Recensione Il mio vicino Totoro

A ventuno anni di distanza dall'uscita nipponica originale ecco arrivare nelle sale Il mio vicino Totoro, capolavoro Made in Ghibli.

Recensione Il mio vicino Totoro
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Il mio vicino Totoro

Nel 1990 il regista Hayao Miyazaki, premio Oscar e Leone d'Oro alla Carriera, si erse a difesa di un angolo boschivo del proprio paese. Poco fuori la metropoli di Tokyo, sorge incontrastata la foresta di Sayama, che si estende per oltre 8750 acri: l'industrializzazione e l'urbanizzazione frenetica e compulsiva degli anni '70 e '80 hanno eroso a poco a poco questo straordinario patrimonio naturale. Proprio per conservare tale testimonianza floristica, l'autore de "La Città Incantata" e di "Ponyo sulla Scogliera" ha favorito incredibilmente la nascita di un consorzio a tutela della foresta di Sayama, che è "non soltanto una foresta specifica", ma rappresenta "lo spirito della nostra infanzia".
Il nome del consorzio? Totoro Forest Foundation. Bisogna sapere, infatti, che a Sayama nel 1987 si soffermarono a lungo Hayao Miyazaki e Kazuo Oga, intenti a trovare le giuste locazioni ove ambientare il prossimo film dello Studio Ghibli, "Tonari no Totoro" (1988). In Giappone tale film d'animazione ricevette un successo incredibile, promuovendo il gigantesco "mostro" peloso del film a mascotte ufficiale dello Studio. Da quel momento in poi la foresta di Sayama non fu più una foresta qualsiasi, ma la foresta ove dimora Totoro, custode, appunto, dello "spirito della nostra infanzia".

Ehi, c'è qualcuno alla porta!

