Recensione Il Viaggio di Arlo

Il Viaggio di Arlo, ultimo film targato Disney/Pixar ed esordio di Peter Sohn, pone al pubblico un interrogativo complesso proprio per la sua semplicità.

Recensione Il Viaggio di Arlo
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Fino ad oggi, le aspettative su Il Viaggio di Arlo non sono state soltanto alte, ma anche diversificate. In molti non lo ammettono ma, dall'annuncio del film fino al trailer, la curiosità si è sempre mescolata a molti dubbi. A differenza di Inside Out, Arlo si presenta come un'avventura più classica, meno introspettiva e dunque commercialmente meno rischiosa. Ma è davvero così? Se da un punto di vista creativo Arlo si colloca nel tipico "What if" di Pixar, industrialmente parlando molti maligni vi avevano visto una sorta di "ancora di salvataggio" nel caso l'esperimento Inside Out non avesse sfondato. Per quanto il disincanto sia il pane quotidiano degli addetti ai lavori, la teoria che vede Arlo come un paracadute dall'incasso facile non appare convincente. La Pixar fa ovviamente le sue valutazioni di portafoglio, ma lo straordinario cursus honorum dell'ultimo ventennio l'ha portata a poggiare, oltre che su una reputazione eccellente, anche su una cassa opportunamente piena. Sgombrando la mente da tante valutazioni di carattere "esterno", è bene valutare l'ultimo film Pixar semplicemente per ciò che è: un'avventura, opportunamente variopinta, sbilanciata sull'universo emotivo dei protagonisti, tanto caro alla premiata ditta di John Lassenter e soci.

Rischi e opportunità

Il primo rischio era di essere innovativo più sulla carta che sulla scena. Nel mondo di Arlo, il meteorite che avrebbe dovuto portare all'estinzione dei dinosauri non ha mai colpito il nostro pianeta, con la conseguenza che l'uomo si è sviluppato senza che i lucertoloni fossero scomparsi. L'ipotesi è suggestiva, ma sposta subito tutta l'attenzione sulla tesi: cosa succede dopo? Se la montagna partorisse il topolino, Il viaggio di Arlo sarebbe un'occasione mancata. Se nella trama lanci un sasso, nascondere la mano è pericoloso: puoi partorire le idee più folli ed impossibili, ma devi svilupparle in un universo coerente dove lo storytelling diventa il vagone per esplorarlo. Il film Pixar non manca di coerenza, ma parte da un assunto suggestivo per poi evolvere in maniera molto classica. L'ipotesi del mancato impatto del meteorite avrebbe potuto dare vita a sviluppi molto ampi che si è scelto, volutamente, di ignorare. Noi siamo apparsi sul pianeta 63 milioni e mezzo di anni dopo la scomparsa dei dinosauri. Ma se il fatidico meteorite non fosse mai caduto, le cose sarebbero potute andare molto diversamente. Il mondo di Arlo sarebbe potuto diventare un vero e proprio universo alternativo. Si rivela, invece, un ambiente molto più reale di quanto non avrebbe potuto essere. Scegliendo una dimensione più intimista, la vicenda si concentra sui due protagonisti lasciando tutto il resto come un rumore di sottofondo. Se si cerca di incasellare Arlo in questo percorso, le questioni che il film pone sono essenzialmente tre.

Dinosauri per caso

La prima riguarda l'idea di fondo: il meteorite risparmia la terra, passa e se ne va. Tutto ciò che accade dopo ha poco a che fare con l' idea di immaginare come sarebbe stata la coabitazione tra due specie che la natura ha separato. Senza mostrare un'evoluzione alternativa, Il Viaggio di Arlo resta un film sui sentimenti, che poco hanno a che fare con la natura intrinseca dei due protagonisti. In termini narrativi, nulla di più.
La seconda questione riguarda l'effetto "già visto": Il Viaggio di Arlo è essenzialmente una sintesi di tutto ciò che l'animazione moderna ha proposto negli ultimi 20 anni. Se volete, ne è la sommatoria ma non l'evoluzione. Da Il Re Leone a Dragon Trainer, da L'Era Glaciale a I Croods, passando per Alla Ricerca di Nemo, si ripercorrono i topoi tradizionali dell'amicizia tra diversi e del viaggio come romanzo di formazione. Lo spettatore minimamente spigliato comprende nei primi dieci minuti come il film si svilupperà e nulla evolve in maniera molto diversa di come ci si potrebbe aspettare. Tutto, ne Il Viaggio di Arlo, è diegeticamente "inevitabile": il distacco dal nucleo familiare, la solitudine in un mondo vasto ed ostile, l'incontro con un piccolo amico opportunamente adorabile, l'inevitabile legame tra i due, la loro avventura e la crescita interiore del protagonista. Arlo è una sorta di Nemo al contrario: come il piccolo Pesce Pagliaccio è fisicamente svantaggiato, ma anziché essere convinto di poter affrontare il mondo ne è terrorizzato. Suo padre, di conseguenza, è un Marlin al rovescio: vuole spingerlo a mettersi in gioco anziché tenerlo al riparo.

