Recensione Hugo Cabret

Una perfetta lezione di cinema a cura di Martin Scorsese.

Recensione Hugo Cabret
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Ci sono storie che entrano a far parte di noi, plasmandoci inconsapevolmente, e che si palesano davanti ai nostri occhi quando ormai è troppo tardi per sottrarci alla loro influenza. Magari si tratta solo di qualcosa di impercettibile, che di certo non ci cambia la vita, ma ciò non significa che non ci sia. Può essere una favola ascoltata distrattamente durante l'infanzia prima di addormentarsi, l'illustrazione del supereroe che ha riempito di avventure i nostri pomeriggi da adolescenti, il fotogramma di quel film beccato per caso facendo zapping alla tv. Non sempre tutto ciò si evolve, a volte rimane relegato nel nostro bagaglio sensoriale... ma in rare occasioni si trasforma in passione e arte. Che cosa c'entra tutto questo con la recensione di Hugo Cabret? Le associazioni sono molto più semplici di quello che possano apparire, perché questo ultimo lavoro di Martin Scorsese è una vera e propria opera di passione e amore, verso quel cinema che lo ha trasformato nella leggenda che tutti oggi conoscono. E perché, in fin dei conti, l'intera storia di Hugo Cabret è nata un po' per caso, un po' per magia, un po' distrattamente.
"Ricordo di aver visto Viaggio nella luna, l'incredibile film del 1902 di Georges Méliès, e la memorabile scena in cui un razzo si schianta sull'occhio della luna che ha la forma di un volto umano si era radicata fermamente nella mia immaginazione. Volevo scrivere la storia di un ragazzino che incontra Méliès, ma non sapevo quale potesse essere la trama. Sono passati anni. Ho scritto e illustrato oltre venti racconti. Poi, nel 2003, mi è capitato fra le mani un libro intitolano Edison's Eve di Gaby Wood. È una storia che parla proprio degli automi e, con mia grande sorpresa, c'era un capitolo dedicato a Méliès", racconta Brian Selznick, autore del libro La straordinaria invenzione di Hugo Cabret (The Invention of Hugo Cabret). Dopo aver scoperto della passione del cineasta per gli automi e del destino che ad essi era stato riservato, nella sua mente si formò lentamente la storia di Hugo: "Immaginai un ragazzino che rovista fra l'immondizia e trova una di queste macchine rotte. Non sapevo ancora chi fosse questo bambino, né conoscevo il suo nome... Mi venne in mente il nome Hugo e lo associai alla parola cabaret, trasformando quest'ultima in Cabret, per darle un suono francese. Ed ecco com'è nato Hugo Cabret". Pubblicato nel 2007 il libro è un piccolo caso letterario, apprezzato dai lettori di tutto il mondo per la sua capacità di raccontare una storia semplice attraverso le immagini, una narrazione a metà strada tra il cinema e la graphic novel. Selzick aveva provato subito una certa attrazione verso il lavoro di Méliès, ancor prima di scriverci un libro, ed è la stessa reazione spontanea ad aver spinto Martin Scorsese a trasformare questa storia in un film per il cinema, che per di più è il suo primo lavoro in 3D. "Ho ricevuto il libro quattro anni fa ed è stata un'esperienza molto intensa... l'ho letto tutto d'un fiato, in brevissimo tempo. Ho sentito subito un'affinità con la storia di questo ragazzo, con la sua solitudine, il suo interesse nel cinema, i meccanismi della creatività. Gli oggetti meccanici del film, che comprendono cineprese, proiettori e gli automi, consentono al ragazzo di stabilire un contatto con il padre e al regista Georges Méliès di ritrovare se stesso e il suo passato".

Potrebbe essere un’avventura

Hugo Cabret (Asa Butterfield) è un ragazzino dalle mille risorse che vive tutto solo nella stazione di Parigi. Suo padre è morto in un tragico incidente e tutto quello che gli rimane di lui sono un taccuino scarabocchiato e un automa rotto: proprio per questo il ragazzo vorrebbe tanto riuscire a sistemarlo e rimetterlo in funzione. Il suo è un automa speciale, perché sa scrivere e, ingenuamente, Hugo pensa che nasconda l'ultimo messaggio di suo padre, bloccato negli ingranaggi in attesa di essere liberato. Per cercare di portare a termine il suo compito cerca i meccanismi necessari nel negozio di giocattoli della stazione, rubando ciò di cui ha bisogno. Ma un giorno viene scoperto dal proprietario, che gli confisca tutto quello che ha nelle tasche, taccuino compreso. Hugo lo segue fino a casa, disperato della perdita. Sarà costretto a chiedere aiuto all'arguta Isabelle (Chloe Grace Moretz), la figlioccia di Papà Georges (Ben Kingsley), per recuperare il suo prezioso tesoro. Ma il giocattolaio non è così propenso a lasciare andare Hugo e il suo mistero, forse perché, in fondo, gli ricorda qualcosa del suo ossessivamente cancellato passato.

