Recensione Hybris

Con Guglielmo Scilla e Lorenzo Richelmy nel cast, il giovanissimo Giuseppe Francesco Maione esordisce dietro la macchina da presa attraverso un horror thriller dichiaratamente ispirato a La casa di Sam Raimi e girato in soli quindici giorni.

Recensione Hybris
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Il titolo Hybris fa riferimento a quello che, nella trama della tragedia greca, è un evento accaduto nel passato e destinato ad influenzare in modo negativo gli avvenimenti del presente; una colpa dovuta ad un'azione che vìola leggi divine immutabili, nonché la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie.
Colpa che, probabilmente, riguarda qualche terribile segreto legato al defunto Valerio, la cui morte porta il cugino Fabio alias Lorenzo"Sotto una buona stella"Richelmy a riunirsi in una baita abbandonata insieme ad Alessio, Marco e sua sorella Penelope, rispettivamente incarnati dal Guglielmo Scilla di 10 regole per fare innamorare (2012), dal Tommaso Arnaldi anche produttore e sceneggiatore dell'operazione e dalla Claudia Genolini vista, tra l'altro, in Paura 3D (2012) dei Manetti Bros.
Perché, all'interno dell'abitazione isolata tra i boschi, non solo cominciano a susseguirsi strani fenomeni, ma una forza superiore sembra spingerli a confessare i loro segreti più profondi, fino a renderli vittime dei deliri più violenti e lasciar emergere in modo sempre più inquietante la verità.

Quella baita nel bosco

E, inizialmente pensato come serie e girato in soli quindici giorni all'interno dei teatri di posa dei fratelli Cartocci, a Ciampino, nei quali, dal nulla, è stato interamente costruito lo chalet, il primo lungometraggio diretto dal napoletano classe 1993 Giuseppe Francesco Maione non nasconde affatto - fin dai primissimi minuti di visione - la sua volontà di omaggiare il super classico dello splatter su celluloide La casa(1982), da cui recupera, appunto, ambientazione e situazione di partenza.
Ma la domanda sorge spontanea: per quale motivo rifare un caposaldo del cinema gore privandolo dei suoi eccessi a suon di spargimenti di frattaglie e liquido rosso, ovvero gli ingredienti vincenti?
Da un punto di vista produttivo e logistico, mettere in piedi un elaborato del genere ha rappresentato senza alcun dubbio un escamotage per poter concretizzare un racconto horror sfruttando al meglio il basso budget e i ristretti mezzi a disposizione, penalizzandone, però, l'impatto che dovrebbe avere sul sempre più esigente e smaliziato pubblico d'inizio terzo millennio per quanto riguarda il lato volto all'intrattenimento.
Infatti, sebbene nella seconda parte degli ottantatré minuti totali non risultino assenti un minimo di sangue e momenti di violenza, la prima mira a costruirsi su una lenta attesa accompagnata dalla progressiva alterazione degli equilibri mentali dei protagonisti, oltretutto tormentati da allucinazioni visive che ne alimentano le paranoie.
Lenta attesa che rischia, a lungo andare, di far scadere il tutto nella morsa della noia; man mano che Scilla e la Genolini escono in parte sconfitti dal confronto recitativo con Richelmy e Arnaldi e che si tenta la carta dell'originalità attraverso il complicato spiegone finale.
Elemento, quest'ultimo, tipicamente italiano e che, paradossalmente, non giova affatto ad un insieme dal taglio decisamente internazionale, in quanto tutt'altro che disprezzabile dal punto di vista tecnico, forte anche della curata fotografia per mano di Matteo Bruno.

Hybris Primo lungometraggio diretto dal giovanissimo Giuseppe Francesco Maione, Hybris omaggia dichiaratamente La casa di Sam Raimi, facendo a meno, però, di creature demoniache ed abbondanza di splatter per privilegiare, invece, un progressivo crescendo di follia. Ciò che viene fuori è un non sempre coinvolgente elaborato i cui difetti sono individuabili, in maniera principale, nella discontinua qualità della recitazione e in un sceneggiatura che avrebbe necessitato di maggiore cura (i dialoghi lasciano a desiderare e per la rivelazione finale si poteva fare di più), sebbene il taglio internazionale - in parte penalizzato dalla romanità del linguaggio - e la buona confezione tecnica spingano ad attendere fiduciosi una seconda prova da parte del neo-regista.

5.5

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