Recensione Iago

Lo Shakespeare giovanilista di De Biasi affonda tra i canali veneziani

Recensione Iago
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Il ritorno di De Biasi

Nonostante i severi giudizi della critica specializzata, i film dalle tematiche giovanilistiche (il cui nuovo corso è stato propugnato dal Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia) continuano ad impazzare nei nostri cinema, forti di un sempre assicurato ritorno di pubblico in età adolescenziale costantemente affamato di amori acerbi e problematiche esistenziali tanto drammatiche quanto passeggere.
Wolfango de Biasi è sicuramente uno dei registi che ha saputo cavalcare il momento, proponendo, due anni fa, il suo Come tu mi vuoi al momento e al target giusto, condendo il tutto, come da copione, di una colonna sonora alla moda, un linguaggio gggiovane e degli interpreti bellocci.
Per questa seconda avventura, De Biasi ha deciso di puntare nuovamente sullo stesso cavallo, ma aumentando notevolmente la posta: dalla Roma delle feste private e degli afterhour ad una Venezia perennemente in bilico fra antico, moderno e postmoderno.
Il problema è riuscire a non strafare...

Spaghetti Shakespeare

La storia si svolge fra le calli della Venezia odierna, in cui Iago (Nicolas Vaporidis), brillante e ambizioso studente di architettura, sogna di realizzare una città davvero a misura d'uomo, coadiuvato dai suoi due fidati amici Emilia (Giulia Steigerwalt) e Roderigo (Lorenzo Gleijeses).
Di estrazione povera ma pieno di volontà, nonché ferreo nelle sue convinzioni sull'amicizia e la meritocrazia, dopo tanto lavoro finalmente Iago riesce a farsi notare dal preside della Facoltà, Brabanzio (Gabriele Lavia) e dalla principesca figlia di questi, Desdemona (Laura Chiatti). Proprio sul più bello, però, fa ritorno a Venezia il bell'Otello (Aurelien Gaya) che letteralmente ruba, con innocente presunzione, tutto quello che Iago crede di essersi conquistato di diritto. Inizia quindi un valzer di inganni e vendette, in cui gelosia e rancore non risparmieranno nessuno, compreso il donnaiolo cugino di Otello, Cassio (Fabio Ghidoni).

"O" come Otello, "I" come Iago

La fascinazione Shakespeariana in De Biasi è evidente e decisamente dichiarata: come lui stesso ha affermato, si tratta di una riduzione di un classico ad uso del pubblico odierno. Definizione che calza a pennello, ma che maschera, come in un carnevale veneziano, ogni effettiva velleità della pellicola.
Quello che si è voluto sottolineare, fin dal titolo, è stato il capovolgimento del punto di vista rispetto all'opera originale: qui il Moro non solo non è protagonista, ma è invero messo in secondo piano. Nella sceneggiatura di De Biasi il fulcro della vicenda è Iago, che sfrutta tutta la sua scaltrezza per vendicarsi in ogni modo possibile di chi ha provocato la sua caduta. Tutti gli altri personaggi sono quindi disposti in modo che risultino sempre conformi alla visione vendicativa del protagonista, come in una partita a scacchi in solitario. Fino all'effettiva risoluzione dell'ìntreccio, situazione che più di tutte si distacca dalla tragedia originale, virando definitivamente in commedia.
"Penso che un classico possa essere tradito" ha dichiarato Gabriele Lavia, Brabanzio nel film e navigato attore shakespeariano per il teatro.
Esplicitando e ribadendo poi come il termine tradito vada interpretato come un portare a noi, pubblico odierno un'opera difficile come quella del sommo poeta inglese.
Dopo la visione del film appare tuttavia chiaro come l'accezione moderna del termine sia in finale molto più adatta all'opera di De Biasi, ambiziosa quanto il suo oscuro eroe ma decisamente più fallimentare nella messa in opera del progetto. Se Iago ha molto di Wolfango, Wolfango ha ben poco di Iago, perché come architetto mostra tutti i suoi limiti nel voler innalzare una torre di cristallo sopra una falda oceanica.
Già l'intento di confrontarsi con un'opera immortale e rappresentata da quattrocento anni con alterne fortune dovrebbe incutere un po' di sano timore reverenziale in chiunque: bisogna dunque riconoscere al regista un certo ardire a volerne addirittura creare una versione rivista, aggiornata e ammodernata.
Operazione già tentata da Tim Blake Nelson con O come Othello e dal visionario Baz Luhrmann in Romeo+Juliet, ma con risultati decisamente migliori.
La povertà di mezzi a disposizione del regista romano non permette infatti le fascinazioni visive dei due titoli americani appena citati, ma questo è il minore dei mali. Quel che manca davvero è la fascinazione dei modi.

