Inferno: la Recensione. Tom Hanks tra rebus e Dante

Esce nelle sale Inferno, il thriller diretto da Ron Howard tratto dal best-seller di Dan Brown. Tom Hanks è ancora Robert Langdon

Inferno: la Recensione. Tom Hanks tra rebus e Dante
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In Johnny Mnemonic, sci-fi del 1995 con Keanu Reeves, ricordi cancellati e dati riguardanti una malattia epidemica - innestati artificialmente nella corteccia cerebrale del protagonista - erano i presuposti narrativi di un action cyberpunk. Qualche anno più tardi (il 2000, per l'esattezza) a Tom Cruise era affidata una (seconda) missione impossibile: recuperare il letale virus "Chimera" e l'antidoto "Bellerofonte". Inferno, il nuovo thriller diretto da Ron Howard basato sull'ennesimo best-seller di Dan Brown, mixa efficacemente soluzioni e schemi già adoperati dai predecessori Robert Longo e John Woo, firmando un action al cardiopalma in cui l'immedesimazione del pubblico col proprio beniamino Robert Langdon è - almeno per due terzi di film - pressoché totale. Riecco l'esperto di simbologia col volto di Tom Hanks, accademico con una certa propensione a risolvere enigmi e sventare cospirazioni. Lo avevamo lasciato tra (pochi) angeli e (molti) demoni a Roma, invischiato in una folle corsa contro il tempo per scovare l'antimateria, impedendo così una catastrofe mondiale. Lo ritroviamo ferito e disorientato in un letto d'ospedale a Firenze, lontano dagli Illuminati e dagli intrighi vaticani. Il motivo per cui uno stimato professore universitario presenti una ferita d'arma da fuoco alla testa, non è dato saperlo e lo spettatore, al pari di Langdon, è chiamato ad una faticosa e farraginosa ricostruzione degli eventi, prestando attenzione a killer spietati travestiti da carabinieri e abili doppiogiochisti.


Langdon calling

Affetto da amnesia, poco lucido e in preda ad inquietanti allucinazioni: è il Robert Langdon di Inferno, chiave di lettura di un mosaico le cui tessere convergono attorno al diabolico disegno di Bertrand Zobrist (Ben Foster), megalone tycoon che intende decimare la popolazione mondiale rilasciando un virus mortale. Aiutato dalla dottoressa Sienna Brooks (Felicity Jones), Langdon è (nuovamente) chiamato a dar fondo alle proprie conoscenze in materia di simbolismo e "a seguir virtute e canoscenza". Stavolta, dopo i codici di Da Vinci e gli indizi sparsi dagli Illuminati tra il Pantheon e San Pietro, ecco che l'arte e la letteratura divengono terreno fertile per una caccia al tesoro frenetica ed estenuante che ha luogo tra i corridoi e il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, chiamando in causa i dipinti del Vasari e i versi di Dante Alighieri, la cui Divina Comedia - ad esser precisi i Canti dell'Inferno - fa da legenda ad un rebus che la mente annebbiata di Langdon fatica a decifrare. Torna, quindi, lo schema dei precedenti adattamenti cinematografici dei romanzi di Dan Brown: minaccia globale/intrigo internazionale/corsa contro il tempo. Inferno, ancor più di Angeli e Demoni, è il Futurismo applicato alla settima arte: inseguimenti, fughe, aerei, treni, due e quattro ruote. Il tempo (che nel film "stringe") è un elemento ridondante nei romanzi di Brown e Ron Howard lo esalta sul grande schermo, scandendo la narrazione attraverso un countdown drammatico.

Peccati Infernali

A Ron Howard va dato il merito di alcune soluzioni stilistiche davvero notevoli di Inferno (le allucinazioni "horror" del protagonista, il "Caronte nero" dagli occhi iniettati di sangue Omar Sy, le riprese aeree di una rinascimentale Firenze). Peccato che gli elogi finiscano qui, dal momento che la pellicola è priva di quella suspense necessaria per far sì che il pubblico si appassioni veramente alla storia. L'ultima fatica del regista di Rush propina indovinelli inverosimili, lega personaggi e complotti in modo poco plausibile, finendo per somigliare più ad uno 007 sbiadito piuttosto che ad un thriller basato su enigmi e arte: Langdon è l'eroe vittorioso che saluta la folla, l'OMS somiglia più ad un team di mercenari che ad un'organizzazione mondiale della sanità e killer ben addestrati - su tutti Irrfan Khan, comic relief della pellicola - adoperano anacronistici pugnali (più in tema con Assassin's Creed che con un film cerebrale, almeno negli intenti). La sensazione finale è quella di un'occasione mancata, frutto di una leggera approssimazione nell'adattamento di un best-seller "furbo" qual è quello di Dan Brown. Inferno, d'altro canto (qui Dante non c'entra), è un film realizzato per l'intrattenimento tout court. E questo non è certo un mistero...

Inferno Inferno di Ron Howard rimastica il best-seller di Dan Brown, legando situazioni e schemi dell'action e del thriller. Se da un lato il ritmo ne giova, dall'altro il prodotto finale è in sostanza un film contraddistinto da twist narrativi poco elaborati e da un finale piatto. La pellicola con Tom Hanks si macchia di un peccato, non necessariamente infernale.

6

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