Tutto evolve in maniera simile alle avventure di Simba, con tanto di sequenza con padre e figlio che si riconciliano insieme passeggiando nell'erba, scena di massa tra il bestiame impazzito, i raptor che sostituiscono le iene, un pittoresco stregone (molto lontano dal riuscitissimo Rafiki), l'incontro con improbabili amici (che a differenza di Timon e Pumbaa sono stavolta potenziali predatori anziché prede) e persino l'inevitabile morale che i padri rivivono nei figli. Nella savana fischieranno a tutti le orecchie, ma il punto è che Arlo non possiede né il carisma di Simba né la sfrontatezza di Nemo. Come uscire da tutto questo? Una sola parola: Spot. E veniamo dunque alla terza questione: ci affezioniamo molto più a Spot, il piccolo umano. È lui a fare da ponte tra Arlo e il mondo. Arlo non è né alla ricerca di se stesso, né in fuga da un tormentato passato, né è alla ricerca di una Valle Incantata: vuole solo tornare a casa. È Spot a tenere lo spettatore attaccato alla poltrona: è lui a stupire, ad osare, ad avere le idee migliori ed a rubare letteralmente la scena ad Arlo. È grazie a Spot che Il Viaggio di Arlo si salva da uno schema abbastanza perverso che ci riguarda un po' tutti: la bulimia di colpi di scena.

Un piccolo balzo nel passato

Siamo ancora in grado di apprezzare una vicenda senza aspettare che qualcuno torni dal regno dei morti? Sappiamo ancora goderci per un'ora e mezza una sana storia di due amici, semplice e lineare, senza dipendere continuamente da MacGuffin e da artifici narrativi d'avanguardia? Se il cinema è immagine in movimento, ha poco senso lamentarsi che Avatar somigli a Pocahontas: Cameron non voleva svelare i segreti dell'universo, ma semplicemente portare il pubblico a fare un giro su Pandora parlando dei temi che gli sono cari. Similmente, il fatto che Il Viaggio di Arlo somigli a molti altri titoli è un dato di fatto, ma non necessariamente un vulnus. Anche Super 8 di Abrams è la sommatoria di qualche decina di mostri sacri degli anni '80, eppure funziona e resta, mentre aspettiamo con trepidazione Star Wars, il suo film più riuscito. Negli ultimi vent'anni, se si vuole davvero indagare cosa è rimasto fermo e cosa si è mosso in termini di script, il settore più vivace è stato proprio quello dell'animazione. La tecnica si è evoluta per tutti, ma nel cinema live-action quanto si sono evoluti gli script? L'animazione ha osato a tal punto da smettere di essere un genere: buttare nello stesso calderone Shrek ed Inside Out oggi non avrebbe più senso. Se Il Viaggio di Arlo è un piccolo balzo nel passato, a ricordarci che eravamo capaci di emozionarci per storie semplici, rimane un film che vale il prezzo del biglietto. Dove invece il film avrebbe forse potuto insistere di più è sui personaggi di contorno, che faticano a bucare lo schermo. Spesso è stata proprio l'animazione (con Pixar in testa) a regalarci i migliori caratteristi, che qui risultano sostituiti da un nutrito armamentario di bestie, bestiole e bestioline accattivanti e pronte a strappare un sorriso facile.

Stile Pixar

La pellicola invece fa centro nella coraggiosa scelta stilistica di mescolare fondali fotorealistici e personaggi molto caratterizzati. In particolar modo, la capacità di riprodurre la natura, i suoi elementi e la sua esistenza dinamica è straordinaria. Nel 2000, per il kolossal Dinosauri, la Disney mescolò veri fondali con personaggi digitali. Oggi, il confronto tra il mondo digitale di Arlo e l'ambiente naturale di Dinosauri vi farà riflettere sull'evoluzione del software. Dinosauri era però un investimento troppo alto per osare in termini di script: i buoni parlavano, i carnivori cattivi no, e la trama era essenzialmente Alla Ricerca della Valle Incantata di Don Bluth. Quindici anni dopo, la linearità della trama di Arlo non ha nulla a che vedere con la staticità della trama di Dinosauri ma è un voluto e nostalgico ritorno al passato. Il Viaggio di Arlo sembra voler parlare, in perfetto stile Pixar, sia ai piccoli che ai grandi: ai più piccoli regala una fiaba didascalica sulla famiglia e sul valore dell'esperienza come motore della crescita; ai più grandi sembra voler gridare "Vi ricordate quando per passare una bella serata vi bastava Red e Toby Nemiciamici?".

Il Viaggio di Arlo Curiosa commistione di ambienti fotorealistici e personaggi stilizzati, Il Viaggio di Arlo punta più sulla capacità affabulatoria che sul ritmo e sui colpi di scena. Mettendo al centro ancora una volta la dimensione emotiva dei protagonisti e ripercorrendo molti temi tipici già esplorati dall'animazione, il film di Peter Sohn evolve come un racconto molto più classico e tradizionale dell'ipotesi suggestiva sulla quale poggia.

7

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