Il ragazzo che diventerà re, la recensione del nuovo film di Joe Cornish

Il regista di Attack the Block aggiorna il ciclo arturiano ai canoni morali e stilistici moderni, confezionando un'avventura giovane e piena di speranza.

Il ragazzo che diventerà re, la recensione del nuovo film di Joe Cornish
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Il ragazzo che diventerà re è il secondo film di aprile a reinventare il ciclo arturiano, la Leggenda di Re Artù. Curioso, a dire il vero, che due film con la stessa mitologia di fondo siano stati distribuiti a così breve distanza l'uno dall'altro, ma la verità è che a dispetto delle somiglianze nel pantheon di personaggi utilizzati, i due prodotti non potrebbero essere più diversi tra loro.
L'Hellboy di Neil Marshall attinge a piene mani dal mito e lo piega al volere dell'intreccio narrativo costruito da Mignola, re-immaginando da zero in chiave tetra e orrorifica i racconti del folklore britannico, il nuovo film scritto e diretto da Joe Cornish (Attack the Block) invece fa ben altro.
La storia segue infatti la vita da periferia londinese del giovane Alex (Louis Ashbourne Serkis), dodicenne dal forte spirito combattivo, bullizzato ma indomito, che vive da solo con la madre. Ragazzo molto emotivo e passionale, un po' introverso e quindi curioso, che sente però addosso il peso del vicino passaggio dalla pubertà all'adolescenza, il bisogno di farsi notare e diventare qualcuno, di sentirsi parte di qualcosa.

La vita non sempre va come deve andare, purtroppo, ma tra maliziose angherie infantili e la voglia di un riscatto sociale (per quanto la società di un bambino sia la scuola), dopo una rocambolesca fuga dai suoi aguzzini Alex si imbatte in qualcosa di straordinario.
Nel bel mezzo di un cantiere, piantata sulla base di una colonna di cemento distrutta, c'è infatti Excalibur, la mitologica spada di Artù, che il nostro protagonista riesce a estrarre e portarsi a casa, dando inizio a una fantastica avventura che porterà Alex e i suoi amici (alcuni del tutto inaspettati) a combattere per il futuro stesso dell'Inghilterra.

La chiave urbana

Immediato, spontaneo e mai pesante, questo Il ragazzo che diventerà re, sia grazie a una scrittura leggera e diretta, sia perché guarda alle grandi avventure di genere del passato, tanto al Mondo Magico della Rowling quanto a Il Signore degli Anelli o ai film di Richard Donner e Chris Columbus. È consapevole e divertito e gioca con molti canoni del fantasy, sfruttando una narrazione veloce e molto semplicistica per riproporre in chiave urbana la storia di Artù, di Excalibur, di Merlino e Morgana.
I protagonisti sono tutti giovani promesse del cinema britannico, a partire dall'interprete di Alex, figlio d'arte (suo padre è Andy Serkis) e molto convincente nel ruolo, espressivo e plastico come il genitore, interessante nella sua verve action.
Ottimo l'interprete di Merlino, Angus Imrie, che gioca una parte minore ma essenziale e si divide il ruolo con Patrick Stewart nell'arco di uno starnuto. Magica e affascinante la mimica utilizzata dal personaggio per gli incantesimi, evocati con precisi movimenti delle mani e delle braccia, schioccando le dita o disegnando archi e figure non geometriche nell'aria, un gioco visivamente molto attraente che rende anche un po' giocosa la magia stessa.

Insieme a Stewart, comunque, a fare da contraltare a un cast interamente composto da sconosciuti c'è anche Rebecca Ferguson, qui nei panni di Morgana, relegata nelle viscere della Terra, incatenata all'albero del mondo dalla sue stesse radici. Ci viene raccontato il suo passato nella splendida apertura animata, prologo che arriva prima dei titoli di testa e curato nel dettaglio da Cornish, davvero un buon modo di iniziare.

A proposito di regia, Il ragazzo che diventerà re non presenta guizzi tecnici entusiasmanti in termini di montaggio o tecnica, forse perché non vuole essere un film memorabile sotto questo aspetto, puntando molto più sul significato stesso dietro alla narrazione, inserito in questa nuova visione in ogni singolo passaggio della storia, anche nei telefonati plot twist che compongono il mosaico del racconto.

