Recensione Indebito

Vinicio Capossela e Andrea Segre raccontano la nuova Grecia in musica

Recensione Indebito
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Ci voleva Capossela. Ci voleva Capossela e quel suo spirito un po’ errabondo un po’ intrinsecamente nostalgico che sembra avere nel suo DNA, per trovare la chiave di narrazione che - forse più di ogni altra rispetto agli ultimi film sul tema - riesce ad indagare sulla Grecia d’oggi e di ieri. Tutto nel segno di un’unica grande magia: la musica. Così Vinicio Capossela è affascinato e incuriosito da un tipo di musica anticonformista, che è un delicato grido di protesta e sofferenza. Chiede a un regista navigato come Andrea Segre (uno dei suoi ultimi, più importanti lavori è Io sono Li) di aiutarlo, di dirigere l’ingranaggio cinematografico, mentre Capossela errabondo e testimone esplora gli antri ellenici e si unisce alle bande musicali. Segre accetta. Il risultato è Indebito, film di apertura a Locarno 2013, anche se non è abbastanza esplosivo per arrivare alla proiezione serale in Piazza Grande (il cuore e il polmone del festival): sul palco della piazza però sale Capossela, che col suo stile misto tra timidezza, modestia, comicità e cortesia conquista tutti. Si definisce vecchio dentro o qualcosa di simile, poi estrae uno degli strumenti tipici della musica greca: il baglamas, somiglia molto a un mandolino, ma “non lo so suonare” ammette scherzosamente. Dopodiché si prodiga in un breve brano: solo lui, la voce amplificata al microfono e questo curioso strumento. In realtà lo sa suonare eccome, ma naturalmente non è il tipo di strumento adatto a uno spazio aperto con oltre ottomila persone. Conclude con un “io ve l’avevo detto” che fa ridere tutti. Uno dei più vibranti tocchi di magia a quest’ultimo Locarno - leggermente sottotono - lo ha dato lui, in tutto.

Rebetico

La musica che interessa a Capossela, viaggiatore come un Ulisse dei giorni nostri ma non così ansioso di tornare a casa, è il rebetico (o rebetiko): una musica di protesta in un certo senso, ma è molto di più. “Descrive un tipo caratteristico di uomo, di mentalità, di comportamento, di posizione e di modo di vivere particolari. Il Rebetis è un anticonformista per eccellenza”, dice il sito DanzeGreche.it, “Egli rifiuta il potere istituzionale, ma in nessun caso aderisce ad azioni militari contro di esso”. Il rebetico è un genere molto vecchio, i suonatori sono i rebetes e tipicamente viene suonato in piccoli luoghi di accumulo sociale e comunitario come certi tipi di caffè, detti tekedes: impugnano gli strumenti tipici, il baglamas e il bouzouki, ma anche chitarre, e partecipano con l’anima e il cuore a una musica sentita dentro, che esprime la loro ribellione (rebetico, appunto), la protesta, ma anche il dolore e la sofferenza. E’ un tipo di musica che sembra nato e pensato per essere suonata fra quattro pareti e con pochi, e forse è questo che ha affascinato Capossela: in tutto il film si unisce a crocchi di greci estenuati dall’attuale situazione ellenica o semplicemente nostalgici dell’epoca dei padri e dei nonni. Ci parla, si unisce a loro, canta e suona. Indebito è davvero il signor Documentario che incarna alla perfezione l’idea di unirsi a quello strato di popolazione e di comunità che si vuole indagare, vivere fra loro e diventare uno di loro. Ci voleva Capossela per realizzare un legame empatico così forte e ci voleva Segre per la regia-capolavoro di questo viaggio sui generis nella Grecia piegata ed esasperata di oggi.

Debito

Anziché concentrarsi direttamente sui problemi economici e politici della Grecia di oggi, la supercoppia Segre-Capossela vuole rendere omaggio alla penisola ellenica, la culla delle civiltà: Indebito è l’azzeccatissimo titolo che muove su più ambivalenze, che costringe a pensare alla contraddizione in termini del debito che noi tutti abbiamo verso la Grecia ma anche al debito che la Grecia ha verso il resto dell’Europa. Vengono citate le antiche mitologie, i sospiri di un canto a tre sotto i portici desolati della notte e un gatto come pubblico rievocano la genetica greca, tempi ormai passati, sembrano farsi portatori di nuovi racconti, aedi e rapsodi di oggi. Il documentario funziona bene soprattutto perché la regia di Segre è davvero un capolavoro, capace con le sue immagini di rendere le scene come fossero colte sul momento eppure così magistralmente orchestrate e forti di un labor limae da professionista; funziona bene perché Capossela è uno dei pochissimi cantautori italiani di oggi, forse l’unico davvero, che poteva fare da transfert in questo complesso viaggio in una nicchia culturale greca; funziona bene perché il rebetico cattura e perché il suono registrato dalla troupe è maneggiato molto bene e quindi coinvolge, non rischia di essere confuso e petulante in sala. Ma soprattutto funziona bene perché, più di tanti altri film degli ultimi anni che cercano di ritrarre la Grecia di oggi, questo è il docufilm (perché pur essendo documentario sembra mantenere alcuni aspetti fiction) che più in profondità colpisce lo spettatore, abbattendo ogni involucro di indifferenza.

Indebito In poche parole: da vedere. Un lavoro come questo, italiano perdipiù, non capita spesso di averlo in sala. Se un unico difetto può essere rintracciato, è la durata del film: 84 minuti sono leggermente “sovrappeso” per un documentario che gira fra i tedekes e i caffè Aman, fra le scogliere greche e piccoli concerti, dopo quasi un’ora e mezza difficilmente lo spettatore non sarà pago della musica rebetica. Forse un taglio di 10-15 minuti, per snellire il prodotto, lo avrebbe reso ancor più convincente. O forse no: il risultato del lavoro di Segre è grande e dobbiamo fidarci.

7.5

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