Hasta el cielo, la recensione del film Netflix

Il regista spagnolo Daniel Calparsoro firma un heist-movie ad alto tasso d'azione ma poco verosimile dal punto di vista narrativo.

Hasta el cielo, la recensione del film Netflix
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Il giovane Ángel è cresciuto nella periferia di Madrid e ha sempre dovuto lottare per sopravvivere e arrivare a fine mese. Orfano di genitori, il ragazzo vive con l'anziano nonno in una zona degradata, ma sogna prima o poi di fare il grande salto.
In seguito a una rissa in discoteca con il rude Poli, con il quale si contende la bella Estrella, Ángel viene coinvolto dal rivale in un mondo criminale fatto di rapine a mano armata. Abbandonato il suo lavoro di meccanico, il protagonista inizia a pensare di aver raggiunto il proprio obiettivo, ma le porte della galera si aprono per lui in breve tempo.
Uscito su cauzione grazie all'intervento dell'avvocato Mercedes, invischiata in quel sottobosco di loschi giri, Ángel fa la conoscenza del potente boss Rogelio, padre di una ex compagna di scuola innamorata di lui, e viene preso sotto la sua ala protettiva. Ma mentre i furti procedono a fasi alterne, tra grandi colpi e periodi trascorsi in carcere, l'incapacità di scegliere tra le due ragazze rischia di complicare le cose e la polizia è costantemente sulle sue tracce, pronta a incastrarlo alla prima occasione.

Alti e bassi

Uscito a inizio aprile 2021 nel catalogo di Netflix come original e subito entrato nella top ten settimanale dei titoli più visti dagli abbonati, Hasta el cielo è un heist-movie spagnolo dallo stampo relativamente classico, dove a forsennate scene d'azione si alternano fasi più drammatiche e ponderate.
Due ore di visione che prendono a piene mani dagli archetipi, mettendo anche troppa carne al fuoco nel raccontare le vicende di un protagonista che è il tipico "figlio di buona donna", incurante dei sentimenti altrui e determinato unicamente a coronare il proprio sogno, quella scalata al potere che già il titolo - in italiano traducibile come Fino al cielo - rimarca ampiamente.
Peccato che non vi sia un necessario scavo introspettivo dei personaggi principali tra il prima e il dopo, quasi che l'ipotetica maturazione scada in realtà in una sorta di involuzione, e il potenziale discorso sociale sulla differenza di classe venga totalmente escluso in favore dell'intreccio criminale.

A corto di emozioni

Intreccio criminale che risulta a tratti banale e stereotipato, dato che la narrazione propende per situazioni in cui i cattivi la fanno quasi sempre franca e le forze dell'ordine appaiono come inetti destinati a rimanere con un pugno di mosche, salvo poi estrarre il coniglio dal cilindro quando viene più comodo.
Tra le mura della prigione e la bella vita di Ibiza, con feste in discoteca e gite in yacht, e due donne che accettano di condividere lo stesso uomo senza apparente motivo (il protagonista Miguel Herrán non è esattamente il prototipo di sex symbol), Hasta el cielo è ricco di forzature e inverosimiglianze, solo vagamente coperte dalle efficaci soluzioni registiche nelle fasi di pura azione, alcune di queste effettivamente coinvolgenti dal punto di vista del canonico spettacolo di genere.
Il regista Daniel Calparsoro aveva fatto di meglio, restando legati al medesimo filone, con il teso Box 314: La rapina di Valencia (2016), ricco di colpi di scena e popolato da bei personaggi. Personaggi che tranne rare eccezioni - il don Rogelio di Luis Tosar - risultano invece qui anonimi e poco carismatici, pedine di una sceneggiatura latitante di emozioni che tra alti e bassi si trascina fino all'epilogo.

Hasta el cielo Un heist-movie battente bandiera spagnola che segue la scalata al potere di un ragazzo di periferia, pronto a tutto pur di raggiungere il successo e fare la bella vita. La figura di Ángel incarna al contempo determinazione, ingenuità ed egoismo ma il suo percorso personale risulta alquanto superficiale, complice un attore poco adatto a un ruolo che necessitava di ben altro carisma e situazioni paradossali e inverosimili che lo vedono, sia nella sfera privata che in quella criminale, farla quasi sempre franca. Ambientato nel corso di alcuni anni, Hasta el cielo può contare su efficaci dinamiche action, mentre il processo narrativo è troppo sbrigativo non solo per ciò che riguarda la gestione delle figure secondarie, schiave di una sceneggiatura spesso inverosimile, ma anche nella stessa storyline principale, che procede spedita verso il finale in un alternarsi forsennato di frenetiche rapine a mano armata e fasi di stallo che tentano, con scarso successo, di creare un ambiente credibile intorno al protagonista.

5.5

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