Recensione Il capitale umano

L'escursione di Paolo Virzì nel thriller

Recensione Il capitale umano
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"Paolo Virzì aveva letto il romanzo e ne era rimasto entusiasta, lo ha fatto leggere anche a me e Francesco Piccolo e anche noi ne siamo diventati grandi estimatori. Ci piaceva l'idea di fare un film di genere diverso e cambiare strada. Abbiamo affrontato il libro mantenendone la trama, ma lo abbiamo scomposto. Vediamo in scena all'inizio un agente immobiliare in crisi ma ambizioso (Fabrizio Bentivoglio) che vuole sfruttare cinicamente l'opportunità che gli deriva dal fidanzamento tra sua figlia e il figlio di un ricchissimo titolare di fondi di investimento (Fabrizio Gifuni). Seguiamo poi la vicenda della moglie del ricco finanziere, Carla (Valeria Bruni Tedeschi), mentre un terzo punto di vista è quello della figlia dell'agente immobiliare (Matilde Gioli), fidanzata col rampollo ricco (Guglielmo Pinelli). Man mano che si segue il racconto lo spettatore si farà continuamente idee diverse su chi possa avere investito il ciclista e solo alla fine capirà che cosa è successo veramente e chi è il responsabile dell'investimento. Nell'epilogo il racconto riprenderà da quella notte ed andrà verso la sua conclusione".
Sceneggiatore della pellicola insieme al citato Piccolo e allo stesso regista, è con queste parole che Francesco Bruni sintetizza il plot alla base de Il capitale umano, libero adattamento dall'omonimo romanzo a firma dello scrittore di Chicago Stephen Amidon.

Dal Connecticut alla Brianza

Adattamento che sostituisce l'ambientazione originale del Connecticut con la Brianza, costruendo quasi un'ora e cinquanta di visione che, in seguito alla sequenza d'apertura dell'incidente (piuttosto bruttarella, a dire il vero) alla vigilia delle feste di Natale, si struttura in tre capitoli per fornire altrettanti punti di vista dei diversi personaggi.
Un primo capitolo raccontato attraverso gli occhi di Bentivoglio, un secondo tramite quelli della Bruni Tedeschi, che si concede anche un momento di sesso fedifrago con Luigi Lo Cascio all'interno di una sala di proiezione privata, e un terzo con al proprio centro la Gioli.
E, complice l'entrata in scena del giovane Luca, con il volto di Giovanni"Razzabastarda"Anzaldo, prima della fase conclusiva intitolata, appunto, Il capitale umano, è proprio questa a risultare la fetta più riuscita dell'operazione, mosaico di celluloide per mezzo di cui l'autore de La prima cosa bella (2010) intende offrire un affresco acuto e beffardo dell'inizio terzo millennio, addentrandosi nello splendore e nella miseria di una provincia del Nord Italia.

Profondo lusso

Mosaico di celluloide il cui stratagemma narrativo in parti non occorre altro che a camuffare di originalità un esilissimo soggetto che, sguazzante in maniera abbastanza stucchevole tra borghesi nevrotici e relative consorti che piangono in continuazione nonostante il lusso che le circonda, riesce a poggiare, al massimo, sul ricco cast - al cui interno abbiamo anche Valeria Golino nei panni di una psicologa - e sulla molla della curiosità che scatta nel desiderio di scoprire l'identità del colpevole.
Però, il fatto che il cineasta livornese sia tutt'altro che pronto per affrontare un dramma a tinte thriller (o noir, come piace tanto ai più raffinati a parole) è testimoniato non solo dalla fiacchezza imperante e dal clima complessivo decisamente vicino a quello che caratterizza tante fiction televisive, ma anche e soprattutto dalla mancanza di coraggio di essere apocalittico nella interessante critica di stampo sociale mossa dalla vicenda e dalla ridicolezza di determinati risvolti narrativi, inaccettabili per il genere in questione. Del resto, il ricatto finale e la maniera in cui, ancora prima, la verità viene allo scoperto, spingono lo spettatore a mettere le mani nei capelli... almeno quello che non si lascia abbindolare da una confezione tecnica tendente a privilegiare un certo "erotismo" fotografico atto a camuffare d'internazionalità il prodotto.

Second opinion, a cura di Elena Pedoto

In un paesaggio brianzolo rattrappito dal freddo, dai diktat del denaro e da una generale indifferenza verso le ‘res humanae’, si muovono indolenti i protagonisti de Il capitale umano, simboli sociali di un malcostume societario trasversale che avvolge tanto gli agi della gente ‘bene’ quanto i ‘disagi’ di tutti gli altri. Un vincolo inscindibile all’interesse più bieco e amorale che attraversa in egual misura ricchezza e povertà, arti e mestieri, e che (sempre) antepone il valore economico a quello morale e sostanziale (delle cose e soprattutto delle persone). Scritto con aderenza critica a quel mondo contemporaneo votato a un consumismo vaporoso e dolente, l’ultimo lavoro di Paolo Virzì attualizza luci e ombre del capolavoro ‘fitzegeraldiano’ per riadattarle a una mediocrità e una noncuranza tutte attuali, peculiarmente italiane, votate a falsi miti e false speranze, celate dietro maschere di friabile opulenza; la segmentazione sociale di un universo iniquo in cui sono sempre gli ultimi a pagare per i primi. Infine, il lucido (e in qualche misura anche toccante) ritratto di un mondo di “dilettanti” (allo sbaraglio) ai quali manca (quasi sempre) il coraggio di spingersi oltre la soglia delle loro arcinote interpretazioni.

Il capitale umano Le velleità di ascesa sociale di un immobiliarista, il sogno di una vita diversa di una donna ricca e infelice, il desiderio di un amore vero di una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre ed un misterioso incidente alla vigilia delle feste di Natale. Sono gli ingredienti sfruttati dal livornese classe 1964 Paolo Virzì all’interno del suo primo thriller da regista, liberamente tratto dal romanzo Il capitale umano di Stephen Amidon. Thriller che racconta per tutta la sua durata la stessa situazione attraverso, però, tre diversi punti di vista, non riuscendo comunque a trasmettere la necessaria tensione e mostrando del tutto la corda una volta giunto ai ridicoli risvolti conclusivi. Piacerà, senza dubbio, al pubblico delle fiction televisive, ma difficilmente a quello abituato ai noir.

5.5

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