Tonari no Totoro, divenuto all'atto di distribuzione italiano "Il mio vicino Totoro", fu senza dubbio un film importante per la crescita professionale di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli. Una pellicola che pone in risalto la maturazione e il raffronto generazionale: agli artisti Miyazaki chiese di provare il proprio talento attraverso uno script inedito rispetto ai precedenti Nausicaa e Laputa, due immensi capolavori, ma che avevano il difetto di rivolgersi soltanto al pubblico adulto.
L'esclusione della platea infantile era una cosa che non poteva essere tollerata. Totoro, allora, si rivolge agli infanti, li prende per mano e li accompagna in un viaggio meraviglioso tra scoperta e trepidazione, attesa e coraggio. Un compito che fu molto arduo per gli sceneggiatori, ansiosi di vagliare nuove modalità espressive, ma impauriti dalla reazione del pubblico di riferimento: si sa, i bambini sono molto impressionabili! E quindi l'intera pellicola si configura come una sfida, una ricerca del limite, oltre il senso comune, ma prima della paura, un continuo sbilanciamento tra serio e faceto, comico e serioso.
Tutto comincia dal personaggio attorno a cui ruota la vicenda, quel colosso di peli chiamato dalle sorelline Satsuki e Mei, protagoniste del film, Totoro, perchè simile per fattezze al troll visto in un libro illustrato (in giapponese, infatti, l'essere mostruoso che popola le saghe nordiche viene pronunziato "totoru"). Costui è tutt'altro che un essere amichevole, in virtù sopratutto dell'enorme mole e delle sue larghe fauci: il film, però, attraverso molteplici schemi comunicativi invita lo spettatore dapprima a mettere da parte i pregiudizi, di modo da apprezzare in seguito la figura per ciò che fa e non per ciò che è o appare.
La verità è che Totoro è una divinità assai particolare: inesistente nel nutrito pantheon shintoista, nasce dalla contaminazione tra i tanuki (esseri simili a procioni, che la mitologia vuole siano in grado di mutare aspetto: li si ritroverà nel "Pompoko" di Isao Takahata), i volatili dal piumaggio folto, come il gufo, e i felini in virtù dei lunghi ed espressivi baffi. Ma volendo scavare più a fondo si ritrova un antesignano dello "spirito della foresta" nel panda protagonista di "Panda ko Panda", serie anime in due episodi degli anni ottanta: "avevo pensato di voler fare anime per me stesso" disse una volta Miyazaki "ma poi sono divenuto padre e questo [Panda ko Panda] è stato il primo anime che ho veramente cercato di fare per i bambini". Totoro di fatto rappresenta un naturale proseguimento di questa avventura televisiva, ma l'ideologia è di ben altro spessore: "Non abbiamo potuto fare di più [di due episodi], così quando ho fatto Totoro, non è stato come riprenderlo, ma cercare di fare veramente un film per bambini".
"Il mio vicino Totoro" gioca quindi nel passaggio dal concreto all'astratto, nel ribaltare le apparenze, nel costituire (o ricostituire) rapporti impensabili precedentemente: il passaggio è un tema importantissimo. Comune a molte produzioni di Miyazaki, il viaggio di iniziazione o di formazione è pregnante in Totoro; il film si apre proprio con il trasloco di Satsuki e Mei, insieme al padre, verso le zone rurali che costeggiano l'imponente foresta di Sayama. E' il 1958. Il trasferimento dalla città alla campagna (una fuga dall'urbanizzazione, s'intende) è motivato dalla necessità di rimanere quanto più vicini alla madre ricoverata in una struttura ospedaliera della zona, l'Ospedale Shikokuyama (il quale ricorda la casa di cura ove veniva ospitata Naoko nel romanzo "Norwegian Wood" di Haruki Murakami).
La madre, pur essendo un personaggio di secondo piano, diviene per l'arco narrativo un "motore occulto", che condiziona non poco l'andamento della trama: il suo desiderio di lasciare l'istituto viene bilanciato dalla bramosia delle figlie di riabbracciare la madre, la fuga della prima coincide con l'approdo di queste ultime, secondo il rapporto che si instaura tra malattia e salute, serioso e comico.
Con tale pellicola, prima e unica volta all'interno delle opere di Miyazaki, si attua uno sdoppiamento del protagonista della vicenda. Tale processo, però, vede una serie di passaggi intermedi e spiegazioni: Miyazaki iniziò a lavorare su un personaggio che avesse in sé la responsabilità di Satsuki e la curiosità di Mei. Di tutto questo si ha traccia in alcuni bozzetti preparatori, nonché su alcuni cartonati dedicati alla promozione del film. Va inoltre osservato che il termine Satsuki viene a indicare il mese di Maggio nel giapponese arcaico; parimenti Mei richiama l'inglese "May": pur divise fisicamente le due sorelline restano unite psicologicamente, in virtù del forte rapporto che le lega.
Sicuramente dietro tale "sdoppiamento" vi è la volontà di determinare due caratteri distinti, uno in linea con la tradizione miyazakiana, l'altro totalmente innovativo.
