Recensione I più grandi di tutti

Il rock secondo Carlo Virzì

Recensione I più grandi di tutti
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Di storie riguardanti gruppi musicali di giovani squattrinati, sul grande schermo se ne sono viste molte, da The commitments, diretto nel 1991 da Alan Parker, a Volevamo essere gli U2, firmato l'anno dopo dal nostro Andrea Barzini.
Per non parlare di vicende legate a rock band che decidono dopo molti anni di attuare una reunion, su tutte il non disprezzabile Still crazy, interpretato nel 1998 da Bill Nighy e Stephen Rea sotto la regia di Brian Gibson.
Diciamo che Carlo Virzì, fratello del Paolo autore di Ferie d'Agosto e La prima cosa bella, abbia in un certo senso fuso i due diversi argomenti in questa sua seconda fatica dietro la macchina da presa, a cinque anni dal poco esaltante L'estate del mio primo bacio, del 2006.
Infatti, con Marco"L'ultimo bacio"Cocci alla voce, Claudia Pandolfi al basso, Dario Cappanera alla chitarra e l'Alessandro Roja della serie televisiva Romanzo criminale alla batteria, protagonisti de I più grandi di tutti sono i Pluto, complesso rock attivo quindici anni prima, quando, da una cittadina industriale del litorale toscano, aveva girato il circuito alternativo internazionale, inciso un paio di album e perfino piazzato un brano in un noto spot televisivo.
Complesso rock sboccato, energico e provinciale, come vuole la tradizione del genere musicale caro ai Rolling stones e ai Led Zeppelin, che trova l'occasione di riunirsi dal momento in cui uno strano giornalista con le fattezze del Corrado Fortuna di My name is Tanino decide di realizzarci sopra un documentario.

Volevamo (ri)essere i Pluto

E, al di là di una breve apparizione del Raffaele Vannoli di Zora la vampira, abbiamo anche Catherine Spaak, il musicista Frankie hi-nrg mc e il Francesco Villa del duo comico Ale e Franz nel corso dei circa novantanove minuti di visione che, come c'era da aspettarsi, non mancano di sfoggiare magliette dei Motörhead, dischi dei Ramones e altri cimeli provenienti dal magico universo delle note distorte.

Senza contare un omaggio visivo alla copertina del beatlesiano Abbey road, mentre la Pandolfi ci "delizia" con qualche peto, non sono assenti un paio di gratuitissime - e notevoli - tette al vento (d'altra parte, stiamo parlando di una commedia italiana "seria", mica della "robaccia" di Vanzina e De Sica) e a dominare il tutto, al di là dell'ottima prova del cast, è, ovviamente, l'accento toscano.
Ma, sebbene l'avvio risulti piuttosto gradevole e la conclusione tutt'altro che disprezzabile, si avverte la mancanza proprio della necessaria manciata di situazioni interessanti nel corso dell'intera, fiacca parte centrale dell'operazione.
La manciata di situazioni che avrebbero provveduto a conferire un po' più di verve allo svolgimento e che, magari, sarebbero state capaci, nella giusta maniera, di far rispecchiare al tutto lo spirito veramente frizzante e coinvolgente del rock.

I più grandi di tutti Fratello del Paolo autore di Ovosodo (1996) e Caterina va in città (2003), il musicista Carlo Virzì torna dietro la macchina da presa a cinque anni dal lungometraggio d’esordio L’estate del mio primo bacio (2006), ambientato negli anni Ottanta e con protagonista una tredicenne alle prese con l’avvio verso l’adolescenza. In questo caso, si parla della reunion di una rock band toscana, ma, proprio come nella pellicola precedente, al di là di pochissimi, gradevoli momenti, risulta quasi assente il coinvolgimento. Con ogni probabilità, la trovata più originale e gradita è identificabile nella scelta di porre, durante i titoli di coda, finte testimonianze di personaggi del panorama musicale nostrano quali Irene Grandi, i Tre allegri ragazzi morti, i Litfiba, i Baustelle e Vasco Rossi. Ma, a quanto pare, i fratelli Virzì (anche il citato, sopravvalutato Paolo) devono farne ancora molta di strada prima di poter diventare... i più grandi di tutti.

5.5

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