Il sacrificio del cervo sacro, la recensione del film di Yorgos Lanthimos

Un cardiochirurgo si trova costretto a una dolorosa scelta in seguito all'incontro con il figlio adolescente di un suo paziente, morto dopo l'operazione.

Il sacrificio del cervo sacro, la recensione del film di Yorgos Lanthimos
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Steven Murphy, rispettato cardiochirurgo con passati problemi d'alcolismo, ha tutto ciò che potrebbe desiderare: è uno dei più rispettati medici della città, vive in una bellissima casa e ha una splendida famiglia formata dalla moglie Anna (anch'essa operante nel settore) e dai due figli, l'adolescente Kim e il più piccolo Bob.
Da qualche tempo l'uomo è in contatto con il sedicenne Martin, figlio di un suo paziente deceduto in seguito a un'operazione, al quale sembra legato da uno strano rapporto - che va avanti a suon di regali e inviti a cena. In Il sacrifico del cervo sacro Steven presenta il ragazzo ai propri cari e questi sembra invaghirsi, ricambiato, proprio della bella Kim.
Quando Steven cerca però di chiudere i contatti, diventati sempre più morbosi, con Martin, il secondogenito comincia a essere vittima di strani attacchi psicosomatici, che lo privano dell'uso della gambe. Sarà solo l'inizio di un terribile incubo nel quale i Murphy si troveranno costretti a una dolorosa scelta.

L'inizio della fine

A Yorgos Lanthimos non è bastato destrutturare la fantascienza distopica in un film tanto aspro quanto foriero di significati nascosti quale The Lobster (2015), il regista greco doveva anche amplificare le coordinate di un generico thriller, almeno nell'apparente incipit iniziale, in uno schema stratificato e complesso che spazia nei generi con spietata lucidità d'intenti.
Con Il sacrificio del cervo sacro firma un'opera ricca e irripetibile, vero e proprio flusso di fredde e glaciali sensazioni che abbracciano, finendo per inghiottirlo, lo spettatore in un vortice di pura e impotente disperazione, allacciando l'ispirazione fantastico/mistery al crescente disagio di un nucleo familiare alle prese con la più crudele delle decisioni.
Sin dai primi secondi nei quali, dopo i titoli di testa, ci viene mostrato da vicino un intervento a cuore aperto, si comprende come l'autore (anche padre a quattro mani della sceneggiatura curata con il fidato Efthymis Filippou) voglia disturbare il pubblico con immagini difficili da ignorare, capaci di rimanere impresse nella mente e nello sguardo come una violenta cicatrice. E lo fa mettendo in scena una famiglia all'apparenza perfetta ma in realtà disfunzionale, i cui statici tic o le dinamiche relazionali si fanno specchio di un disagio più ampio: la stessa sfera sessuale, con il personaggio di Anna che si sdraia nuda sul letto in bizzarre posizioni per eccitare il marito, è emblematica dei problemi non detti e saggiamente celati in superficie, ulteriore tassello di amarezza che si aggiunge alla potenza di una vicenda già inevitabilmente tragica.

Peccati da redimere

Piani fissi, dialoghi scarni e amorali, che mettono a nudo le debolezze umane nel momento in cui ci si trova a lottare per la sopravvivenza senza appigli, inquadrature che catturano appieno l'inferno drammatico nel quale i protagonisti si trovano loro malgrado calati, rendono la visione un viaggio quasi dantesco negli abissi dell'animo umano. L'opera ricorda in maniera chirurgica (letteralmente) il cinema classico, da Hitchcock a De Palma e Polanski, riletto attraverso uno sguardo lucido e asettico, privo di qualsivoglia speranza, magnetico nel suo porsi a giudice ed esecutore del destino dei partecipanti.
Una lotta interiore cui il chirurgo protagonista, colpevole o meno che sia, si trova dinanzi senza sapere come reagire, messo di fronte a una scelta che nessun individuo avrebbe la forza morale di affrontare: e non è un caso che la decisione definitiva apra le porte a una delle sequenze più poetiche e spaventose mai viste su grande schermo, un concentrato di pura sofferenza tensiva che lascia senza fiato.
In questa diabolica partita tra la vita e la morte il cast gioca un ruolo fondamentale e, se Colin Farrell, Nicole Kidman e i giovani interpreti dei figli si mettono a nudo emotivamente e fisicamente nell'erosione progressiva della propria forza interiore, la performance straniante e implacabile di Barry Keoghan regala brividi a scena aperta in più di un'occasione, relegando il relativo alter ego nell'Olimpo dei villain cinematografici.

Il sacrificio del cervo sacro Un viaggio negli abissi dell'animo umano, capolavoro aspro e struggente che nasconde le emozioni sotto uno strato di fredda staticità per esasperarle nelle relative scene madri, percorso di puro e crudo orrore nel quale viene calata la famiglia protagonista. Un nucleo familiare vittima di una sceneggiatura che gioca con il fantastico e il mystery per disegnare una sofferta parabola sul logorio dei rapporti messi alle più strette condizioni. Con Il sacrificio del cervo sacro, il regista greco Yorgos Lanthimos porta agli eccessi le ambizioni del suo cinema, in una strada senza ritorno nella quale gli echi thriller si fanno vividi e pulsanti portatori di dolore, nati dalle conseguenze di segreti e colpe celate che tornano a chiedere il proprio tributo nel più macabro dei modi. Colin Farrell, Nicole Kidman e soprattutto Barry Keoghan, vero e proprio deus ex machina di una narrazione così tragicamente terrena, sono i perfetti interpreti, vittime e carnefici di una storia che, tramite l'elemento inspiegabile, si applica come non mai nel delineare la solidità e le relative debolezze delle relazioni, siano esse di sangue o meno.

8.5

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