Il Grinta, la recensione: un cast stellare al servizio dei Coen

Il remake di un classico del western firmato dai fratelli Coen: la nostra recensione de Il Grinta, con un cast stellare.

Il Grinta, la recensione: un cast stellare al servizio dei Coen
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Pochi ma buoni: nel 2003 Terra di confine, firmato Kevin Costner, afacianados del genere. Quattro anni dopo addirittura il bis, con il discreto remake di Quel treno per Yuma di James Mangold e l'originale e atipico L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford di Andrew Dominik. Nel 2008 è stato Ed Harris a riportare maestosamente alla gloria il polveroso west con quel piccolo gioiello che risponde al nome di Appaloosa. Se di certo non si può negare la scarsità con cui il cinema western trova spazio negli anni 2000 sul grande schermo, è innegabile la qualità mediamente alta di cui queste opere, produttivamente coraggiose, si fregiano. E' toccata addirittura a Il grinta, film forse non fondamentale nel genere, ma senza dubbio un cult per milioni di appassionati, la revisione più recente, firmata niente di meno che dai Joel ed Ethan più famosi di Hollywood.

Bang bang again

Non era semplice riportare alla gloria un film simbolo del Cinema western come Il grinta. Eppure, come sembra anche confermare la candidatura a ben dieci Premi Oscar, i Coen Bros. paiono essere riusciti nell'impresa di aggiornare un'icona e dare forse nuova linfa a un genere che, nonostante periodi di latitanza più o meno lunga, è destinato a non morire mai. Oltre alla sfida titanica dei Fratelli Terribili in cabina di regia nei confronti di un maestro del settore come Henry Hathaway, l'altro confronto al sapor di leggenda era quello tra John Wayne, simbolo assoluto del west cinematografico, e Jeff Bridges. Chissà che proprio il personaggio dello sceriffo Cogburn, che diede l'unico Oscar della sua carriera a Wayne, non porti fortuna anche a Bridges, concedendogli il bis a un anno di distanza dalla vittoria per Crazy Heart. Attendendo dunque i giudizi dell'Academy, vediamo di dare il nostro giudizio sulla versione 2010 di True Grit.

In cerca di vendetta

La 14enne Mattie Ross (Hailee Steinfeld), a dispetto della giovane età, è assai determinata a vendicare la morte del padre, ucciso dal balordo Tom Chaney (Josh Brolin). Lasciando a casa il fratellino piccolo e la madre dilaniata dal dolore, decide di assoldare il rude e alcolizzato sceriffo "monocolo" Reuben J. 'Rooster' Cogburn (Jeff Bridges). Sulle tracce dell'omicida vi è anche il Texas Ranger Lebouf (Matt Damon). Mattie è intenzionata a partecipare ella stessa alla "caccia all'uomo", e nonostante la riluttanza dei due uomini, l'insolito trio si mette in viaggio alla ricerca di Chaney.

Il gigante e la bambina

Sin dai primi istanti aleggia un'atmosfera malinconica, non solo insita nella stessa storia e nei suoi personaggi, ma anche nello sguardo registico con cui i Coen decidono di rendere omaggio al genere, in una sorta di nostalgico rimando al passato. Ecco, perciò, che lo stile crepuscolare e arido, che aveva regnato in Non è un paese per vecchi, ritorna qui solenne, adattato ai crismi dell'epoca in cui è ambientato, andando a raccontare una vicenda che non perde mai di mordente grazie anche al carisma dei suoi protagonisti. Bridges sceglie un approccio rispettoso alla figura di Cogburn, ed è inutile tirar fuori paragoni con l'interpretazione ai suoi tempi di Wayne, tanto sono differenti le loro caratterizzazioni, e, d'altronde, la stessa evoluzioni degli eventi. Nonostante, quindi i tratti variopinti e sopra le righe, Bridges non calca troppo la mano e sforna una prova di grande spessore nel limare le bizzarrie del suo Sceriffo dal grilletto facile, offrendoci comunque alcuni dei monologhi più divertenti e riusciti che un cowboy abbia mai pronunciato su pellicola. La vera sorpresa nel cast è senza dubbio la giovane Hailee Stenfield, al suo esordio assoluto sul grande schermo dopo alcune esperienze televisive, e se il buongiorno si vede dal mattino, siamo probabilmente dinanzi all'alba di una nuova stella. L'attrice, da poco quattordicenne, tiene testa, con una bravura rara in età così giovane, ai suoi colleghi, rivelandosi quasi il vero punto magnetico dell'intero costrutto narrativo, con un carisma che speriamo di rivedere al più presto in altri lavori degni di nota. Se la cava bene anche Matt Damon, in un ruolo da comprimario, paradossalmente uno dei più riusciti della sua carriera recente, mentre la strombazzata presenza di Brolin, scritta a caratteri cubitali anche in locandina, si limita pressochè a nulla più di un cameo, seppur fondamentale al fine degli eventi.

