Recensione Il papà di Giovanna

La follia di una figlia...l'amore di un padre

Recensione Il papà di Giovanna
Articolo a cura di

Umili

Bologna, autunno 1938. Michele Casali (Orlando) insegna disegno e storia dell'arte in un importante Liceo, frequentato da sua figlia Giovanna (Rorwacher) e da molti ragazzi della Bologna - bene, come Marcella Traxler (Belillo), nipote prediletta del potentissimo gerarca fascista Andrea (Graziosi). Nonostante le apparenze però, la vita di Michele è frustrata dai continui litigi con la moglie Delia (Neri), che gli rinfaccia senza sosta di essere un fallito, e dal sorgere in Giovanna dei sintomi di quella che parrebbe essere una malattia psichiatrica. Accecato dall'amore per la figlia, Michele cercherà ostinatamente di darle una vita normale, raccontandole bugie sui ragazzi (che sarebbero tutti segretamente innamorati di lei) e sulla scuola, nascondendole la triste realtà. Un giorno però la malattia di Giovanna si palesa in maniera inattesa e violenta, con l'omicidio premeditato di Marcella e scaglia la famiglia Casali in un vortice di tribunali e manicomi. Nonostante l'infuriare della Guerra ed i bombardamenti, Michele continuerà ad assistere la figlia, ma pagherà un prezzo altissimo in termini umani e spirituali.

Equilibri

Pupi Avati, da un paio di film a questa parte, ha deciso di approfondire il profondo e misterioso legame che si instaura fra padri e figlie, un po' per raccontare storie nuove, un po' per esorcizzare la sua difficile vita familiare perennemente sottomessa ai ritmi incessanti del lavoro registico. Dopo La cena per farli conoscere, dunque, il regista Bolognese torna sullo stesso argomento, questa volta cambiando punto di vista. Se nel film del 2007, l'individualità dominante era quella di Diego Abatantuono/Sandro, ne Il papà di Giovanna, la vera figura centrale è proprio la figlia che, anziché subire le scelte di vita paterne, prende in mano le redini della storia, nella maniera più drammatica possibile. Michele Casali non è un eroe e tantomeno una figura carismatica, ha una vita piccolo borghese, una moglie insoddisfatta ed un lavoro deludente, l'unico raggio di luce nella sua esistenza è rappresentato proprio dalla figlia di cui non ammetterà mai i problemi, neppure davanti all'evidenza. Padre e figlia dunque, seppur diversissimi fra loro sono uniti da un filo sottile ma indistruttibile, entrambi vedono il mondo in una maniera diversa da tutte le altre persone. Giovanna, nella sua malattia, non concepisce come nei rapporti umani ci sia molto di più di quanto non venga espresso a parole, mentre Michele è coriaceo, quasi ossessivo, nella sua convinzione che tutto si metterà apposto in futuro. In questo gioco del doppio c'è solo un terzo, grande, escluso: la figura Materna. Delia è un sovrappiù nel rapporto esclusivo fra i due, non ne conosce i segreti e, neppure troppo velatamente, si vergogna di questa figlia "anormale"; l'epilogo ovviamente sarà una lacerante separazione ma anche qui, l'esclusività del legame fra Michele e Giovanna si farà sentire, facendo capire perfettamente lo squilibrio che regna nella famiglia Casali.Avati, nel tratteggiare questo dramma intimista sceglie uno stile classico, senza nessun tipo di artificio retorico che si rifà al grande cinema melò della prima metà del novecento, concedendosi qualche libertà solo nelle scene girate nel manicomio, dove il regista si diverte a turbare lo spettatore ricorrendo alle sue grandi doti da cineasta di genere (Avati ama ed ha diretto molti horror di ambientazione Emiliana). Tuttavia, il film si mantiene costantemente in equilibrio, accorpando una encomiabile delicatezza narrativa con la forza prorompente dei sentimenti. Solo sul finale Avati si lascia prendere un po' troppo la mano, chiudendo il film in maniera troppo buonista, con una scena che lascia molto perplessi. Al di là di questa piccola sbavatura però Il papà di Giovanna resta un film assolutamente convincente, sia nella sceneggiatura (curata dallo stesso regista e dall'inseparabile fratello Giovanni) che nella messa in scena, alternando splendidi scorci Bolognesi, ad altrettanto affascinanti vedute della Bassa travolta dalla Seconda Guerra Mondiale.Qualcuno qui a Venezia ha tacciato Avati di revisionismo, ed effettivamente il ritratto dell'Italia littoria appare, ad un occhio ingenuo, molto più civile della controparte partigiana. In ogni caso, pur conoscendo le posizioni politiche del regista, ci sembra veramente eccessivo parlare di apologia del Fascismo o di nostalgia del ventennio. Anzi, la visione di Avati, pur con tutti i suoi limiti, ha il pregio di mostrare una faccia della Resistenza spesso nascosta sotto troppi sacrari, senza poi contare che il regista non è tenero neppure con i suoi supposti favoriti, dato che la famiglia Traxler usa il suo potere per distruggere completamente la vita di Michele e della sua famiglia. D'altronde gli abusi non hanno colore, e neppure appartenenza politica.

Tante conferme ed una sorpresa

Silvio Orlando firma la sua migliore interpretazione di sempre, portando sullo schermo un Michele Casati difficile da dimenticare per intensità drammatica; anche la Rorwacher, nei difficili panni di Giovanna, tira fuori tutto il suo talento, e le sue scene con Orlando sono sempre toccanti ma mai forzatamente patetiche. Grandissimo ruolo anche quello di Francesca Neri che, con Delia, affrontava forse il personaggio più difficile ed ingrato. La mamma di Giovanna (per parafrasare il titolo) è completamente negativa: prima tradisce la figlia, poi il marito e poi tradirà ancora, mettendo sempre se stessa davanti a tutto e tutti.La vera rivelazione di questo film tuttavia è stato Ezio Greggio che, nel suo primo ruolo drammatico, è molto convincente, dimostrando delle doti attoriali tutt'altro che disprezzabili interpretando il Poliziotto fascista amico e confidente di Michele.

Coppa Volpi

La giuria di Wim Wenders non s'è fatta scappare l'ottima prova di Silvio Orlando e, riconoscendo la sua enorme carica artistica ed umana, l'ha premiato con la Coppa Volpi al miglior attore. Un premio che non solo onora l'Italia ma sdogana finalmente il nostro cinema dalla maledizione del Lido al quale pareva destinato. Calcolando poi che fra i rivali di quest'anno c'era un certo Mickey Rourke si capisce bene il valore del lavoro di Orlando.

Il papà di Giovanna Il papà di Giovanna, assieme al film di Bechis, è stata la miglior produzione italiana presente in laguna quest’anno. Calibrato quasi perfettamente, il film si perde un po’ nel finale, mischiando la sua storia con la Storia in maniera forse confusa e a tratti superficiale. Tuttavia Avati, in questo suo viaggio nella psiche familiare si muove con passo delicatissimo non rinunciando mai ad un retrogusto amaro che basta a rendere il film estremamente interessante, oltre che godibile.

7.5

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