Hamilton, la recensione: il musical di Lin-Manuel Miranda sbarca su Disney+

Energica, ambiziosa e assolutamente spettacolare: la magistrale e rivoluzionaria pièce musicale di Broadway stupisce e cattura anche in streaming.

Hamilton, la recensione: il musical di Lin-Manuel Miranda sbarca su Disney+
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Hamilton è alla base un musical biopic dedicato a uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d'America. Nello scheletro, nel sangue artistico e nell'anima tematica, invece, è molto di più: è rivoluzione. Dell'azione scenica, dell'utilizzo dello spettacolo su palco come strumento di divulgazione, dell'idea stessa di America e delle figure cardine che hanno dato i natali alla sua Costituzione. Alexander Hamilton, il protagonista, è insieme a Benjamin Franklin l'unico dei Padri Costituenti a essere rappresentato su un taglio del dollaro americano senza mai essere stato Presidente. Questo di per sé detta l'importanza del personaggio, ricordato e ammirato per essere stato il più grande sostenitore della ratifica costituzionale del 1787, firmatario di 51 degli 85 saggi del Federalista, opuscolo rivolto ai membri dello stato di New York per convincerli della necessaria introduzione di un documento scritto e ufficiale come impalcatura della Nazione.

Come il musical da lui ispirato e a lui dedicato, Hamilton è stato di più: tra i primi e illustri immigrati, primo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti d'America, acceso rivoluzionario, mente brillante, rifondatore del sistema finanziario nazionale, marito, padre e fedigrafo. Lin-Manuel Miranda prende questa complessa ed essenziale figura storica e ne mette in musica vizi e virtù, ribaltando nel clamoroso esercizio stilistico il modo di raccontare il passato, il diretto punto di vista, dando letteralmente "colore" a George Washington, Thomas Jefferson, Angelica Schuyler e a quasi tutti i protagonisti della fondazione americana, nati bianchi e trasmutati grazie all'arte in afro e ispanoamericani. E questo è solo l'inizio della rivoluzione di Hamilton, che prima di tutto è straordinario, monumentale e impeccabile intrattenimento, levigato e smussato alla perfezione in ogni angolo, reso spettacolo imponente, fresco, attuale e appetibile per ogni generazione esistente.

Un'esperienza indimenticabile

Portato a Broadway nel 2015 e rimasto in scena per due anni, registrando sold out continui e meritandosi un generoso e incredibile affetto da parte di critica e pubblico, l'originale Hamilton ha concluso la sua esperienza on stage con un tour negli USA nel dicembre del 2017, mentre nel West End londinese il progetto prendeva vita con un nuovo cast. Soprattutto la risposta delle giovani generazioni, amanti ma anche no dell'arte di riferimento, è stata una vera sorpresa, motivo che ci regala poi un'importante chiave di lettura critica dell'opera, dato che Hamilton è riuscito a rendere estremamente pop e di tendenza il musical nella sua accezione più completa, con pochi, minuti ed essenziali attimi di parlato, interamente narrato attraverso le canzoni.
Il genio di Miranda, anche lui immigrato e talentuoso, si desta davanti all'articolata e precisa biografia di Alexander Hamilton scritta da Ron Chernow, immaginando nel mentre della lettura una piece musicale dedicata al Padre Fondatore. Nel 2009 presenta alla Casa Bianca quello che sarà poi il pezzo eponimo d'apertura del musical, passando l'intero anno successivo a scrivere un solo brano, il fantastico My Shot, tra una pausa e l'altra del suo In the Heigths.

Quello che viene provato al Vassar College nel 2013 e presentato off e poi on-broadway nel 2015 è in definitiva "il musical più sovversivo e progressista dai tempi di Oklahoma" (parola di Andrew Lloyd Weber), accattivante, trascinante, scombussolante, emozionante; talmente tanti "-ante" che è impossibile elencarli tutti ma che insieme rappresentano la grande ed energica spinta artistico-tematica reazionaria dell'opera.

Hamilton è ragionato per essere su palco fintamente minimale nelle scenografia e nella regia di Thomas Kail, nascondendo in verità un lavoro di perfezionamento al dettaglio che ha dell'impressionante. Lo si nota dall'inizio e poi in ogni attimo, in ogni passaggio, dalle interpretazioni alle superlative coreografie di Andy Blankenbuehler, dall'uso delle luci alle riprese, dagli stacchi ai passaggi sonori - sempre curati da Miranda, così come i testi e la drammaturgia.

L'intento - anche dichiarato - è quello di narrare la storia di Hamilton e ragionare sull'eredità storica, umana e culturale da lui lasciata, cambiando però prospettiva ma mantenendo l'esimia figura come protagonista, interpretata (magistralmente) da Miranda che ne amplia la lettura, lasciandolo decrittare lentamente dalla moglie Eliza, dal Presidente George Washington, dalla cognata Angelica, dagli oppositori come Jefferson ma soprattutto da quella che è stata la sua nemesi politica, Aaron Burr, personaggio estremamente cauto e in qualche modo ignavo ("Wait for it" è il suo motto, tanto da essere deriso per questo).

Ogni interprete scelto per recitare nei panni delle figure sopra citate o in quelli di Lafayette, Giorgio III (è Jonathan Groff di Mindhunter) ma anche di John Laurens vale da solo il prezzo della visione, con particolare riguardo per Leslie Odom Jr. e Renee Elise Goldsberry nei ruoli di Burr e Angelica. Le canzoni e la recitazione del primo sono forse il fiore all'occhiello dell'intera produzione (Wait for It, Dear Theodosia, The Room Where it Appens), mentre la passione sentimentale e l'immedesimazione della seconda bucano prima il palco e poi lo schermo, ora che Hamilton è disponibile su Disney+.

