I Predatori, la recensione del folgorante esordio di Pietro Castellitto

La recensione de I Predatori di Pietro Castellitto, opera prima premiata a Venezia 2020 per la Miglior Sceneggiatura.

I Predatori, la recensione del folgorante esordio di Pietro Castellitto
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Uno dei migliori film italiani di Venezia 2020 è stato l'originale e irriverente I Predatori di Pietro Castellitto, alla sua prima prova da regista.
Una grande e bellissima sorpresa per un esordio che sarà ricordato a lungo: un'opera dalla natura tanto indefinita quanto eloquente, una commedia graffiante, dal forte messaggio politico e sociale che scorre sotto traccia pur restando visibile (mai palese o sbandierato).
Assieme a tale elemento, vi è anche la filosofia, la storia, lo studio antropologico dell'umanità italica, del suo essere sempre e comunque la stessa massa informe e infida.
Forse c'è dietro la rabbia di un figlio d'arte che si arma di un film anti-sistema? Furberia e ruffianeria o sguardo lucido e spietato? Ribellione di un giovane artista indocile allo status quo?

I Predatori e la nostra ferocia

In questo film la natura dei personaggi, la personalità, le interazioni e l'universo a cui appartengono si snodano in una sceneggiatura dalla temporalità sincopata, caratteristica di cui (grazie all'abile scrittura) quasi non ci si accorge.
Sostanzialmente nessuno appare veramente buono o veramente cattivo, tutti sono piuttosto connessi alla loro natura, al loro essere Predatori l'uno dell'altro o anche di se stessi, di ciò che erano e di ciò che sono, della loro anima tormentata.
Si ride parecchio, e spesso in modo sotterraneo o malinconico, o magari con un po' di senso di colpa mentre si assiste alle disavventure di due nuclei familiari agli antipodi per posizionamento sociale, abitudini, ricchezza ma accomunati dall'ipocrisia, dall'egoismo, dall'insoddisfazione per la loro vita, per il carico di bugie e sofferenza che essa porta.

Un cast convincente e ben diretto

Il cast si muove in modo perfetto, credibilissimo. Massimo Popolizio, Giorgio Montanini, Manuela Mandracchia, Nando Paone, Pietro Castellitto (che attendiamo tantissimo anchein Freaks Out), Anita Caprioli, Marzia Ubaldi, Liliana Fiorelli e Dario Cassini danno vita a una fauna italica in cui tutti ci rivediamo o ci riscopriamo.
Poco importa che alla ricca famiglia alto-borghese si contrapponga quella fascistoide e proletaria, eversiva per profitto; poco importa anche del differente tenore di vita. I dubbi, i tradimenti, le umiliazioni così come il clima velenoso, rassegnato al caos del mondo, sono uguali, come le miserie.
La regia di Castellitto ci guida dentro la dimensione privata, dentro la giungla competitiva di un mondo diviso tra chi comanda e chi ubbidisce, dove la meritocrazia non esiste, il sacro focolare è un miraggio, dove ognuno è ripiegato dentro il suo guscio fatto di narcisismo.
La musica di Niccolò Contessa e la fotografia di Carlo Rinaldi si fondono con l'insieme, donandoci una dimensione labirintica, straniante, in cui il grottesco e l'assurdo vengono esaltati, dove tutto avviene alla luce del sole, e l'oscurità è quasi estranea.

Un film che sferza la società italiana

Castellitto è stato capace di creare un film in cui si ride in modo diverso, non ci si bea con autocompiacimento dei difetti dell'italica società e della nostra natura meschina ed egoista, piuttosto la si sferza in modo beffardo, con i personaggi chiusi nella stessa fornace infernale fatta di egoismi e manie di grandezza.
Nietzsche, il concetto di oltreuomo, l'individualismo, vengono elevati e assieme schiacciati dalla società, che chiede esclusivamente di adeguarsi, di non pensare in modo diverso, genera una frustrazione che è scudiscio dello spirito libero, esclusiva ne I Predatori del giovane Federico.
Sprezzante, caustico, anticonformista, anarchico della vita, egli è anche però viziato, impietoso, cinico, coltiva la rabbia di chi non accetta la realtà per quello che è, la sordida avanzata della banalità, dei barbari, il larvare tronfio di una società che Castellitto ci descrive come mediocre, spietata, materialista e in cui non esiste la minima parvenza di sincerità.

Tra giochi di coppie e dimensione storica

I Predatori è anche un film che ci offre (volontariamente o meno) una dimensione diegetica che ci illumina persino sulla natura dell'eversione, qui presentata come atto di ribellione verso il banale vivere, verso la società e i suoi binari, gesto disperato di una borghesia (o di un proletariato) incapaci di dare serenità o gioia.
Possibile trovare nel film un piccolo saggio sul perché del terrorismo? Forse non è così eccessivo, a patto di capire la natura anarchica sepolta dentro queste esistenze, il loro cercare un ideale che copra e celi la propria volontà egoistica.
Molto presente anche il gioco delle coppie, tutte sostanzialmente composte da poveri diavoli che stanno assieme per forza dell'abitudine, affrontando giorno dopo giorno lo scotto di scelte sbagliate, di sogni rinnegati.
I fasci littori, le canzoni rock neo-fasciste, le ville in campagna e i ristoranti coprono i segreti incoffessabili, le bugie, i torti subiti, il rancore, la volontà di evadere da un'esistenza che è una gabbia.
Tutto questo (e molto altro) viene affrontato da un film che ha un ritmo travolgente, unumorismo mai banale (e sicuramente poco nazional-popolare), una regia efficace, che non concede un momento di respiro e un attimo di tregua. Mica male come esordio.

I Predatori I Predatori di Pietro Castellitto è una commedia originale, graffiante, grottesca, un film sceneggiato benissimo, diretto con grande energia e abitato da personaggi esagerati. Sagace, cinico, pieno di mordente, offre uno schietto e spietato ritratto della società e della famiglia italiana, evitando cliché, buonismi e sposando un iter narrativo sincopato. Film corale, con un cast ispirato e ben guidato dal giovane regista esordiente, offre al pubblico qualcosa di nuovo e diverso, poco allineato alla consuetudine. Un po' come il suo scatenato e istrionico protagonista. Miglior Sceneggiatura al Festival di Venezia 2020: una piccola perla.

8

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