Questo non rende di certo il progetto inguardabile, si comporta esattamente come la maggior parte dei suoi cugini di genere, dove si guarda molto più al contenuto che alla forma, si amplifica il fascino dell'atmosfera e si sintonizza alla perfezione il tono per raggiungere il pubblico desiderato, in questo caso - come dicevamo - giovane e in alcune occasioni persino acerbo, bisognoso di uno scossone.

Le virtù dei piccoli

Sa quel che fa, Joe Cornish, anche se parte del suo estro (ri)creativo funziona forse meglio su carta che sul grande schermo. L'idea de Il ragazzo che diventerà re è semplice ma efficace, ma soprattutto ha un chiaro intento morale nei confronti di una nazione allo sbando e a favore delle nuove generazioni.
La storia e le atmosfere pensate e trasposte al cinema dall'autore londinese sono infatti fortemente british e ricche di un'ironia soppesata e intelligente, anche se in questo caso interamente declinate nel genere d'avventura e per giunta per ragazzi, quindi non morbosamente black o pungenti. La portata del film è quella di un Goonies e di uno Stranger Things e non tenta neanche di andare oltre, consapevole di dover lavorare bene con un immaginario tanto grande e amato come quello arturiano, pur dovendone asciugare la sua essenza cavalleresca per presentarla a palati più giovani.
Il primo passo, come per Harry Potter o Percy Jackson, è allora quello di trasportare un'intera mitologia in ambito urbano, ricostruendo snodi e personaggi centrali in chiave attuale, donandogli un appeal certamente fresco e divertente, ma senza dimenticare la grandezza etica e poetica di ogni singolo protagonista, l'importanza storica e leggendaria del racconto.

Alex diventa così il nuovo Re Artù, ma non è Re Artù. Non è neanche un suo discendente, se è per questo, ma un "puro di cuore" scelto da Excalibur per le sue doti fisiche e morali, degne dei principi cavallereschi del passato. Che poi fosse destinato a diventare Re è un discorso differente, legato in particolar modo al suo amico Bedders e ai due bulli che lo tormentano, Lance e Kaye, tutti nomi di Cavalieri della Tavola rotonda ma ripensati per i nostri giorni, anche per dare quel tocco in più di mistero ai più piccoli, sicuramente meno navigati con il folklore britannico o anche solo meno attenti ai particolari.

Eppure le sorti di un intero popolo sono rimesse adesso nelle loro mani, come spesso accade nei racconti young adult e di formazione, canone narrativo discendente direttamente dal J.R.R. Tolkien e dal suo grande e sempreverde insegnamento, ovvero "quando gli occhi dei grandi e potenti sono rivolti altrove, sono spesso i piccoli a risolvere il destino del mondo".
Mai cosa più vera, mai cosa più essenziale da ricordare oggi, specie in un Paese come la Gran Bretagna, divisa dallo spettro della Brexit, da chi grida a un nuovo referendum fino ai nazionalisti convinti o agli anti-europeisti.

Cornish conosce tutto questo e riduce una narrazione politica e popolare ad avventura dal forte carattere etico, pensata direttamente per infondere speranza nelle nuove generazioni, per dare fiducia al loro buon senso e ai loro spiriti giovani e virtuosi.
Lavora con coscienza, passione, interseca continuamente questo sottotesto con l'intreccio di una trama in verità meno appassionante del messaggio, perché ideata coerentemente con il bisogno di trasmettere efficacemente il messaggio socio-culturale.
Il regista riesce così a confezionare un'opera di genere non visionaria ma intrigante, leggera e godibile, fiera di reinventare i canoni stessi del mito di Artù, pur lasciando intatto il senso stesso della leggenda, dove si è Re per merito e non per nascita, una lezione ancora oggi necessaria.

Il ragazzo che diventerà re Il ragazzo che diventerà re di Joe Cornish si presenta come un fantasy leggero e attuale, che gioca con i topoi del genere e sottoscrive una dilagante speranza nei giovani, piccole mani nella quali rimettere anche il futuro di un'intera nazione. È Tolkien che si aggiorna ai canoni moderni (con tutte le dovute differenze del caso) o Harry Potter declinato a leggenda urbana: un valido tentativo di divertirsi riscrivendo un ciclo mitico come quello arturiano, mutandone pelle e contenuto per lasciarlo adattare alle nuove generazioni, bisognose di un messaggio positivo, di sapere che c'è qualcuno là fuori che ha fiducia in loro.

7

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