Recensione Il sospetto

Vinterberg, vincitore morale di Cannes 2012

Recensione Il sospetto
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Anche se l’edizione 2012 di Cannes non è stata particolarmente ricca di titoli degni di nota, resta qualche eccezione: “The Hunt” (Jagten il titolo originale, "Il sospetto" quello italiano) è una di queste. Scritto e diretto da Thomas Vinterberg, già vincitore del Gran premio della giuria nel 1998 per “Festen”, il film è stato presentato il 20 maggio 2012 ed è scandalosamente uscito dal festival pressoché a mani vuote, con l’eccezione del premio a Mads Mikkelsen per la miglior interpretazione maschile. Addirittura Fanny, il cocker presente nel film, era candidato alla Palma d’Oro per la miglior interpretazione canina! Il film è stato comprato da BiM Distribuzione e verrà probabilmente distribuito in Italia nel 2013.

Van Morrison canta “Moondance” mentre una banda di uomini danesi, amici affezionati, si avvicina a un lago dopo una battuta di caccia. Benché sia inverno, il clima festaiolo induce uno di loro a fare la canonica bravata: si sveste e si tuffa. Preso da un crampo, viene repentinamente soccorso da Lucas, il protagonista. Sulle note di Van Morrison, seguiamo il gruppo passeggiare e ridere con spensieratezza nel bosco. Il titolo riempie lo schermo e campeggia minaccioso. Per lo spettatore non è una sorpresa: sa che qualcosa, in questo felice quadretto di amicizia, cambierà. Nel corso del film seguiamo la vita di Lucas (Mads Mikkelsen), separato e attualmente single, padre premuroso, uomo apprezzato e benvoluto. Vive in una villetta col suo cane Fanny, può contare su un gruppo di amici affezionati e sul suo migliore amico Theo (Thomas Bo Larsen), lavora in un asilo ed è il maestro preferito dai bambini, l’unico che si presta a giocare con loro come se fosse uno di loro.

RICETTA PER LA ROVINA

Il plot si svolge nel periodo natalizio. In capo a pochi giorni la vita di Lucas, che nel frattempo si è trovato una fidanzata e ha ottenuto la custodia del figlio, si rovescerà. Klara (Annika Wedderkopp), la figlia del suo amico Theo, sente il peso della distanza della sua famiglia e si affeziona troppo a Lucas. Quando Lucas rifiuta un regalo di Klara, la bambina si offende e comincerà a parlare con la direttrice dell’asilo, montando una storia falsa ma con dettagli che difficilmente un bambino potrebbe conoscere. L’urticante tema della pedofilia, unito ai toni allarmistici della sintomatologia che si è venuta a creare nel vecchio continente, non ha bisogno di prove: raccoglie tutto, dal pregiudizio all’isteria fino alla naturale ostilità, spesso basandosi su nulla di sostanziale, come l’unica effettiva (non) prova in mano agli accusatori: “I bambini non mentono mai”. Film intelligente e abilissimo nel creare l’empatia dello spettatore con un personaggio così positivo, per poi mostrare come poche, semplici parole possano rovinarti la vita dal giorno alla notte. Il film smentisce ogni possibilità di narrazione alternativa: non compare mai la polizia (come diceva il maestro Hitchcock, la polizia rovinerebbe una buona storia), il processo si risolve immediatamente per mancanza di prove. Insomma, è chiaro che la storia non si concentra sull’appurare se Lucas sia effettivamente colpevole o meno: lo spettatore sa che è innocente. Il film invece si concentra sulla persecuzione di massa da parte della sua città, degli amici di un tempo, dei datori di lavoro e, in generale, di tutta la società.

Linciaggio

La pratica del linciaggio è una delle infamie di cui l’umanità, nel corso della storia, si è macchiata e di cui purtroppo talvolta torna a macchiarsi. The Hunt mostra come il linciaggio si sia trasformato nella pratica ma resti come concetto, colpendo un nervo scoperto: nel secolo XXI, dopo le grandi tragedie della storia, ci illudiamo che l’impianto delle regole morali, dei codici sociali e dell’apparato legislativo possano mettere al sicuro l’esistenza degli individui. Film come The Hunt e L’Onda iscenano in maniera sottile e arguta la civiltà come una maschera dietro la quale gli individui, specialmente gli individui come massa, non hanno perso il carattere tribale dei primordi, capace di rovinare la vita a un uomo solo per sentito dire.

