Recensione Il cuore grande delle ragazze

Avati, le donne e l'amore negli anni '30

Recensione Il cuore grande delle ragazze
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Stranisce Il cuore grande delle ragazze (ultimo film del regista bolognese Pupi Avati) sin dal titolo, un plurale fuorviante che lascerebbe pensare a un'opera corale sulla malia dei sentimenti femminili e che invece narra la singola storia di un amore consumatasi nella prima metà degli anni '30. Un film che punta tutto sulla ricostruzione, a ‘personaggi stagni', di usi e costumi di quell'epoca, tralasciando quasi del tutto la struttura narrativa di raccordo. Molto attento a certi folcloristici particolari, è come se il regista perdesse invece totalmente di vista l'economia globale della storia.

I Vigetti sono una famiglia contadina con tre figli: l'intelligente Edo, la monumentale Sultana dai lunghissimi capelli e che vive nell'attesa delle sospirate mestruazioni, e Carlino, il classico ‘sciupafemmine' dotato di un inebriante alito all'odor di biancospino e che non riesce a stare più di qualche giorno in astinenza da sesso. E proprio su Carlino (Cesare Cremonini) ricadranno le attenzioni dei genitori, che lo vorrebbero fidanzato con una delle due (bruttine e poco appetibili) figlie degli Osti, proprietari terrieri con il solo desiderio di sistemare le loro (non più tanto) fanciulle. Come ricompensa per il 'caritatevole' gesto, Carlino riceverebbe in dono una moto Guzzi nuova di zecca, mentre i suoi genitori la possibilità di mantenere la loro dimora per altri dieci anni senza problemi. Spinto dunque da queste 'allettanti' condizioni, Carlino diventa per un lungo mese frequentatore assiduo di casa Osti, trascorrendo ogni giorno un'ora di tempo in compagnia delle due potenziali spose (tra spinose domande sul peccaminoso sesso e previsioni sulla papabile scelta del ragazzo), tra cui alla fine dovrà sceglierne una. Arrivato il giorno del ‘giudizio' però, il ragazzo rimarrà folgorato da Francesca (Micaela Ramazzotti), terza figlia degli Osti (sopraggiunta con ottimo tempismo da Roma). E lei di lui. Sarà un colpo duro da accettare per gli Osti che già si erano da tempo cullati nell'idea di poter finalmente ‘maritare' una delle loro due ‘zitelle', ma che finirà nondimeno per portare Carlino e Francesca all'altare, non prima di una serie di intervenute complicanze che protrarranno di qualche tempo il fatidico sì, e la ‘pericolosa' astinenza di Carlino.


Carlino e Francesca, un titolo più appropriato

Troppo artificioso e frettoloso il modo con cui Pupi Avati gestisce quella rosa di momenti cruciali che diverranno il nucleo centrale della storia d'amore tra Carlino e Francesca, personaggi calati in un patinato realismo vintage che non trasmettono mai emozioni sensibili. Il loro è un avvitamento emotivo che non trova riscontro alcuno nella scansione temporale delle dinamiche raccontate: ogni momento di svolta appare come una fatalità piuttosto che come una conseguenza di situazioni maturate nel tempo. A questa materia impalpabile, inoltre, di certo non giovano le interpretazioni vacue dei due attori principali (del tutto assente il Carlino di Cremonini, sovraesposta la Francesca della Ramazzotti, troppo carica nella recitazione e nel marcato quanto improponibile accento romano). Un film che partiva con il presupposto (nobile) di raccontare una stagione (mai del tutto finita) in cui le donne vivevano la loro vita in attesa e in virtù di quel principe (senza macchia - almeno nelle speranze) che avrebbe potuto salvarle, e che molto spesso finivano invece per subire ed accettare tetri compromessi pur di portare avanti quell'unione segno della loro 'apparente' indipendenza. Un tema che rimane di fatto del tutto inesplorato in questo ultimo film di Avati, naufragato tra personaggi e contesti frettolosamente abbozzati protesi verso un perdono che infine appare tutt'altro che viscerale.

Il cuore grande delle ragazze Delude Pupi Avati con Il cuore grande delle ragazze, un film racchiuso negli schemi sentimentali/matrimoniali degli anni ’30 e che vorrebbe raccontare lo spirito di sacrificio, il senso di accettazione e comprensione appartenente alle donne d’allora ancor più che a quelle d’oggi e che invece si trascina avanti il peso di personaggi-macchietta e inutili stereotipi che nulla aggiungono al ben più complesso discorso di donna e sacrificio in un mondo ad appannaggio maschile. Che si tratti forse di una sensibile deriva tra gli intenti deliberati e i risultati finali?

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