Il labirinto del fauno, recensione del film di Guillermo del Toro

Dopo La spina del diavolo, Guillermo del Toro torna a raccontare, in un originale mix tra dramma di formazione e fantasy fiabesco, le ferite della guerra civile spagnola.

Il labirinto del fauno, recensione del film di Guillermo del Toro
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"Tanto tempo fa, nel regno sotterraneo, dove la bugia, il dolore, non hanno significato, viveva una principessa che sognava il mondo degli umani. Sognava il cielo azzurro, la brezza lieve e la lucentezza del sole. Un giorno, traendo in inganno i suoi guardiani, fuggì. Ma appena fuori, i raggi del sole la accecarono, cancellando così la sua memoria. La principessa dimenticò chi fosse e da dove provenisse. Il suo corpo patì il freddo, la malattia, il dolore, e dopo qualche anno morì. Nonostante tutto, il Re fu certo che l'anima della principessa avrebbe, un giorno, fatto ritorno, magari in un altro corpo, in un altro luogo, in un altro tempo. L'avrebbe aspettata, fino al suo ultimo respiro. Fino a che il mondo non avesse smesso di girare"
E' stato il film spagnolo di maggior incasso della storia, ha vinto decine di premi in vari festival in giro per il mondo (Oscar inclusi) e rimane sicuramente ad oggi, col precedente La spina del diavolo, l'opera più originale di Guillermo del Toro. Il labirinto del fauno, che compone col titolo poco sopra i primi due tasselli di una trilogia ad oggi incompleta sulla guerra civile spagnola e le sue conseguenze, spiazza ed ammalia per la particolare scelta di raccontare tematiche crude e realmente inconfutabili nella storia recente alternandole ad un'ispirata controparte fiabesca, coniugando nel migliore dei modi immagini ed emozioni.

Il fauno e la bambina

Spagna, 1944. Mentre la nazione è ancora scossa dopo la fine della guerra civile, la piccola Ofelia è in viaggio con la madre incinta per raggiungere il patrigno Vidal (e futuro genitore del fratellino) che sta dando la caccia ad una banda di ribelli repubblicani. L'uomo, capitano dell'esercito franchista, è un individuo crudele che ritiene la piccola come una palla al piede e attende soltanto la nascita del nuovo erede. Ma la madre comincia a star male e rischia di perdere sia il bambino che la propria salute; Ofelia si rifugia così nell'immaginazione e viene in contatto con una sorta di fatina volante che la conduce al cospetto di un gigantesco fauno. Questi dice alla bambina che ella è in realtà la reincarnazione della Principessa del Mondo Sotterraneo e che dovrà superare tre prove per ottenere di nuovo il suo ruolo nel regno magico. Al contempo però la piccola si troverà dinanzi a sfide ben più ardue nella realtà, nella quale Vidal si appresta alla resa dei conti con le milizie della resistenza.

Escape from reality

Il labirinto del fauno rifugge il consolatorio classico per offrirci una via più malinconica e, a tratti, dolorosa, che cattura col giusto realismo la complessità del periodo storico. Il tutto riesce senza una discesa nel più becero pietismo, sostituito da una consapevolezza profonda che trova nelle seppur fiabesche fantasie della protagonista il miglior modo di emergere con potenza sia visiva che emozionale. Il mondo delle fate, il fauno e le varie creature che Ofelia trova dinanzi al suo cammino rispecchiano infatti le altrettante sfide che ella deve affrontare nella più cruda ed amara realtà, nel quale dominano e il sangue e le violenze perpetrate dal diabolico patrigno. L'opera di del Toro, particolarissimo mix di fantasy e dramma interiore, il tutto su uno sfondo bellico sempre vivo nella memoria iberica, può dirsi più che vinta grazie a quest'alternata impostazione dei due mondi, con il nostro preda della più cieca disumanità e quello del possibile sogno (saggiamente il regista / sceneggiatore sceglie di tenere letteralmente le porte aperte al poter "credere") che si appoggia all'oscura visionarietà dell'autore, in grado grazie agli ottimi effetti speciali di forgiare creature di magnetico ed inquietante fascino, immerse in un paesaggio suggestivo (tra i tre Oscar vinti, quello per la miglior scenografia) che si trasforma in immaginifico luogo di fuga dalle asprezze dell'esistenza.

Il Labirinto del Fauno Ne Il labirinto del fauno Guillermo del Toro torna ad indagare nelle ferite ancora aperte della guerra civile spagnola realizzando una delle sue opere più personali e affascinanti. In un insolito mix tra cruda realtà e immaginario fantasy d'ispirazione gotica, il regista messicano racconta un tragico ed intenso percorso di crescita utilizzando in una sorta di complessa metafora l'iconografia fiabesca per narrare un dramma, sia personale che collettivo, dal quale è difficile non farsi commuovere.

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