Hellboy, la recensione del reboot firmato da Neil Marshall

Il Gigante Rosso di Mignola si rifà il look in un nuovo adattamento gore e metal più fedele al fumetto ma problematico, molto diverso dai film di Del Toro.

Hellboy, la recensione del reboot firmato da Neil Marshall
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L'incipit di questo nuovo Hellboy mette subito le cose in chiaro: il film di Neil Marshall è qui per esagerare, in tutti i sensi, anche negativi. L'apertura è tutta giocata sulla storia dell'antica strega Vivienne Nimue, anche nota come La regina di Sangue, uno degli esseri più potenti vissuti nell'Inghilterra Arturiana, fatta di cavalieri e leggende. Milla Jovovich dà il suo volto alla strega, lo stesso che viene mozzato insieme a tutto il resto della testa dopo appena due minuti, nel mentre dello spiegone rimesso alla voce del Professor. Bruttenholm (Ian McShane).
Il suo piano è diffondere una peste su tutta l'Inghilterra, con lo scopo di dominarla, ma Re Artù, Merlino e un gruppo di streghe ribelli riescono con l'inganno a troncare (di netto e letteralmente) questo terribile flagello sul nascere, prendendo serie precauzioni.

Lo spirito di Nimue è infatti più tenace di quanto previsto, tanto da costringere il Re a fare a pezzi la strega e rinchiudere ognuno di questi in sei differenti casse di legno, da nascondere infine in luoghi segreti e distanti fra loro. L'obiettivo è impedire il futuro ritorno dell'immortale minaccia, condannandola a un'eternità di dannazione, ma a quanto pare Nimue è adesso pronta a riunificarsi, e senza Artù e i suoi cavalieri la missione è rimessa al cacciatore di mostri più famoso del B.P.R.D: Hellboy.

Il quadro completo

L'Hellboy di Neil Marshall ha poco o nulla da spartire con i due film di Guillermo Del Toro. È inquadrato in un contesto diverso e arriva dopo la fine dell'opera di Mike Mignola, fattore importante per il trattamento di questa seconda trasposizione. Quando il regista de La Forma dell'Acqua decise infatti di mettere mano a un personaggio con una storia decennale, aveva a sua disposizione una storyline orizzontale che guardava esclusivamente al primo e grande macro-arco narrativo del fumetto, e cioè i vani tentativi di risveglio dell'Ogdru Jahad da parte di Rasputin e dei suoi accoliti mistici o nazisti.
Mignola è poi uno di quegli autori che ha sempre continuato a lavorare sul mondo da lui creato e sui vari personaggi, andando a lanciare testate cugine e ad ampliare l'Universo di Hellboy, lasciando anche ad altri il compito di scrivere e disegnare molte delle storie del B.P.R.D, Abe Sapien o di Lobster Johnson. Pensando al suo Red come a un indagatore dell'occulto, ha impostato la sua testata con tante - tantissime - storia auto-conclusive, fortemente di genere, tornando però puntualmente al cuore del protagonista con degli archi specifici, cercando di ricollegare ogni tassello nel miglior modo possibile.

Ha così impiegato circa vent'anni per arrivare a una degna conclusione, iniziata a livello fumettistico nel 2009 con The Wild Hunt (la Caccia Selvaggia), che è infatti insieme a The Storm e The Fury uno degli albi più importanti nell'economia dell'evoluzione finale di Hellboy. Capite bene quanto un personaggio o un autore possano cambiare in cinque anni, pensando soprattutto al tentativo di chiudere un cerchio e unire tutti i puntini ancora isolati, quindi è ovvio che la visione di Del Toro si discosti oggi fortemente da quella di Marshall, che ha invece avuto modo di fare un passo indietro e ammirare il quadro completo del progetto, guidato per giunta dallo stesso Mignola.

Questo ha funzionato? In termini di fedeltà e spirito, assolutamente sì: questa nuova versione di Hellboy è a suo modo sofisticata e molto attinente alle storie originali.
La costruzione dell'impianto narrativo parte sì dalla Caccia Selvaggia, ma la collaborazione tra Andrew Cosby e Mignola ha permesso alla sceneggiatura di evolvere a intrigante pretesto per raccontare in modo strutturato tante mini-avventure di Red. Non troviamo allora soltanto (l'ottima!) trasposizione della caccia ai Giganti con il Club di Osiride, ma anche il racconto de Il Seme della Distruzione e delle origini di Hellboy, il suo passaggio in Messico con la parentesi luchador dell'agente Ruiz (finita malissimo) e anche le origini di Alice Monaghan o di Ben Daimio, quest'ultimo proveniente dal B.P.R.D, nei fumetti mai incontratosi con il Gigante Rosso.

