglie per la sua opera seconda una storia in cui corrono parallele l'attrito e la vicinanza umane, restituendo quel caleidoscopio di colori affettivi che da sempre contraddistinguono l'esistenza dell'uomo, in pace così come in guerra. L'imprinting di Itaker è quello fluido e scorrevole delle serie televisive, con una storia portante e molte ramificazioni a seguire le storie collaterali, e che (come nelle produzioni per la tv) non ha l'obiettivo di scavare a fondo nelle storie, ma solo di creare uno spaccato storico-sociale di un contesto-specchio del ripetersi della storia. Sobrio ed efficace dal punto di vista registico, dignitosamente recitato (bravi Francesco Scianna e Nicola Nocella, ma soprattutto il piccolo Tiziano Talarico) e ben fotografato nella polverosità di vite che ruotano attorno ai fumi della fabbrica di Bochum, Itaker è quanto di più onesto ci si possa aspettare da un cinema italiano che (mai come ora) sembra essere in piena crisi di identità. Forse un po' troppo 'classicheggiante' e omologato, ma (quando non si è in grado di uscire dagli schemi con cognizione di causa) allora evviva una sobria omologazione!

Itaker - Vietato agli italiani Storia di emigrati Italiani in una Germania ostile, come ostili appaiono tutte le terre straniere agli occhi di un immigrato sradicato dalle proprie origini. Toni Trupia confeziona un film che affronta il tema della 'dislocazione umana' in maniera non particolarmente penetrante, ma sgranando le emozioni attraverso gli occhi di un bambino solo, costretto a scegliere il proprio destino. Un film dignitosamente sobrio nella rappresentazione di un conflitto sociale e interiore che brilla ancora di più in un panorama italiano che attualmente pecca invece di anarchia linguistica e contenutistica.

7

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