Gain in Translation

Vedere il musical a Broadway o nel West End non è ovviamente la stessa cosa che vederlo sul grande schermo di un cinema o sul piccolo schermo di un salotto, di una camera da letto. Seduti in un teatro, la visuale del palco è totale e totalizzante, a prescindere dal posto. È anche unica e statica e il ritmo dello show lo detta solo ed esclusivamente lo spettacolo. È un fruire diretto che passa senza intermediazioni dall'interprete allo spettatore, lasciando per questo qualcosa di realmente esclusivo e irripetibile, anche tornando a vederlo. Cambierà al cambiare della poltrona, della prospettiva, del mood degli attori, della precisione della regia e della coreografia sul palco.

Registrato e montato, invece, il ritmo dello show e della narrazione è dettato ancor più nel profondo dalle scelte della regia, che nel caso specifico non opta per un'inquadratura fissa - a imitare inutilmente il live on stage - ma per dei movimenti equilibrati e precisi, a scavare all'interno del musical alla scoperta più ravvicinata di elementi coreografici, espressivi o scenografici altrimenti meno evidenti. Si alternano tanti punti visuali che tengono conto quando dell'importanza del singolo, quando della pienezza della scena, valorizzando in sostanza l'interpretazione degli attori in modalità solista e traslando con grande intuitività l'intero palco su schermo se il momento lo richiede.

Oltre alle eccezionali composizioni ideate in chiave hip hop e rap, ragionate così a monte per dare un tono diverso alla storia e donare un vigore e un'intensità più viscerali, divertenti e audaci alla produzione, Hamilton è infatti ricco di geniali trovate coreografiche e registiche che lasciano senza fiato (la battaglia di Gabinetto declinata a rap battle).

Le più complesse e folgoranti, probabilmente, sono rappresentate dalla bellissima Satisfied cantata da Angelica nel primo Atto e dal duello finale con Burr in conclusione d'opera. Nel primo caso si procede con un rewind su palco della coreografia della precedente canzone, Helpless, entrando direttamente nei sentimenti della cognata innamorata di Hamilton, che ricordando il loro primo incontro, i suoi dubbi e poi il colpo di fulmine tra Hamilton ed Eliza riflette sul suo errore, impossibile da sanare per il bene della sorella. Nel caso del Duello con Burr, invece, tutto si articola in un rallenty durante il quale il protagonista ripensa alla sua intera esistenza, alle sue decisioni e alla morte nel momento stesso in cui un immaginario proiettile guidato da una delle attrici di scena sta per trapassargli il costato.
C'è una difficoltà concettuale brillante ed estrema nelle scelte di Kail e di Blankenbuehler che entra in comunione di intenti con la drammaturgia e le musiche di Miranda. Il tutto sfrutta peraltro una resa scenografica davvero minimale che prevede per la maggior parte del tempo un soppalco alle spalle degli attori, due scale ai lati e al centro una grande pedana rotante innestata nel pavimento, così da poter concretizzare in scena il passaggio del tempo, le camminate, il cambio dei luoghi, gli interni e gli esterni.

C'è una ricercatezza che ha del sublime e che funziona per tutte le quasi tre ore di durata, che abbraccia e completa il comparto narrativo e musicale, creando qualcosa di magistrale anche quando intermediato da un montaggio cinematografico obbligato.

Anche in queste fattezze, Hamilton resta e si dimostra dunque il musical rivoluzionario già ampiamente blasonato e amato oltreoceano, finalmente disponibile anche per tutti gli appassionati che da anni chiedevano a gran voce la possibilità di vedere questa versione registrata al cinema, adesso in versione da salotto. Racconta delle salde basi americane lastricate del sudore degli immigrati ("Immigrants: We get the job done!"), di un modo di percepire la storia di una nazione ma anche del singolo in senso pirandelliano e diverso, vestendo di nero il vecchio bianco, trasmutando note di antiquate fattezze in musica da classifica su Spotify e vincendo infine un Pulitzer, il solo dei nove musical sugli 83 esistenti ad aver mai raggiunto un simile risultato. Unico come lo stesso Hamilton.

Hamilton Hamilton di Lin-Manuel Miranda sbarca finalmente su Disney+ e non delude le aspettative. La versione registrata e montata del musical originale resta fedele nelle intenzioni concettuali e artistiche al live on stage, valorizzando le interpretazioni degli straordinari protagonisti e le superlative e complesse coreografie con dei punti visuali precisi e leggeri, con stacchi ragionati e la volontà di scavare più a fondo nell'espressività degli attori e nei dettagli scenografici. Si perde forse l'esclusività dell'evento ma non la sua genialità, un'energia dirompente, una rivoluzione a ritmo pop dell'arte di riferimento, che veste di nero il vecchio bianco e racconta la figura di Hamilton sotto tante prospettive diverse. Si sofferma anche sulla storia della nazione e sulle fondamenta degli Stati Uniti d'America, lastricate del sudore degli immigrati e create per dare un futuro migliore e diverso al Paese per come in realtà lo conosciamo oggi. Hamilton è un'opera drammaturgica e musicale di clamoroso e ineguagliabile successo, capace di parlare a ogni generazione e di insediarsi prepotentemente nel cuore di ogni spettatore grazie alla sua concettualità ragionata, ai suoi testi emozionanti, vigorosi e caustici, alle sue battute pungenti, ai sui personaggi così ben caratterizzati e revisionati. Unico come il suo protagonista. Imperdibile per tutti, con una sola precisazione finale: è solo in inglese con sottotitoli in lingua originale, è dunque richiesta un'ottima conoscenza della lingua d'oltremanica per godere della produzione al massimo delle sue potenzialità.

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