Apocalisse gore

Il reboot in esame è un film che taglia e ricuce parti essenziali o secondarie di Hellboy, dove a stringere e a usare le forbici è il suo stesso autore, chiamato a supervisionare passo dopo passo la sceneggiatura per far convivere insieme la dualità dell'anima del personaggio, il mondo d'azione e le necessità produttive legate alla trasposizione. Quando Mignola spiega dunque che "si tratta della sola versione originale di Hellboy", non mente, ma estremizza quello che per lui è l'unico modo di portare sul grande schermo Red, sfruttando il suo Universo al 100%, senza censure o troppe "revisioni".
A differenza di Del Toro, regista dal forte taglio autoriale e riconoscibile, Marshall non ha infatti quella spinta riesaminatrice in più, intenzionata a dare un'interpretazione personale e dal deciso valore artistico a un progetto simile, riducendosi a dirigere in silenzio e senza controllo tutto il materiale che si vede consegnare da altri. È certamente capace, sicuramente la scelta più giusta per regalare ai fan un reboot tanto spinto sul gore, sul noir e su una decisa violenza, ma manca di visione, di tatto stilistico e - più di tutto - sembra tendenzialmente accontentarsi.

Non della struttura della storia - appassionatamente smussata da Cosby e Mignola - né dell'impalcatura dell'azione o della sceneggiatura, ma del valore generale della produzione, che purtroppo è superficiale e spesso mediocre quando si parla di investimento, cura degli effetti visivi (non pratici: quelli sono magnifici) e alcune scelte di montaggio sciatte e drastiche - specie nel terzo e ultimo atto.
Fortunatamente Marshall è un regista navigato in un certo tipo di cinema, anche di Serie B (vedi Dog Soldier o Doomsday, ma anche The Descent), è capace quindi di tirare fuori il meglio di sé in situazioni di mancanza.

Nel caso specifico, la produzione ha preferito lavorare in grande con gli Effetti Digitali, senza però avere del budget sufficiente a confezionare uno spettacolo visivamente entusiasmante. Errori di post-produzione, forse persino in buona fede, ma durante le riprese il filmmaker ha saputo giocare perfettamente le sue carte, dirigendo un paio di sequenze d'azione incredibili (due in piano sequenza) dove si percepisce tutto il suo entusiasmo, la sua carica splatter e il suo gustosissimo cocktail di genere.

Raggiungere un ottimo risultato sotto la screanzata egida di mediocri talenti produttivi è già di per sé una vittoria, per Marshall ed Hellboy, ma ad aiutare ulteriormente il film è anche il world building e la scelta degli interpreti, delle storie e dei "mostri", pronti a fare la gioia di tutti gli appassionati.

Sangue, storie e creature

Sì, l'opera pecca soprattutto (ma in grande) in determinate scelte post-produttive, impossibili da giustificare e che hanno un loro peso specifico sulla riuscita generale, ma quando si tratta di raccontare il mondo e i personaggi creati da Mignola, Hellboy è un cinecomic a suo modo fenomenale. Non solo ha il coraggio di puntare su di uno spettacolo sanguinoso e dai toni marcatamente cupi, ma rispetta e amplifica cinematograficamente le atmosfere e i toni del fumetto, dando giusta trattazione alle creature che lo abitano da sempre, partendo dallo stesso Red fino a Baba Yaga o al Gruagach.

Parlando del Gigante Rosso, non possiamo che applaudire e ritenerci soddisfatti dell'interpretazione di David Harbour, che non fa rimpiangere per un secondo il buon Ron Perlman, anzi, dà al personaggio sfumature diverse e sorprendentemente meno mature del suo predecessore, rivelandosi una scelta oculata.

Ha lavorato molto per costruirsi il physique-du-role adeguato, allenandosi duramente e sopportando estenuanti ore di trucco e di addestramento per le scene d'azione, che come già spiegato dirette da Marshall hanno una precisa marcia in più rispetto alle scelte adoperate invece da Del Toro.
Questa seconda vita di Hellboy sul grande schermo trasuda infatti spettacolo ed entusiasmo da ogni poro, cercando in particolar modo di scavare a fondo nel passato di Red e nella sua pesante eredità, tracciando al contempo la linea del suo destino.

