"Considero Il pasticciere un film di confine. Tra due paesi separati da una ‘terra di nessuno'. Tra il bene ed il male. Tra il noir e gli altri generi. Tutta la storia ruota attorno al suo personaggio icona. Dolcemente apatico rispetto allo scorrere degli eventi, Achille Franzi è un pasticciere diabetico, segnato da un trauma infantile che lo ha reso incline a essere spettatore della propria vita. Ma il destino, a volte, ci chiede di operare una scelta, ed è quello che Achille sarà costretto a fare, riprendendo, a modo suo, in un finale imprevisto, la propria vita".
Con queste parole, Luigi Sardiello, autore nel 2009 del calcistico Piede di Dio, sintetizza il suo secondo lungometraggio di finzione, interpretato come il precedente da Antonio Catania, il quale, appunto, ricopre il ruolo del sensibile e raffinato pasticciere del titolo.
Pasticciere la cui vita, da quando aveva dodici anni, si è svolta unicamente nel laboratorio della pasticceria del padre, tanto che i clienti rappresentano per lui l'unico contatto con il mondo esterno, in grado di garantirgli una esistenza quieta, ripetitiva e al sicuro da ogni sorpresa.
Almeno fino al giorno in cui, per uno scherzo del destino, si trova costretto a entrare nei panni di un finanziere senza scrupoli che ha ordito una truffa colossale.
Dolci... imprevisti

Del resto, come suggerisce la locandina, se giri nel verso sbagliato la vita impazzisce... quindi, colui che è cresciuto con l'idea che i dolci sono la nostra opportunità di rifare il mondo meglio di come è, finisce costretto a lottare per la sopravvivenza affrontando una serie di pericolose prove di cui non sa neppure il significato; accerchiato da un avvocato arrogante e pericoloso, una poliziotta scrupolosa alle prese con un caso più grande di lei e una donna sensuale ed ambigua, rispettivamente con i volti di Ennio Fantastichini, la Sara D'Amario de La banda dei Babbi Natale e Rosaria"Impepata di nozze"Russo, che si concede anche un gratuitissimo nudo integrale.
Nudo che, comunque, tra la partecipazione amichevole di Emilio Solfrizzi e una apparizione televisiva del giornalista e critico cinematografico Antonio D'Olivo, si rivela una delle poche visioni piacevoli (almeno per i maschietti) della oltre ora e mezza totale, sguazzante in mezzo bizzarri testimoni, maglie della giustizia che si stringono gradualmente e i crescenti sospetti di una macchinazione ai danni del protagonista, il quale vede anche la prospettiva di un amore.
Perché, sebbene, inizialmente, l'insieme riesca nell'impresa di strappare qualche sorriso allo spettatore, non tarda a cadere nell'inesorabile morsa della fiacchezza, complici i lentissimi ritmi di narrazione, tanto da risultare inutilmente lungo, nonostante la sua tutt'altro che eccessiva durata.
E la bravura del mai disprezzabile Catania, purtroppo, non è sufficiente a salvare il tutto.