Il principe d'Egitto Recensione: il film DreamWorks in edizione rimasterizzata

Il primo film d'animazione tradizionale della DreamWorks rimane, a quasi vent'anni dall'uscita, un'opera importante e imponente.

Il principe d'Egitto Recensione: il film DreamWorks in edizione rimasterizzata
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Al Festival di Annecy, in vista del ventesimo anniversario (il film uscì nelle sale americane il 18 dicembre 1998), è stata proiettata una versione speciale rimasterizzata de Il principe d'Egitto, il secondo lungometraggio - e il primo realizzato con tecniche tradizionali - della DreamWorks Animation, un progetto che a due decenni dal debutto nei cinema rimane un oggetto curioso all'interno del catalogo dello studio che l'ha realizzato: mentre Z la formica, uscito un anno prima, era il prototipo dell'approccio reso popolare da Shrek, con ammiccamenti alla cultura popolare e personaggi ricalcati sulle personalità dei doppiatori in inglese (il nevrotico Z, che si fa anche psicanalizzare, ha la voce di Woody Allen), l'adattamento animato del Libro dell'Esodo è palesemente impregnato dello stile Disney, cosa poco sorprendente dato che Jeffrey Katzenberg, precedentemente responsabile del reparto animato della Casa del Topo (sotto la sua egida nacquero La sirenetta, La bella e la bestia e Il re leone), propose più volte l'idea ai suoi superiori senza successo, prima di fondare la DreamWorks con Steven Spielberg e David Geffen.
Dall'uso delle canzoni, al casting di voci famose ma comunque adatte ai rispettivi ruoli (Val Kilmer nella parte di Mosé, Ralph Fiennes in quello di Ramses, Patrick Stewart e Helen Mirren in quelli del faraone e della regina), passando per la presenza di antagonisti secondari volutamente caratterizzati in chiave comica (i due sacerdoti, doppiati in originale da Steve Martin e Martin Short), si percepisce chiaramente l'influenza del gigante dell'animazione americana, forse uno dei motivi supplementari per l'abbandono definitivo dei disegni fatti a mano a partire dal 2003, complice il flop di Sinbad - La leggenda dei sette mari. Una decisione che ancora oggi lascia l'amaro in bocca, perché con le idee giuste la DreamWorks sarebbe stata più che capace di rivaleggiare con la Disney in termini artistici e tecnici nel campo dell'animazione bidimensionale.

Piaghe e miracoli

Come segnalato all'inizio del film, Il principe d'Egitto è stato concepito appositamente, al netto di alcune inevitabili licenze poetiche, per rispettare lo spirito del testo biblico, con apposite consulenze di esponenti delle fedi religiose maggiori (al termine dei titoli di coda vengono riportati passaggi relativi a Mosé tratti dalla Bibbia ebraica, dal Nuovo Testamento e dal Corano). Si tratta quindi di un lungometraggio paradossale, che vuole accontentare tutti ma non per questo rinuncia ad ambizioni che vanno al di là delle convenzioni di un racconto epico animato adatto ad ogni fascia d'età. E proprio qui, dato il periodo storico in cui è uscito, il paragone con la Disney è ancora più pertinente: mentre la Casa del Topo, scottata dalle critiche per i toni eccessivamente dark de Il gobbo di Notre Dame, era tornata ad atmosfere più convenzionali con Hercules e Mulan, la DreamWorks puntò su un progetto più adulto, inteso non come prodotto volutamente controcorrente (vedi sempre alla voce Shrek) ma come film dove le concessioni per un pubblico più vasto (l'edulcorazione di alcuni dettagli violenti e la compressione del racconto per una durata sotto i 100 minuti, laddove altri adattamenti delle stesse vicende - su tutti I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille, uno dei punti di riferimento per Katzenberg - superano abbondantemente le tre ore) non incidono sull'integrità di una narrazione che prevede diversi passaggi altamente drammatici.
Passaggi la cui potenza è aumentata proprio dall'animazione tradizionale in tutte le sue forme, dal gioco di luci e composizioni nella rappresentazione delle piaghe d'Egitto, alla resa molto fluida (scusate il gioco di parole) della divisione del Mar Rosso, senza dimenticare il grande impatto visivo ed emotivo della staticità dell'arte murale per raccontare il tragico retroscena della vita di Mosé. E sebbene la DreamWorks abbia raggiunto alcune vette di non poco conto negli anni successivi, in particolare con Dragon Trainer e il suo sequel, non andrebbe sottovalutata la dichiarazione d'intenti che fu fatta vent'anni fa con Il principe d'Egitto, un film che andrebbe preso come modello non solo in termini narrativi e tematici, ma anche per un - poco probabile, ma pur sempre auspicabile - ritorno dell'animazione tradizionale, ormai più eccezione che regola nell'industria americana.

Il principe d'Egitto Il secondo film d'animazione della DreamWorks rimane, a distanza di vent'anni, un'opera potente ed ambiziosa, dall'estetica e dai toni vagamente disneyani ma al contempo una risposta, purtroppo effimera, alla seconda crisi che la Casa del Topo si apprestava ad attraversare alla fine degli anni Novanta. Pur durando appena 100 minuti, questo adattamento del Libro dell'Esodo restituisce pienamente lo spirito epico e sacro del testo biblico, affermandosi come un lungometraggio che, pur funzionando come pezzo di intrattenimento, non perde la dimensione spirituale e divulgativa che si cela dietro la sua realizzazione.

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