Un sogno ad occhi aperti

Trovandosi davanti a Hugo Cabret di Martin Scorsese è facile pensare al capolavoro. Il regista non ha di certo bisogno di presentazioni né tantomeno di complimenti che ne esaltino la bravura. Esteta della regia cinematografica, tratta ogni suo progetto con un perfezionismo e un'accuratezza che sfiorano il maniacale. Ogni movimento di macchina segue il ritmo di un sogno ad occhi aperti, leggero e impalpabile, che pedina i personaggi senza forzarli. Lo sguardo dello spettatore spia all'interno della vita di Hugo così come il giovane protagonista fa ogni giorno dalle finestrelle dei suoi amati orologi, ai quali è costretto a lavorare segretamente per non farsi scoprire dalle autorità. Ogni inquadratura è studiata come se fosse un quadro pittorico, sfumato sapientemente dal doppio premio Oscar alla fotografia Robert Richardson, che riesce a rendere ancora più magnifiche le scenografie di Dante Ferretti. Vedendo Hugo Cabret ci si immagina sul serio a percorrere uno dei corridoi piastrellati e lucidati da poco di Gare Montparnasse, al massimo della sua bellezza, anche grazie alla presenza di personaggi posti sulla scena da Scorsese per costruire un credibile contorno all'avventura di Hugo. La stazione è viva e vibrante di luce, sensazione acuita anche da un perspicace utilizzo del 3D, che enfatizza i fasci luminosi e le particelle di polvere, trasformando i vapori tipici di una stazione ferroviaria in impalpabili sipari evanescenti che i personaggi attraversano senza scomporsi. Esteticamente e tecnicamente Hugo Cabret è un piccolo compendio di come si fa cinema, utilizzando le tecnologie più avanzate senza distruggere il gusto antico del film fatto a mano con accondiscendente passione, il tutto accompagnato da una colonna sonora -composta da un altro premio Oscar, Howard Shore-, che culla lo spettatore nel suo onirico viaggio nel mondo delle immagini in movimento.

Una difficile dichiarazione d’amore

Ma allora perché, alla sua uscita statunitense, Hugo Cabret non è stato questo grande successo di botteghino? Il film è senza alcun dubbio la dichiarazione d'amore di Martin Scorsese al mondo del cinema: perfetta, impeccabile, instancabilmente emozionante. La disperata ricerca di Hugo Cabret di trovare il suo posto nel mondo, smettendo così di sentirsi terribilmente solo e disastrosamente abbandonato, non è altro che il pretesto per raccontare una storia di rifiuto ancora più grande, quella di Georges Méliès, all'epoca cineasta dimenticato e confinato in un negozio di giocattoli. Tutto il film è un continuo richiamo al cinema del passato, ricco di citazioni e omaggi, frammenti rubati agli archivi storici e alla memoria di chi quel periodo lo ha vissuto. Hugo Cabret è la storia di come Méliès potrebbe aver ritrovato se stesso, ripercorrendo i passi che lo hanno fatto diventare il grande pioniere degli effetti speciali e del racconto fantastico, messo da parte durante la guerra mondiale dalla realtà che stava prendendo il sopravvento sulla sua spiccata fantasia. Scorsese si abbandona ai propri sentimenti nei confronti della storia del cinema, esasperandoli sul grande schermo, rendendoli il più possibile universali. Eppure, proprio per questo, alla fine dei conti Hugo Cabret si presenta come un magistrale blockbuster di nicchia, controsenso in qualche modo 'obbligato' al quale è impossibile sfuggire. Due storie portanti che si affiancano: quella di Hugo, tenera e comprensibile a un pubblico mainstream anche di giovane età, e quella di Méliès, che prende il sopravvento emotivo sulla prima, ma che per la sua natura intrinseca non può arrivare a tutti con la stessa potenza. Per chi non conosce a fondo il cineasta francese e l'importanza che ha avuto nella formazione del cinema moderno, è difficile condividere le emozioni che tanto Scorsese si impegna a raccontare, ritrovandosi così a vedere solamente una perfetta espressione tecnica di cinematografia dalla struttura narrativa lenta e macchinosa.

È come un puzzle...

Hugo Cabret è decisamente un ottimo lavoro di squadra: non solo di regia, musica, produzione... ma anche di un cast davvero ben assortito e appassionato. Elencare tutti i grandi nomi che partecipano al film è un’operazione artificiosa che non esprime la bravura di tutti questi attori sul set. Perfetta l’interpretazione di Ben Kingsley, tanto da portare a credere che Méliès sia davvero lì davanti ai nostri occhi, così come quella, fatta di sguardi indagatori, di Christopher Lee. Una menzione speciale va a Sacha Baron Cohen, che è riuscito a dare un cuore e un passato al personaggio dell’ispettore ferroviario, solo accennato come una minacciosa presenza, nel libro originale, e ai due giovani protagonisti Asa Butterfield e Chloe Moretz, ingannevolmente ingenui e squisitamente determinati.

Hugo CabretGuardando il film ora, penso a quando, da bambino, disegnavo giorno e notte; e penso a Martin Scorsese al cinema con suo padre; e a Thelma Schoonmaker, che è cresciuta ad Aruba; e a John Logan che ha visto Laurence Olivier a teatro nel ruolo di Amleto; e a Dante Ferretti, seduto nella torre di un orologio in Italia. Mi stupisco del modo in cui i nostri destini si sono incrociati portandoci fin qui... bambini di ogni parte del mondo, ormai cresciuti, che si sono ritrovati a fare un film insieme che parla di due bambini che vivono in una stazione ferroviaria di Parigi”. Esemplari le parole di Brian Selznick per richiudere il discorso su Hugo Cabret, ritornando a quella idea di passione che smuove il mondo. In questo film c’è l’immensa passione per il cinema di Martin Scorsese e per apprezzarne a fondo la sua bellezza bisogna condividere almeno in parte questo grande amore. Per tutti gli altri rimane una bellissima opera d’arte, forse più adatta a un pubblico maturo che ai ragazzini dell’età di Hugo, ma capace di risvegliare i desideri dell’infanzia di ognuno di noi.

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