L'età e il temperamento della sorella maggiore richiamano più volte la Lana di Conan o la Sheeta di Laputa, ma è sopratutto con la futura Chihiro de "La Città Incantata" che Satsuki condivide moltissimo del proprio carattere: entrambe bambine comuni, verranno a contatto con il fantastico per via indiretta, spinti dalla piccolina Mei o dai genitori fin troppo "intraprendenti". A tal proposito, è in "Le Città Incantata" che si materializza la più composita citazione all'universo di Totoro: nella sequenza di apertura si può intravedere un albero di canfora molto simile a quello ove dimorava Totoro, che, però, nel film del 2002 non è più rigoglioso come cinquant'anni prima, ma si ritrova circondato da alti edifici in muratura, ennesima denuncia del degrado urbano a cui sta andando incontro la foresta di Sayama.
Mei, di contro, rappresenta un personaggio femminile atipico per il regista, perchè non vive una fase di passaggio, ma rappresenta la pura innocenza infantile. Ammiratrice della sorella (la vede come un modello di riferimento, che, temporaneamente, ha sostituito quello materno), si immerge totalmente nel mondo che la circonda, mostrando curiosità e spirito di iniziativa: non teme i "nerini del buio", anzi ne acchiappa uno con energia, interviene nell'ecosistema dei girini e, scorto Chibi-Totoro nel proprio giardino, ne segue i movimenti, fino al cadere nella tana di Totoro. Un personaggio del carisma e dell'età di Mei non comparirà più nelle altre produzioni di Miyazaki, se non in gradevolissimi cammei (come ad esempio le bambine rapite dai pirati in "Porco Rosso"), il che risulta coerente col fatto che la stessa piccolina de "Il mio vicino Totoro" derivi a sua volta dall'Alice di Carroll: entrambe sono catapultate nel mondo fantastico (la tana dello "spirito della foresta" per Mei, il "Paese delle Meraviglie" per Alice attraverso un profondo buco nel terreno, dopo essersi impegnate in un furibondo inseguimento di "chibi-totoro" e del "bianconiglio").
Satsuki è il serio, Mei è il comico.
Satsuki rappresenta l'apprensione adolescenziale, Mei l'incoscienza puerile.
Due modi di vivere e di affrontare lo spazio attorno a loro (ricondurlo a punti fissi o esplorarlo in toto), due esperienze di vita difficilmente conciliabili in un solo personaggio.
Date tali premesse, come si configura dunque il rapporto tra le ragazze e la divinità Totoro? Quest'ultimo, pur essendo considerato sotto l'etichetta "mostruosità e affini" (Monsters & co., ehr...) non fa paura, dal momento che né Mei né Satsuki lo temono. Piuttosto provano per lui un profondo rispetto e vi si affidano: Mei sorride quando Totoro spalanca la bocca e le mostra le proprie fauci, poi salta sopra la sua pancia e quivi si addormenta. Il meccanismo fa in modo che la piccolina, e con essa lo spettatore, "percepisca il mostro come un amico o un guardiano", come sostiene il professor Masao Yokota, psicologo dell'Università di Tokyo.
Anche Satsuki quando incontra per la prima volta Totoro si pone pressapoco come la sorella minore. E' la scena più celebre della pellicola: recatesi le due alla fermata dell'autobus per attendere il ritorno del padre dall'Università, ove lavora come ricercatore, di colpo viene a piovere. Mei stanca per la lunga giornata crolla di sonno sulle spalle della sorella. Il Sole cala e le tenebre si fanno largo: una flebile luce illumina quell'angolo di foresta. Satsuki è sola e in un ambiente ostile. L'avvicinarsi di un colosso peloso farebbe sussultare chiunque: e invece lei ne coglie sin da subito la bonarietà e l'affabilità. Totoro si ripara dalla pioggia tramite una minuta foglia, evidentemente troppo piccola per risultare efficace: Satsuki gli presta un ombrello di colore scuro per proteggersi dalle gocce di pioggia. La creatura, però, ne percepisce più che una pratica utilità, una valenza ludica; per questo inizierà a compiere balzi su e giù, per la propria gioia e per lo stupore di Satsuki. Totoro, infine, si congederà dalla bambina salendo sul "Neko-bus", un particolare mezzo di trasporto a forma di gatto. Quest'ultimo assumerà un ruolo fondamentale sul finire del film, venendo in soccorso alle bambine, sventando così l'incubo di un finale drammatico.
Come burattini, mossi da quell'inaspettato artista di Totoro, giocherellone e burlone certo sì, ma sempre disposto ad aiutare chi ne invoca la protezione, i personaggi del film saranno ricondotti a una situazione di totale normalità, tant'è che, e questo ce lo dice Miyazaki, non incontreranno più la gigantesca creatura. Sarà proprio la cieca fiducia di Mei e Satsuki a congiungere il mondo reale con quello fantastico, concretezza e astrattismo, leggende popolari e religione ufficiale.
Di Tonari no Totoro rimane l'incredibile capacità narrativa, l'abilità nell'aver reso fantasiosa e poetica la quotidianità: era una lezione che per forza di cose né Nausicaa né Laputa erano stati in grado di raccontare. Miyazaki con questa "favola" ha voluto insegnare al popolo giapponese la gioia e la passione del vivere sano all'aria aperta, in comunione con il passato contadino e le divinità shintoiste protettrici della Natura. E questo è senza alcun dubbio il miglior modo per contrastare l'urbanizzazione e il disboscamento che minaccia da troppi anni la foresta dove su un grande albero di canfora Totoro suona ogni notte l'ocarina...

