Recensione Haze - Il muro

Quarantanove minuti di claustrofobico terrore firmati Shinya Tsukamoto

Recensione Haze - Il muro
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Un uomo (Shinya Tsukamoto) si risveglia, ferito, in un gigantesco condotto per l'aria, che si rivela un vero e proprio labirinto. Senza alcun ricordo di come sia giunto lì, si ritrova a vagare in un ambiente buio e claustrofobico, trovando sulla sua strada decine di corpi orribilmente mutilati. Mentre sta per cedere alla pazzia, incontra una misteriosa donna, sanguinante, che potrebbe rivelarsi la sua ultima speranza per fuggire...E' il 2005 quando Shinya Tsukamoto dirige Haze, mediometraggio di circa 50 minuti che mette a nudo le perversioni e le inquietudini più disturbanti del maestro nipponico. Un'opera breve, ma folgorante nella sua brutalità, che nonostante l'incipit riesce a districarsi su diversi fronti, arrivando a parlare di amore, dolore e morte in maniera lucida e precisa.

Il Muro

Chi è il protagonista? Perché si ritrova imprigionato in un luogo infernale? E di chi, o cosa, è vittima? Tsukamoto usa i dubbi come matrice portante della narrazione, impegnando lo spettatore in congetture e arrovvellamenti mentali che tengono viva l'attenzione sino alla fine, nonostante uno svolgimento solo apparentemente monotono ma in realtà ricco di una tensione permanente che, tra eccessi splatter e turbe mentali, riesce a terrorizzare sino all'epilogo, anticipato da un susseguirsi di flashforward che non rivelano comunque tutte le verità.

Schizofrenico, "agitato", una forsennata ricerca di libertà che vede impegnato il regista in prima persona, attore feticcio di sé stesso, nei panni di un personaggio alle prese con situazioni estreme che metterebbero a dura prova la resistenza, fisica e mentale, di chiunque. Morbosamente violento, ma mai fine a sé stesso, Haze è la cronaca di un viaggio ai limiti dell'orrore stesso, un orrore reale, partorito dagli uomini e da esso alimentato con istinti di efferata, e immotivata, crudeltà. La luce che infine conduce i due protagonisti ad un apparente consapevolezza, è la meta finale, metafora folgorante della ricerca di un qualcosa, un perché difficile da comprendere. Un'opera sperimentale, non sicuramente per tutti i palati,  ma in grado di offrire una visione del Cinema conturbante e originale, nel degno evolversi di una carriera sempre percorsa sul limite del visivamente rappresentabile, in quel cercato e disturbante connubio tra anima e corpo inaugurato con Tetsuo. Quarantanove minuti da amare od odiare, senza via di mezzo alcuna.

Haze - Il muro Con Haze il maestro giapponese porta nuovamente agli estremi il suo Cinema. Claustrofobicamente disturbante, narrativamente ambiguo, visivamente terrificante, i quarantanove minuti di visione sono l'ennesima dimostrazione di un genio controverso, in grado come pochi altri di dividere il pubblico, ma sempre fermo e coraggioso nel suo non scendere a compromessi. Questo è Shinya Tsukamoto.

8

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