Il talento non è acqua, ma l'acqua si trasforma in vino solo per miracolo...

La sceneggiatura, nonostante si appoggi ad un pilastro della letteratura, traballa ad ogni minimo incedere dei personaggi sulla scena, spesso rivoluzionati in un modo che ben poco ha a che fare con gli originali, tanto che viene da chiedersi che bisogno c'era di scomodare il nome del sacro William e quello dei suoi personaggi per una storia che poteva semplicemente prendere uno spunto non dichiarato e volare su ali più basse ma al contempo più sicure.
Il film inoltre è letteralmente funestato da una pessima fotografia, da un montaggio degno di Windows Movie Maker e da uno dei doppiaggi più scarsi a memoria di spettatore. Anche le musiche, solitamente colonna portante di queste produzioni, non risultano per niente incisive e lontane anni luce dall'accuratezza con cui vengono solitamente scelte in pellicole simili.
Dispiace poi che scenografie e costumi, che potevano rappresentare una naturale catarsi per quest'opera, siano assolutamente spente. Dove sia finita la Venezia misteriosa e affascinante delle maschere è un mistero esso stesso: qui si passa senza soluzione di continuità da una facoltà di Architettura più banale dell'oratorio di quartiere ai secolari canali attraversati in notturna dalle gondole, fino a condomini più o meno popolari. Tutto ciò che di bello si può ammirare in questo film non è opera del cast tecnico, ma è lì da centinaia di anni. Ma in costante penombra, vista la necessità di girare gran parte del film in notturna o nelle prime ore dell'alba onde evitare la folla oceanica di turisti e frotte di vaporetti all'orizzonte.
Cosa che però appiattisce non solo il film, ma anche i volti degli stessi attori, visibilmente in carenza di sonno e piagati da vistose occhiaie che a quanto pare neanche il trucco cinematografico è riuscito a nascondere.
Ma almeno Vaporidis e la Chiatti possono usare la scusa del torpore e delle inarrestabili (frettolose?) riprese per giustificare prestazioni decisamente sottotono anche per lo standard di questo genere. Lavia, Gleijeses e la Steigerwalt si salvano in verità, ma è tutto lavoro sprecato, a fronte di un Gaya evidentemente inesperto e più adatto ad una trasmissione di Maria de Filippi che al grande schermo.

Iago L'intento di De Biasi e del suo Iago di portare alla vita un Romeo+Juliet all'italiana fallisce miseramente sotto i duri colpi dell'ambizione. Non è solo per motivi tecnici che il confronto si rivela impietoso: il talento non si compra e anche con un budget multimilionario a Iago sarebbe mancato l'imprinting e il savoir faire che l'opera di Luhrmann trasuda invece dallo schermo. Accortosi, forse, che non sarebbe riuscito a rendere il tono aulico per tutto il tempo della pellicola, invece di rivedere dialoghi e sceneggiatura De Biasi è caduto nell'errore di appiattire il tutto infarcendo il film di scurrilità e inutili scene di sesso per meglio catturare il suo pubblico, arrivando a trascendere dalla tragedia alla commedia fin quasi nel cinepanettone. Ci chiediamo, in sostanza, che lavoro di pre e post-produzione sia stato fatto per questo film, visti i risultati finali. Privo di vita artistica, povero di bellezza e mancante di reali contenuti. Potrà piacere solo agli amanti del genere e ai fan degli interpreti. E a chi abbia voglia di dissacrare un classico facendosi due risate per l'involontaria ma spiccata comicità di certe scene di questo figlio illeggittimo.

3

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