Recensione Il Primo Uomo

Gianni Amelio porta al cinema Il primo uomo, romanzo postumo di Albert Camus

Recensione Il Primo Uomo
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Basato sull'ultimo e incompiuto romanzo del Nobel per la Letteratura Albert Camus, un manoscritto ritrovato fra le macerie dell'auto nella quale (il 4 gennaio del 1960) lo scrittore francese trovò la morte, Il primo uomo è una sorta di doppia-autobiografia che trova espressione nel parallelismo tra l'infanzia di Camus (che rivive nel film attraverso il suo alter-ego Jean Cormery) e quella del regista Gianni Amelio. Tra l'Algeria di Camus e la Calabria di Amelio scorrono infatti le stesse immagini di un'infanzia vissuta nell'indigenza ("i poveri siamo noi" risponderà la giovane madre al piccolo Jean), senza una figura paterna di riferimento (il padre di Camus muore in guerra a soli venticinque anni, quello di Amelio emigra presto in Argentina) e legata ai volti di due fondamentali e opposte figure di donne (una madre mite e remissiva e una nonna sanguigna e bacchettona). Attraverso il ‘rumore' e le inquietudini della guerra d'Algeria che marciano in sottofondo, Il primo uomo segue dunque il filo storico e soprattutto privato di un dolore che dall'epicentro famigliare si propaga poi fino a confluire nel dramma di un conflitto sociale tra gruppi (i colonialisti francesi e gli indipendentisti algerini) e identità etniche (francesi e musulmani) che rivendicano violentemente il proprio spazio all'interno di una stessa terra. "Colui che scrive non sarà mai all'altezza di colui che muore" è la tesi, il cammino, attraverso il quale il film di Amelio segue con enorme rispetto e in filigrana le emozioni e i legami, tutti ugualmente ‘formanti' perché maturati nel vincolo di un sostanziale sentimento di impotenza nei confronti delle violenze - private o globali - che affliggono molte (e in particolar modo certe) vite umane.

Ritorno in Algeria

Siamo nel 1957, in piena guerra d'Algeria e lo scrittore Jean Cormery (oramai famoso e stabilmente residente in Francia) torna nella sua terra natia (l'Algeria, appunto) per rivedere sua madre e dare voce alla sua idea di una pacifica convivenza tra francesi e algerini. Le sue parole, però, trovano la stessa resistenza sia dal fronte francese quanto da quello di Liberazione Nazionale, schieramenti ugualmente alimentati da inconciliabili posizioni di intolleranza. E mentre la guerra continua a fare il suo inesorabile corso, Cormery ripercorre le orme del suo passato nella culla della sua infanzia, accarezzando ed elaborando tutti i volti e i momenti che hanno inesorabilmente segnato la sua vita. La precoce morte del padre (a soli venticinque anni e del quale ora rimane solo un pezzo della granata che lo ha ucciso) durante il conflitto mondiale, il calore di una madre troppo buona per farsi valere, la severità di una nonna-matrona, l'amicizia di uno zio ‘speciale', l'appoggio di quel maestro che per primo crederà nel suo talento, e infine anche il rapporto conflittuale con un compagno musulmano istintivamente ostile alla sua amicizia. Attraverso quel viaggio nella memoria Cormery-Camus ritroverà il germoglio del bambino che l'ha fatto diventare l'uomo del presente, un individuo coscienzioso e di solidi principi votato a ideali pacifici che pochi, come lui, sembrano condividere, e costantemente irrorato dall'affetto di (e per) una madre che per lui ha significato tutto.

Tra conflitti personali e sociali

Poetico e toccante Il primo uomo di Gianni Amelio sviscera il conflitto tra popoli attraverso il conflitto interiore della crescita, percorso ad ostacoli attraverso il quale uscire vincitori vuol dire dar vita al proprio io pensante. Ancora una volta (come accadeva ne Il ladro di bambini ma anche in Le chiavi di casa o in La stella che non c'è) Amelio centra il film nella sua dinamica peculiarmente umana, portando a galla le emozioni e trasformando i rapporti nello specchio reale dei conflitti ideologici. Nella purezza incontaminata del piccolo Jean (interpretato dallo straordinario esordiente Nino Jouglet) e nel suo rapporto con un mondo adulto a un tempo conciliante e ostile, si vedono in controluce i valori dell'adulto che questi sarà (ottimamente reso dalla vibrante interpretazione di Jacques Gamblin). Asciutto e intenso in ogni singola scena, Il primo uomo è uno di quei film capaci di riportare in primo piano la Storia e l'importanza della memoria collettiva attraverso i primi piani del racconto intimo e allacciare il senso di un Paese a quello di un uomo in cui il pubblico e il privato hanno il medesimo volto di un Nobel per la letteratura. La storia di una vita e di un pensiero unici da ripercorrere con estremo rispetto e attenzione.

Il primo uomo Gianni Amelio traspone per il cinema il romanzo postumo di Albert Camus Il primo uomo, racconto (auto)biografico che ripercorre l’infanzia algerina del premio Nobel per la letteratura attraverso la presa di coscienza di un passato in cui già vibrano i prodromi di un presente segnato dalla Guerra (quella d’indipendenza algerina durata dal 1º novembre 1954 al 19 marzo del 1962). Sinceramente fedele al travagliato clima socio-politico della storia, Il primo uomo scava nei volti alla ricerca di una sofferenza insopprimibile che muta da povertà materiale in lontananza geografica e ideologica senza mai perdere il suo slancio positivo, ovvero la continua lotta a una non rassegnazione che attraverso la storia di Camus (bissata dall’incredibile parallelismo con quella di Amelio) arriva solida fino a noi. Un film mai sfocato e magistralmente diretto che ha il merito assoluto di divulgare la storia di un primo uomo impegnato (come tutti) a sopravvivere tra tanti primi uomini.

8

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