Recensione Io sono Li

Una storia d'amore tra culture diverse sullo sfondo dell'attualità

Recensione Io sono Li
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Sullo sfondo opaco e nebbioso di due differenti realtà italiane - il gigante Roma e la bambina Chioggia - Andrea Segre sceglie di percorrere, con il suo secondo lungometraggio, una strada abbastanza perpendicolare a quella percorsa da molti suoi colleghi con le loro opere prime e non.
Adottando uno stile registico e di narrazione che potrebbe far risorgere alla memoria l’ultimo Gianni Amelio - quello di La stella che non c’è con Castellitto - il regista veneto attinge dall’attualità per raccontare la storia di Shun Li (Zhao Tao), immigrata cinese che lavora in un laboratorio tessile della periferia romana per poter avere i documenti in grado di permettere a suo figlio di otto anni di venire in Italia. La donna viene però trasferita a Chioggia, dove lavorerà come barista in un’osteria appena acquistata dai suoi capi. Qui conosce Bepi (Rade Serbedzija), soprannominato “Il Poeta”, un uomo di origine rumena rimasto vedovo della moglie e con dei figli ormai grandi che vivono a Mestre.
L’incontro tra i due svelerà non solo la passione comune per la poesia, ma rappresenterà altresì una svolta per la vita di entrambi, come un fulmine a ciel sereno.
L’amore che li lega verrà però ostacolato dai pregiudizi delle rispettive comunità, alquanto restie ad accettare uno scambio di culture e di tradizioni così diverse, smascherando così una paura - quella della diversità - che contraddistingue l’uomo da secoli e che ancora non accenna a svanire.

AMORI E PREGIUDIZI

Quello di Segre, che ha alle spalle un ricco background composto prevalentemente da documentari a tematica sociale, è, come detto, un film che affronta un argomento non molto diverso da quelli che sono gli standard della recente produzione nostrana.
Titolo di riferimento è, come detto, il film di Gianni Amelio del 2006 che vedeva anch’esso protagonista, al fianco di Sergio Castellitto, un’attrice cinese - tale Tai Ling - e poneva al centro della narrazione la storia d’amore tra due personaggi appartenenti a razze diverse ma che, forse proprio grazie a ciò, venivano travolti da una tale passione in grado di estinguere il divario culturale tra essi.
Ed è proprio questo l'aspetto su cui il regista rivolge l'attenzione, raccontando una storia di passione in un contesto attuale in cui ogni spettatore è in grado di riconoscersi. Quello raccontato nel film è infatti il mondo in cui tutti viviamo, popolato da pregiudizi, insicurezze e paure d’ogni genere, che trovano ulteriore linfa nell’ignoranza di certi individui purtroppo ancora incapaci di accettare il rapporto tra persone - per così dire - “diverse”.
Nel complesso, la pellicola - che ha affiancato Ruggine di Daniele Gaglianone alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia appena conclusosi - risulta abbastanza interessante sia nell'impianto narrativo che a livello prettamente formale, arrivando fino alla conclusione senza sbavature ma non facendosi mai ricordare per particolari guizzi o momenti veramente eclatanti.
Vi è forse l’impressione di trovarsi di fronte a un’opera leggermente insicura, che stenta sempre a spiccare il volo quando invece potrebbe, ma il fatto di non osare è comunque una caratteristica che accomuna - ahinoi - gran parte dei registi italiani più o meno esperti, e sarebbe quindi sbagliato farne una colpa (solo) a Segre.
Restano però le piacevoli performance di un cast affiatato, in cui i protagonisti Zhao Tao e Rade Serbedzija risultano pienamente all’altezza delle aspettative, attenendosi a dovere ai tempi del racconto. Da menzionare anche i bravi Giuseppe Battiston, Roberto Citran e Marco Paolini in ruoli minori.

Io sono Li Benché non completamente riuscito, il secondo lungometraggio di Andrea Segre risulta comunque un lavoro soddisfacente, privo di cadute e di certo non banale. Buono il cast, sorretto dalle ottime performance dei protagonisti Zhao Tao e Rade Serbedzija e dei comprimari Giuseppe Battiston, Roberto Citran e Marco Paolini.

6

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