Dietro quelle corna smussate, e quel fisico così rude e infernale, si nasconde un'anima profondamente umana, elemento questo che l'interpretazione di Harbour tira fuori egregiamente dal suo alter-ego, senza ricorrere a love-story inventate ma trattandolo esattamente come lo ha sempre trattato Mignola: come un essere afflitto dalla vita ma consapevole delle sue responsabilità, senza reali macchie ma pieno di paure.

Casting perfetto anche per il Daimio di Daniel Dae Kim e per la Regina di Sangue della Jovovich, che sembra uscita direttamente dalle pagine del fumetto, bellissima e spietata, mai divertita e a suo modo spaventosa. Non quanto la terrificante Baba Yaga e il suo splendido look artiginale, però, che rende una delle nemesi più impietose e intelligenti di Hellboy, una villain molto più agghiacciante e terribile rispetto alla controparte cartacea. Proprio come l'adattamento di The Corpse, che vede l'introduzione di Alice Monaghan (Sasha Lane) o del Gruagach, anche la storyline di Baba Yaga ci viene presentata come se fosse un melodioso inciso all'interno della sonata della caccia a Nimue, ma in realtà è tutto collegato con intelligenza e ogni parte convive in armonia con l'altra, senza minare il ritmo del racconto, generalmente serrato e mai con reali fasi di stanca.
È forse il terzo e ultimo atto ad accelerare fin troppo la storia e scadere in fastidiosi e facili cliché, senza regalare al pubblico la sontuosa risoluzione promessa. Si chiude l'intera situazione in un paio di minuti, tra una chiacchierata, qualche testa mozzata, un combattimento interessante ma rovinoso e frenetico nel modo sbagliato e una CGI diabolica.

Si poteva trovare una situazione più efficace? Assolutamente sì, anche sfruttando gli effetti prostetici o lavorando di più sullo scontro di cui sopra, ma si è scelta la vita dei VFX, sbagliando.
Poco male, a dire il vero, perché in realtà Neil Marshall sceglie di concludere Hellboy in stile metal e gore, in una delle sequenze d'azione più belle dell'anno (insieme alla Caccia ai Giganti) che stringe infine il campo su una bella e gradita sorpresa, che insieme alle due scene post-credit apre all'Universo Cinematografico di Mignola. E questo sì, è maledettamente leggendario!

Hellboy Il nuovo Hellboy di Neil Marshall è un concentrato attivo di potenza, gore e venature orrorifiche, prepotentemente diverso dai film di Guillermo Del Toro e più fedele ai fumetti. La ragion d'autore viene meno sotto la guida del regista di The Descent, che recependo senza controllo il materiale curato da Andre Cosby e dallo stesso Mike Mignola si diverte ed esagera, trasponendo con fedeltà stilistica, ritmo e una ventata d'azione il cacciatore di mostri di casa Dark Horse. Un cinecomic avvincente che sa essere fenomenale soprattutto quando si tratta di approfondire il mondo creato da Mignola e raccontarne i suoi terrificanti quanto strambi personaggi, con un David Harbour magnifico nei panni di Red. Eppure non tutto torna. Nei combattimenti più concitati e diretti con cura da Marshall, l'occhio non riesce mai a non essere rapito dalla pessima CGI utilizzata, da un rapporto regia-qualità tecnica impietoso, che non sa valorizzare in pieno lo spirito esuberante, splatter e persino noir del cineasta. Tutto questo risulta ancora più chiaro nel terzo e ultimo atto, che porta sì a conclusione la storia, ma accelerando vistosamente gli eventi e la risoluzione finale, perdendo di mordente ed entusiamo. Peccato perché gli effetti artigianali sono invece molto buoni, così come il resto del comparto tecnico, dalle musiche (saggamente metal o rock) ai costumi, passando per la fotografia studiata per valorizzare il rosso. Un film che saprà stupirvi in modi diversi, Hellboy, a seconda di che tipo di fan voi siate - se conservatori o progressisti -, ma anche rifilarvi delle delusioni non così scontate, che in definitiva rendono un cinecomic venduto come dannatamente leggendario soltanto un prodotto discretamente mitico.

7

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