Recensione Harmony Lessons

“Lezioni di armonia”: così si intitola quello che è stato probabilmente il miglior film in concorso a Berlino 63

Recensione Harmony Lessons
INFORMAZIONI FILM
Articolo a cura di

“Lezioni di armonia”. Così si intitola quello che è stato probabilmente il miglior film in concorso a Berlino 63: Uroki Garmonii, titolo internazionale Harmony Lessons, è un inaspettato film kazako di crude vette realiste rappresentate con una vibrante forza d’immagine e di immersione nei personaggi. Una storia che si confonde con i tratti del film di formazione e di crescita, ruotando attorno a un gruppo di studenti tredicenni. E con i tratti del film di denuncia, che sembra esplorare la realtà kazaka, i ruderi delle periferie e la primitiva vita campagnola. Ben presto però il film vira con fermezza e subito quei tratti grotteschi che erano apparsi fin dall’incipit, nel quale il protagonista sgozzava una pecora, la fanno da padrona e determinano un film verosimile, reale sulla pelle dello spettatore, mai visto prima d’ora. Un film ardimentoso, perché ad Hollywood non si avrebbe il coraggio di raccontare cose simili - nonostante qualche vago tentativo appena accennato.

Il protagonista è Aslan (Timur Aidarbekov), un ragazzino di appena tredici anni cresciuto in una fattoria kazaka con la sola compagnia della nonna. Le sue mani sanno sgozzare una pecora e “lavorarla”, ma il suo carattere non sa aprirsi alla compagnia. Una parabola di cupa e grottesca perversione sui circoli viziosi della crescita puerile e adolescenziale comincia a dipanarsi durante i controlli medici di routine che vengono fatti prima dell’immatricolazione a scuola...

UBI MAIOR...

L’incapacità di Aslan nel socializzare acuisce quando viene deriso e umiliato dagli altri ragazzini e crescerà serpeggiando in tunnel sempre più contorti e deformi, fatti di metodica precisione ai confini con l’ossessione del killer. Cominciano le lezioni ed è chiaro il rapporto gerarchico di disgustosa supremazia del forte sul debole: Bolat (Aslan Anarbayev) è un suo coetaneo bulletto che con la sua sfrontatezza e i legami coi ragazzi più grandi ha istituito una vera e propria rete criminale in piccolo. Una gang di ragazzini che tiene in scacco le classi coetanee o più piccole. Solo Aslan (vittima principale delle angherie di Bolat) e l’amico Mirsaiv ne restano estranei. La frustrazione di essere l’ultimo gradino della piramide sociale e dei rapporti di forza porta Aslan a una progressiva alienazione dalla realtà, capovolgendo le gerarchie di potere in piccoli tormenti sulle creature a lui inferiori. E’ quasi dantesca la pittura efficacissima di questo schema sociale: una piramide s’innalza dal suolo ed è quello dominata da Bolat e dai suoi protettori più grandi, con Aslan al pianterreno - un po’ come il Purgatorio. Una seconda piramide parte dalla frustrazione di Aslan e sprofonda nel terreno e negli abissi reconditi dei suoi dubbi esistenziali, dei suoi tormenti da adolescente, a mo’ di Inferno dantesco. Il continuo e rapido distaccamento dalla realtà va di pari passo con un’ossessiva indagine su se stesso e sulla propria personalità, che spalancherà tragedia e follia. Ad Aslan non resta che fare con gli animali ciò che Bolat sa fare con gli esseri umani: farne l’uso che preferisce, tormentarli, avere a suo modo una dignità non totalmente calpestabile. A intervalli regolari, nella sua catapecchia di campagna “piovono” piccoli scarafaggi che il ragazzino conserva avidamente fino al momento della vivida scena in cui arriva a legarne uno a una sorta di mini-seggiolina in alluminio, torturandolo con brevi scosse di elettricità. Ed è solo l’inizio di una spirale di confusione e perdizione.

...MINOR CESSAT

Del cineasta Emir Baigazin si sa poco: ha 28 anni, è al primo film come regista (e ne è anche sceneggiatore e montatore) e ha un talento che ci auguriamo continui a crescere. Quando le prime immagini ritraggono un ragazzino di campagna impegnato a rincorrere e sventrare una pecora, lo spettatore e ancor di più il giornalista in sala alle nove del mattino ha un disperato timore: sarà il solito film di realismo estenuato, una decina di scene in totale, tutte steady-cam a seguire il personaggio e il silenzio a tuonare tempestoso nel cinefilo di turno, flagellandolo più del protagonista stesso? Fortunatamente la creatura di Baigazin disattende quasi subito queste inquiete e sbadiglianti paure: il lungometraggio kazako (che avrebbe meritato l’Orso d’Oro assai più di Child’s Pose, nonostante il buon risultato dell’avversario rumeno che già vi abbiamo recensito) unisce alla critica di una realtà socio-geografica allo sbando, la preoccupazione evidente per le condizioni di crescita e formazione delle nuove generazioni, e soprattutto un’allegoria (ma allegoria fino a un certo punto, la realtà è forte e vivida) di tutti gli incubi umani: le gang di ragazzini, le torture sugli scarafaggi, il controllo e la censura, il carcere e le aggressioni sono tutte specchio di una condizione che accade su larga scala in tutti i paesi del mondo.

Harmony Lessons Insomma, un film che merita a gran diritto la più larga distribuzione possibile. Considerando la sapienza di uso delle immagini e la capacità di coinvolgere lo spettatore, il primo lavoro di Baigazin può permettersi di sbarcare anche in mercati più tradizionalisti e refrattari al reality film come gli USA: una spuntatina qua e là, e ridurre il film a 90’ è possibile: renderlo apprezzabile al gusto di cinematografie molto lontane è facile.

8.5

Quanto attendi: Harmony Lessons

Hype
Hype totali: 0
ND.
nd