A sentirlo suona strano...

"Il mio vicino Totoro" è in programmazione in Italia da circa una settimana. In Giappone gira già da ventuno anni.
La distanza culturale e più di un pasticcio operato dai distributori nostrani con i film Ghibli hanno posticipato a tal punto l'uscita nel nostro paese della pellicola. Quel che è certo è che l'amorevole cura con cui Lucky Red ha affrontato una simile operazione ha ripagato ampiamente l'attesa.
L'opera di traduzione è stata affidata a Gualtiero "Shito" Cannarsi, il quale già si era occupato delle edizioni italiane de "Il Castello Errante di Howl", "I Racconti di Terramare" e "Ponyo sulla Scogliera", tutti e tre distribuiti da Lucky Red. Già con Ponyo, pellicola considerata come un seguito "spirituale" di Totoro, il lavoro si era rivelato eccellente, per quanto in alcune occasioni si andava incontro ad eccessive forzature, giustificate dal desiderio di ricalcare il più possibile i dialoghi giapponesi. Con "Il mio vicino Totoro" si assiste a un lavoro di qualità proprio come con la pellicola del 2008, in cui, però, i dialoghi e la recitazione appaiono decisamente più naturali. Merito dei magnifici interpreti come Letizia Ciampa nel ruolo di Satsuki (la voce di Hermione in Harry Potter e Vanessa in High School Musical), Lilian Caputo in quello di Mei (voce della piccola Lucy Pevensie ne "Le Cronache di Narnia"), Vittorio Amandola per i grugniti di Totoro e Liù Bosisio nel ruolo della nonnina, precedente proprietaria della casa ove si trasferiscono Satsuki e Mei (già Marge Simpson ne "I Simpson").
La qualità dell'audio e del parlato è rimarchevole, grazie sopratutto al supporto della Technicolor: ne guadagnano sopratutto le musiche di Hisaishi, qui poetiche più che epiche, cariche in particolare del ruolo di sottolineatura e di narrazione.
Per quanto concerne, invece, i temi d'apertura e di chiusura, Cannarsi ha optato per una traduzione in italiano: una scelta che trova piena giustificazione nel desiderio di non produrre un adattamento destinato ai soli appassionati e quindi criptico per i bambini, naturale target del prodotto, ma che possa essere visto e apprezzato da chiunque. Grandi e piccini. Così l'opening "Sampo" diviene "Passeggiata" e fa più o meno così: "Camminiam, camminiam... io sto benone, sì!/Mi piace tanto camminar... di buon passo andiam!/Strade in collina... gallerie... distese d'erba.../Ghiaia sul sentier... e poi per ponte un tronco c'è!", mentre l'ending sulle note del tema di Totoro suona così: "Totoro, Totoro... Totoro, Totoro... /Chi mai sarà... che va a piantar.../Di nascosto semi sul sentiero?/ [...] /Il vicino Totoro, Totoro... Totoro, Totoro.../Nel bosco abita,/Ci vive fin dall'antichità!".
Dal punto di vista del video, invece, non vi sono generali miglioramenti: il fatto che si tratta di una prima visione non necessita contemporaneamente di un qualsivoglia lavoro di "restauro" dell'immagine. Insomma, come se Tonari no Totoro fosse stato proiettato in terra natia solo qualche mese fa...

Il mio vicino Totoro Hayao Miyazaki con “Il mio vicino Totoro” apre una nuova fase della sua carriera. Che parla della quotidianità e alla quotidianità. Parla anche di ecologia: da qui, dalla Totoro Forest, partirà un lungo percorso in seno allo Studio Ghibli che toccherà “Omohide Poro Poro” e “Pompoko” di Takahata, ma anche “La Principessa Mononoke” dello stesso Miyazaki. Contro l'urbanizzazione imperante e la crisi dei valori del Giappone moderno: in questo Totoro è un capogruppo eccezionale. In questo e per questo Totoro è il manifesto del cinema Ghibli e pertanto è il più indicato ad aprire ogni futura pellicola dello studio d'animazione, inaugurare un nuovo viaggio entro il solco della fantasia: la remunerazione più grande sarà quella di trovarne un pizzico anche nella realtà di ogni giorno, alla fermata dell'autobus, a scuola, in un ospedale... Un ringraziamento particolare va alla tesi "Tonari no Totoro di Miyazaki Hayao" di Antonella di Tillo, indispensabile perl'analisi critica del film

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