Il film avvia una vera caccia nei confronti di uno dei suoi cittadini modello: a voltargli le spalle sono quasi tutti, tranne l’amico Bruun (Lars Ranthe) e il figlio Marcus (Lasse Fogelstrøm). Minacce, violenze, risse, licenziamenti, umiliazioni: sono solo i primi prezzi che Lucas deve pagare a causa della menzogna di una bambina offesa. Si potrebbe pensare alle colpe dei bambini, ma questo è tutto un film sulle colpe degli adulti: la stessa Klara arriverà, in capo a pochi giorni, a confessare di aver mentito, ma sarà zittita dalla madre e spronata a restare sui suoi passi, intimata dalla frase “A volte la mente preferisce rimuovere questi episodi”. Così come le indagini nell’asilo cercano ciò che vogliono trovare e sentono ciò che vogliono sentire: degli innocenti racconti dei bambini, per cui Lucas giocava con loro o li accompagnava al bagno, la società rovescia il segno e li deforma in chiave negativa, corroborando l’iniziale accusa di Klara. L’ironia del film sta nella contrapposizione di ciò che lo spettatore sa essere buono e giusto: la famiglia di Klara non dedica le giuste attenzioni alla figlia, che spesso viene accompagnata da Lucas lungo i tratti di strada, e il fratello addirittura dimentica il cellulare con le immagini pornografiche da cui Klara impara a dire una bugia insolita per una bambina, dando inizio al peggio. Paradossalmente, dunque, l’accusa che dovrebbe essere rivolta al fratello e ai genitori viene rimbalzata sull’unica persona che si è presa premurosamente cura della bambina.

CINEMA DANESE

Il cinema danese non è mai leggero. Ce lo ricordava Lars Von Trier a Cannes un anno fa con Melancholia, ce lo ripete Vinterberg con The Hunt. E’ tuttavia un intelligente cinema sofisticato, coinvolgente e di notevole cura tecnica. La fotografia leggermente sgranata affianca colori autunnali e invernali, un decadente giallo virato al seppia di sapore malinconico si alterna alle tonalità fredde di un rigido inverno, in netta contrapposizione con le luci calde del Natale, che il protagonista può vedere solo da lontano, fuori dai luoghi caldi e illuminati. Una regia di gran classe ha il merito di seguire una materia così grave e provocare tanto l’indignazione del pubblico quanto il suo coinvolgimento. L’attesa è per il finale, ci si chiede se si risolverà in positivo o in negativo, ma intanto ce n’è abbastanza per farsi un bel po’ di sangue marcio. Cupo ritratto disincantato di una società sbagliata, cresciuta male e irretita dalle sole frasi, incapace di comprendere e mettersi in dubbia, pronta solo a tirare fuori il peggio di sé, rivelando il carattere animale di una massificazione umana alla ricerca del noto capro espiatorio, il film è un plot degenerativo che, tanto quanto la protagonista di Amour vedeva le proprie funzioni fisiologiche bloccarsi progressivamente (degenerazione interiore), allo stesso modo Lucas vede il proprio ruolo sociale sgretolarsi passo dopo passo (degenerazione esteriore), allontanato da ogni luogo, dai supermercati come dalle chiese, dal luogo di lavoro ma anche dalla foresta, fino a non essere più al sicuro nemmeno in casa sua. E’ una vera e propria caccia, che d’altra parte conferisce il titolo al film. Ma la caccia è anche un momento chiave nella società danese: il momento della maturità, quando un ragazzo diventa uomo ed è pronto a cacciare per la prima volta. In questo script che contrappone bambini e adulti, col solo ponte dell’adolescente Marcus, pronto al suo grande debutto con la prima battuta di caccia, i bambini dimostrano un ritratto ingenuo, naturale e spontaneo, capaci di mentire ma anche di riconoscere le proprie colpe. Il titolo “caccia” sta a demarcare le zone di responsabilità, mostrando le contraddizioni del ruolo adulto: il maschio cresciuto, maturo e armato, fa un pessimo uso delle proprie armi e le punta nella direzione sbagliata, mostrandosi meno responsabile e umano di un bambino. La caccia è un grande metafora, ma purtroppo il film è nuda e cruda realtà.

Il sospetto Film meritevole della Palma d’Oro 2012 a parere di chi scrive, ingiustamente uscito a mani vuote, si consola unicamente il protagonista premiato alla miglior interpretazione. La Danimarca, erede di un illustre passato cinematografico, continua a confermare la propria vocazione nella Settima arte. Questo lungometraggio si destreggia con abilità su un tema che molti altri registi e sceneggiatori avrebbero potuto facilmente rovinare. In un plot come questo l’equilibrio e la concretezza sono tutto, e Vinterberg sa farne buon uso. In conclusione, un’opera che merita di essere vista, felicitandosi per il suo prossimo arrivo nella Penisola e sperando che non si debba accontentare di una manciata di schermi.

8

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