Lo splendore dell'ovest

Ma Il Grinta non vive solo dei suoi attori: la mano dei Coen c'è e si vede. Una riflessione amara che evita il rischio di prendersi eccessivamente sul serio, un racconto ferale della vita del vecchio west, in cui i furfanti la passavano liscia anche fin troppo spesso. E' su questa atmosfera disillusa che Cogburn, uomo tutto d'un pezzo, muove i suoi passi di rinnegato, tra processi per colpa del suo grilletto facile e scorribande solitarie nell'alcool. Ma è anche una storia sul coraggio, sulla "grinta" del titolo, che spinge gli uomini a lottare per ricordare, a loro stessi, cosa sia giusto per non avere rimorsi o rimpianti. L'azione, limitata a una decina di minuti complessivi, è sempre avvincente (la sparatoria finale ha un sapore vagamente epico) e si amalgama bene al mood introspettivo e drammatico da cui è, lungamente, inframezzata. Il west nei suoi topoi classici è circoscritto all'immensità dei canyon e delle foreste, perciò scordatevi i classici saloon e ragazze di "buona madre", visto che il minutaggio relegato all'ambiente cittadino è limitato al primo quarto di carattere introduttivo. Ecco perciò "brillare" in tutto il loro splendore gli sconfinati paesaggi della frontiera americana, sfruttati con un'aura quasi da cartolina dai registi, in grado di catturare appieno il feeling di quei luoghi dal sapore mitico. Il tutto accompagnato da una colonna sonora che vira anch'essa su sonorità malinconiche, e compare spesso durante l'arco del film, riuscendo però al contempo a non essere invadente e fastidiosa, bensì perfetto accompagnamento degli umori. L'unica nota "negativa" se così vogliamo chiamarla, è forse la lunghezza: non stentiamo ad affermare che addirittura una mezzoretta in più, inserendo una maggior introspezione, a tratti fin troppo "tagliata" con l'accetta, sarebbe stata più consona a un racconto di ampio respiro, il quale ci troviamo davanti. Niente che vada comunque a inficiare il valore globale di un'Opera, il cui stesso epilogo, che naturalmente non sveliamo, mostra nuovamente il grande e ossequioso rispetto, pregno di nostalgia orgogliosa, a un genere che ha fatto, e continuerà a fare, la storia della Settima Arte, almeno finchè vi saranno autori del calibro dei Coen a raccontarne la gloria.

Il Grinta Il Grinta versione Coen mantiene tutte le sue promesse, e si rivela un film assai diverso dalla sua controparte originale, sia per lo stile con cui è raccontata la storia, che per lo svolgimento stesso e la caratterizzazione dei suoi protagonisti. Un ottimo Bridges è supportato più che brillantemente dall'esordio della giovane Steinfeld, e ci accompagna in questa storia polverosa sul fascino di un west doloroso, irto di pericoli e dove non sempre la giustizia trionfa. Un cavaliere indomito, immerso nell'alcool e nell'autocommiserazione, che ritrova la forza di lottare grazie a una ragazzina coraggiosa. I Coen trasportano il Mito nella realtà, ammantando questo epico viaggio di malinconia e nostalgia a un'epoca e un Cinema che non ci sono più. Ma che allo stesso tempo, sopravviveranno per sempre, con la stessa Grinta di un burbero sceriffo.

7.5

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