Recensione Il cecchino

Michele Placido dirige il polar francese Il cecchino

Recensione Il cecchino
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In procinto di arrestare una incallita ed esperta banda di rapinatori di banche, gli uomini del capitano Mattei (Daniel Auteil) vengono messi uno a uno fuori gioco dall'infallibile mira di un cecchino posto a copertura della banda. Mattei è costretto alla ritirata ma nel fuoco incrociato di polizia e rapinatori rimane gravemente ferito anche il giovane Nico (rispettato componente della banda di rapinatori). L'incidente stravolge quindi i piani dei malviventi, costringendoli a fare rotta verso l'abitazione di un medico ‘clandestino' (Olivier Gourmet) che possa mettere in salvo la vita di Nico. Ma le cose, da entrambi i lati della barricata sociale, sono destinate a complicarsi, e se per Mattei l'episodio darà il via a una micidiale caccia all'uomo (mutata poi strada facendo in una questione sempre più personale), anche all'interno della banda, l'apparenza dei legami lascerà il passo alla paura di perdere il bottino, o qualcosa di ancora più grande, dando vita a una pericolosa quanto folle corsa alla salvezza che non risparmierà niente e nessuno. Storia di una sfida tra due uomini posti dal caso o dalla vita uno contro l'altro, destinata a lasciarsi alle spalle una scia di sangue e di dolore. 

In un mondo di antieroi

Siamo nuovamente dalle parti del ‘racconto criminale' con Il cecchino di Michele Placido, che dirige un polar tutto francese dove a emergere è il livore dei personaggi più che l'intreccio della storia. Imprinting americano e allure francese si fondono qui in un poliziesco che predilige la scena d'azione al racconto privato, costruito tutto attorno a un manicheismo naif e sostanzialmente antropico in cui bene e male si sdoppiano nella figura di due uomini appartenenti per caso (e quasi senza convinzione) a una delle due sfere, forse anche prontamente disposti a uno scambio di ruolo. Le controversie di una società che inganna sia chi persegue il (presunto) bene sia chi si schiera apertamente dalla parte del male (o che addirittura è incarnazione stessa del male - il medico turbato), vengono così equamente cosparse sui corpi di un mondo maschile (solo tre le donne e tutte tratteggiate come mere esche umane) che insegue, ferisce e uccide quasi più per un ancestrale bisogno di rivendicazione che per reale necessità. Un gioco di soldatini dal quale infine emergeranno, diradatesi le nebbie del caos, i due volti più tenaci e forse anche più sofferenti: quello del capitano Mattei (segnato da una profonda ferita) e quello di Vincent Kaminski (uomo dalle tante vite e con il vizio di una mira infallibile). Un testa a testa che andrà avanti per molte battaglie ma che è destinato a protrarsi fino alla fine della guerra, secondo uno schema di attacco e difesa in cui la precisione inferta dai colpi (quelli tangibili delle pallottole ma ancor di più quelli del dolore affettivo) è l'arma più potente e temibile. Un film che scivola via senza grandi pecche o momenti memorabili (tranne l'appeal di qualche bella scena d'azione), girato secondo l'ordinaria ritmicità del genere e affidato alle interpretazioni di un cast di attori di livello che non deludono. Ma tra la forma poliziesca e la matrice esistenzialista, Placido non trova la giusta armonia e Il cecchino appare (soprattutto da un certo punto in poi) troppo esile per raggiungere il confronto epico tra due incarnazioni dello stesso male, e per aspirare a essere qualcosa di più di ciò che appare (un film di genere sottomesso alla sua stessa conformità stilistica). Uno stile d'omologazione che appiattisce anche l'emozione interna ed esterna al film, inibendo il valore di quella resa dei conti finale lungamente attesa di due uomini che si specchiano l'uno nell'altro scorgendo le ferite inferte da una vita ugualmente (o diversamente) impervia.

Il cecchino Michele Placido dirige un polar francese dal cast d’eccezione, che include tra gli altri Daniel Auteil, Mathieu Kassovitz, e i nostrani Luca Argentero e Violante Placido. Una importante coproduzione (Francia, Belgio, Italia) che punta sull’appeal visivo del prodotto e che unisce la tradizione del polar francese alla capacità d’intrattenimento tutta americana. Un film che si lascia vedere e che sorprende anche per la fludiità, ma che alla fine esce di scena (per mancanza di una scrittura che entri in maniera più pregnante nel merito della storia) con la stessa velocità d'azione con cui cerca di 'irretire' il suo pubblico.

6

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