Appena due mesi fa, nella nostra recensione di The Last Duel, vi raccontavamo un Ridley Scott in forma smagliante, autore di un thriller medievale drammatico e d'impatto per uno dei film più belli di questo 2021 cinematografico. Sembra paradossale pensare che ci sia la stessa firma dietro House of Gucci, un film divisivo e controverso, ma soprattutto così spinto sul sopra le righe da diventare insipido e non del tutto convincente. La pellicola, in sala dal 16 dicembre, racconta l'ascesa, i segreti e i demoni della famiglia Gucci, magnati dell'industria italiana e creatori dell'omonimo marchio supergriffato. Una storia pop, specie per il nostro mercato, rivisitata da Scott in un biopic che non centra totalmente il suo obiettivo.
Nel nome del padre, del figlio...
House of Gucci narra non soltanto la scalata al potere e le controversie di una delle famiglie più facoltose ed eclettiche della storia italiana, ma anche il loro inesorabile declino economico e morale.
Non è un caso, infatti, se il film si apre nel giorno in cui Maurizio Gucci (Adam Driver) perse la vita in uno sconvolgente agguato, per poi tornare indietro agli anni della sua gioventù. Periodo in cui conobbe Patrizia Reggiani (Lady Gaga), una giovane donna esuberante e ambiziosa che non perse tempo a sedurre il bistrattato rampollo di una facoltosa casata. I drammi e le controversie della coppia iniziarono già dai primi anni, quando l'allontanamento di Maurizio dall'eredità di suo padre (Jeremy Irons) porta i novelli coniugi ad unirsi all'altro ramo della famiglia: quello formato dallo zio Aldo (Al Pacino) e Paolo Gucci (Jared Leto), l'uno flemmatico imprenditore e possessore del noto marchio di moda, l'altro un dandy stravagante ed esagerato, desideroso di dimostrare al padre il proprio valore ed estro creativo nel settore dell'abbigliamento. Un'alleanza che sancì il cammino di Maurizio e Patrizia verso un potere strabordante, fatto di tradimenti e intrighi finanziari, sino all'inevitabile frattura che ancora oggi è scolpita con dolore tra le crepe dei Gucci.
Un racconto indubbiamente affascinante, quello di House of Gucci, che nell'approccio alla narrazione ricorda Tutti i soldi del mondo (leggete pure la nostra recensione di Tutti i soldi del mondo, se l'avete persa), un biopic in cui Ridley Scott aveva già tentato di raccontare un pezzo di storia italiana a metà tra un thriller e una storia familiare. Ed è emblematico come Scott sembri ricadere negli stessi errori, confezionando un'opera storica senza infamia e senza lode: non un disastro, ma una pellicola priva di guizzi e tempestata peraltro di aspetti abbastanza contraddittori.
... e della famiglia Gucci
House of Gucci è un film molto lungo, per un totale di quasi 3 ore di visione in cui Scott inganna continuamente lo spettatore, portandolo ad aspettarsi un racconto di intrighi incentrato sul dramma che portò alla scomparsa di Maurizio Gucci. E invece, per gran parte del suo minutaggio, House of Gucci confeziona una storia da soap opera, raffinata e sufficientemente patinata per quanto concerne la forma ma inefficace sul piano del contenuto. Spingendo l'acceleratore su personaggi eclettici e interpretazioni sopra le righe - su tutti un Jared Leto in costante overacting, straniante e in parte fuori contesto - ci nutre costantemente in un'esaltazione voluta di una certa idea di camp.

Un'idea che, da un lato, potrebbe ammaliare un pubblico affamato di un gossip squisitamente kitsch - avvalorato, in lingua originale, dall'italiano distorto e grottesco sfoggiato da alcuni degli interpreti - ma che d'altro canto non potrà soddisfare le platee in cerca di un biopic di maggior spessore. L'elemento più convincente dell'opera rimangono in ogni caso i suoi volti, adatti e contestualizzati ai rispettivi ruoli: da un Adam Driver in parte ad una sorprendente Lady Gaga, con menzione d'onore all'ottimo Jeremy Irons e ad un solidissimo Al Pacino.