Recensione Il giardino di limoni

Una fiaba al confine fra Israele e Palestina

Recensione Il giardino di limoni
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Il limone della discordia

Salma Zidane (Abbass) è una vedova palestinese che vive curando il suo giardino di Limoni, al confine fra i territori Palestinesi ed Israele. Sconfitta dalla vita ed ormai rassegnata ad una vita fatta di poche soddisfazioni e tanti sacrifici, si vede piombare addosso una rivoluzione quando il neoeletto Ministro della Difesa, Israel Navon (Tavory) viene ad abitare in una villa bunker che confina proprio con il suo giardino. In pochi giorni i servizi segreti e l'esercito trasformeranno il suo giardino in un campo di battaglia, montando torrette, filo spinato e mura, tutto per difendere la presunta incolumità del ministro e della sua insoddisfatta moglie (Lipaz - Michaels). In un eccesso di zelo, i militari decideranno di estirpare l'intero campo di Limoni, adducendo paranoici motivi di sicurezza nazionale. A questo punto Salma deciderà di prendere in mano la situazione, reclutando un giovane avvocato Palestinese, Ziad (Suliman) e facendo causa al Governo israeliano. Il suo caso sarà immediatamente notato dai media internazionali e, in breve tempo, diventerà un vero e proprio processo politico, le cui conseguenze andranno ben oltre ai semplici alberi di Limone.

Fra Rossellini e la striscia di Gaza

Basandosi su un fatto realmente accaduto, il regista Eran Riklis (noto al pubblico occidentale per La sposa Siriana, vincitore nel 2004 del premio del pubblico di Locarno) costruisce un'intensa fiaba dai sapori quasi rosselliniani, perennemente sospesa fra la farsa ed il realismo più crudo. Il giardino di Limoni è un film semplice, lineare nella struttura e nella messa in scena, tradizionale, forse, ma al tempo stesso ironico e mai banale. Riklis si ispira ai grandi maestri italiani (soprattutto al realismo più che al neorealismo), e non lo nasconde. Le ambientazioni, quotidiane e per nulla artefatte richiamano gli scorci della Berlino di Germania Anno Zero o di Roma città aperta, in cui la macchina da presa ricostruisce la quotidianità di un mondo che di quotidiano non ha nulla. Salma e gli altri protagonisti fingono di vivere delle vite "normali" fra carri armati, uomini del Mossad e posti di blocco, stretti fra due stati in guerra perenne che ormai hanno scordato i motivi per cui si odiano. Da questo punti di vista il film non fa sconti né all'una né all'altra parte. Gli israeliani sono ritratti con una buona dose di ironia, come delle scapestrate Sturmtruppen guerrafondaie, mentre i Palestinesi appaiono come dei burocratelli senza qualità che scimmiottano l'organizzazione di Israele, rinunciando alla loro identità e vendendosi così al "nemico" di sempre. Ma tutte queste questioni restano sempre sullo sfondo, Riklis infatti ci racconta l'essenza del conflitto israelo - palestinese metaforicamente, mettendo Salma - Davide contro il Ministro - Golia che, con la sua tracotanza incarna perfettamente il modo di pensare dei falchi sionisti, con più di un riferimento all'ex premier (e, guardacaso, ex ministro della difesa) Ariel Sharon. Il gioco di rimandi funziona, il conflitto diventa una "semplice" questione di buon vicinato ed è efficace nel raccontare senza dire, lavorando sugli sguardi e sulle situazioni anziché sulla sceneggiatura. Anche la tenera storia d'amore fra Salma ed il suo (troppo) giovane avvocato è semplice, adolescenziale ma non scontata, e si intreccia bene nelle dinamiche di un film delicato ed elegante che riesce a trattare tematiche controverese e, potenzialmente, molto rischiose con grande maestria.Riklis tuttavia non cede alla tentazione di chiudere la sua storia con uno scontato lieto fine e, nel finale, cambia completamente le carte in tavola raccontandoci la miseria di due popoli che hanno abbandonato da migliaia di anni il cammino della ragione ("ci facciamo la guerra da tremila anni, pretendi che sia io a trovare una soluzione?!" dice il ministro alla moglie durante una litigata).Certo, qualcuno potrà obiettare che in Italia questo genere di film si giravano cinquant'anni fa e che il regista non ha l'eleganza formale di un Visconti e che la Abbass non è la Magnani. Ma già il fatto che almeno cinematograficamente Palestinesi ed Israeliani riescano, finalmente, a riflettere sulla loro condizione fa ben sperare per il futuro.

Il cast de Il giardino di Limoni è, per la massima parte sconosciuto al pubblico occidentale. L'unico attore che ha calcato recentemente i red carpet nostra è Ali Suliman che ha avuto una parte in Nessuna Verità di Ridley Scott e in qualche telefilm di ambientazione medica. Il resto degli interpreti viene dal teatro e dalla televisione, ma i risultati sono tutt'altro che disprezzabili. la Abbass è commovente e credibile, anche se ogni tanto eccede nella sua interpretazione drammatica mentre Tavory incarna bene le contraddizioni e gli intrallazzi dell'uomo di potere. Bravi anche i personaggi secondari, bidimensionali quanto basta per non invadere la scena ai protagonisti.

Il giardino di limoni Il giardino dei Limoni è un bel film e s’è meritato l’Orso a Berlino per la sua categoria. La fiaba di Salma e dei suoi limoni appassiona senza mai diventare pedante, concedendosi anche alcune riflessioni non banali sulla situazione odierna in Israele.

6.5

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