Halloween, la recensione: il ritorno di Michael Myers, eterno uomo nero

Michael Myers è tornato, a 40 anni esatti dagli omicidi del 31 ottobre 1978, e brama vendetta. Purtroppo per lui però non è il solo...

Halloween, la recensione: il ritorno di Michael Myers, eterno uomo nero
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Quanti fra voi credono all'uomo nero? Al Boogeyman, come lo chiamano negli Stati Uniti? Parliamo di un essere leggendario, cattivo e oscuro, capace di spaventare senza pietà bambini e adulti nella tradizione di diversi Paesi nel mondo. Le sue caratteristiche fisiche però non sono chiare, può assumere diverse forme e una di queste potrebbe essere il corpo di Michael Myers, di cui del resto conosciamo soltanto la maschera che indossa.
Creato da John Carpenter e Debra Hill nel 1978, il bambino assassino diventato poi folle adulto, rinchiuso praticamente a vita in un centro di "correzione mentale", sta per tornare sul grande schermo nell'undicesimo film della saga, dopo vari sequel di dubbio gusto e i remake di Rob Zombie. Quello firmato David Gordon Green, intitolato semplicemente Halloween, non è affatto un rifacimento, al contrario è un sequel in piena regola, di ritorno ad Haddonfield a 40 anni di distanza dagli omicidii del '78.
Michael Myers è dunque invecchiato ma sempre silenzioso e spietato, assetato inoltre di vendetta. Nei suoi sogni e incubi c'è probabilmente la Laurie Strode che gli è sopravvissuta la celebre Notte delle Streghe di Carpenter. Ma cos'è successo in tutto questo tempo?

La resa dei conti

Gli anni sono passati tanto per Myers quanto per la Strode, che oggi è una nonna che non ha mai dimenticato il suo passato. Al contraro ciò che è successo il 31 ottobre del '78 ha condizionato tutta la sua vita successiva: il terrore si è accasato fra le pieghe della sua anima, trasformandola in una combattente, una donna che ha investito tempo e denaro per imparare tecniche di difesa, a sparare con pistole e fucili, a trasformare la sua stessa casa in una fortezza super sorvegliata - fra telecamere, grate a scomparsa e bunker sotterranei.
La sua giustificata paranoia, legata a un eventuale ritorno di Michael Myers in libertà, ha cambiato anche il rapporto con sua figlia, allevata a latte e pallottole, prima dell'intervento dei servizi sociali. Ora però, il giorno tanto temuto e atteso della resa dei conti finale, potrebbe essere arrivato davvero. Myers non è il solo a bramare vendetta, la stessa Strode ha passato la sua esistenza a desiderare il sangue del suo potenziale assassino.
David Gordon Green, Danny McBride e Jeff Fradley, gli autori della sceneggiatura, hanno svolto un lavoro davvero particolare, difficile da inquadrare a un primo sguardo. Nelle loro intenzioni, probabilmente la volontà non solo di tornare alle origini, anche di scardinare i pessimi sequel usciti negli anni a partire dal 1981, come indica metaforicamente la zucca di Halloween che si ricompone durante i titoli di testa.
Il 1978 è però molto lontano, sono passati 40 anni nella finzione come nella realtà, il vero obiettivo è dunque omaggiare, non reinventare da zero come ha fatto - a modo suo - John Carpenter.

Forma, linguaggio, violenza

A separare quest'ultimo sequel dal capostipite della saga c'è innanzitutto la forma, arrivano poi il linguaggio e la violenza, ma affrontiamo un elemento alla volta. Senza troppi dubbi, l'incipit di Halloween - La notte delle streghe è una pietra miliare della cinematografia mondiale: il regista statunitense utilizza 4 minuti in piano sequenza e il punto di vista dell'assassino per catapultarci immediatamente nella folle mente del piccolo Michael Myers, dove le cose accadono senza logica apparente. Un'idea geniale e funzionale che colpisce subito allo stomaco lo spettatore, formalmente inerme assassino della sorella maggiore di Michael.
Nel 2018 le cose avvengono in modo completamente opposto: perché l'azione prenda slancio, bisogna attendere più di 30 minuti, un tempo usato da Gordon Green per raccontare sommariamente "chi è" Michael Myers, cosa ha fatto, e conoscere la sua mancata vittima Laurie Strode, oggi una signora trasandata e divorata dalle ossessioni - sfruttando l'escamotage narrativo di due giornalisti d'assalto. Una scelta probabilmente utile al pubblico più giovane, ma che può annoiare leggermente gli appassionati più navigati - che conoscono più che bene la storia di uno degli assassini più efferati della storia del cinema.
Due modi differenti e contrari di iniziare una storia, di avviarsi a un linguaggio che nel 1978 aveva tutto da inventare e nulla da perdere, ma che nel 2018 ha visto l'industria hollywoodiana creare qualsiasi soluzione possibile. Laddove Carpenter poteva permettersi di essere più riflessivo, attento, curioso, Gordon Green preferisce cavalcare ogni cliché immaginabile del genere, prendendolo talvolta anche palesemente in giro.
Nel nuovo Halloween non manca niente: un assassino efferato che scappa da un manicomio, una comitiva di adolescenti in pericolo, un agente della contea pronto a immolarsi per la causa e uno psichiatra ossessionato dal suo stesso lavoro. Senza dimenticare il dettaglio più pittoresco: è ancora la notte di Halloween.

I tre autori hanno scritto una sceneggiatura entro i margini della sicurezza, affidandosi a una certa linearità, dialoghi di riempimento, jumpscare come se piovesse, osando soltanto su un aspetto, la violenza. Il primo Halloween di John Carpenter era tutto fuorché estremo, dal punto di vista della brutalità: la paura non arrivava certo dal sangue, dalle coltellate senza rimorso di Myers, più dalla presenza stessa dell'assassino, un'ombra della notte indefinibile - autentico uomo nero, incarnazione del male più assoluto.
Nel 2018 Myers non è più un animale notturno, al contrario lascia la sua scia di terrore anche in pieno giorno, aggirandosi addirittura attorno ad Haddonfield a volto scoperto. È una presenza più "fisica", tangibile, meno eterea del 1978, allo stesso modo si è evoluta la sua violenza: l'anima vagamente slasher del capostipite ha lasciato oggi campo libero a un sentimento più splatter, fra teste prese a martellate o schiacciate dagli stivali, coltellate in gola a favore di camera e tutto un campionario di idee sanguinolente alquanto nutrito.
Halloween dunque non è un film da vedere in solitudine, nella propria stanza a notte fonda, lasciandosi divorare dall'orrore dell'invisibile; è un lavoro da vedere in gruppo, fra adolescenti che amano accompagnare gli schizzi di sangue con le urla e le strette di mano. Gli appassionati più adulti possono invece cogliere sfumature più complesse, che toccano la sfera familiare.
Questo sequel vede infatti, all'ombra di Michael Myers, tre donne protagoniste: una nonna, una mamma e una figlia. Quest'ultima incarna per ovvi motivi il lato più giocoso, ingenuo e innocente della storia, la nonna invece (la stessa Jamie Lee Curtis del 1978) porta addosso colpe e rimorsi, almeno prima che tutto venga spiegato - a personaggi e spettatori. La madre al centro, ponte fra due generazioni, è poi l'ago della bilancia in cerca di conferme e risposte.

Halloween Cos'è dunque questo nuovo Halloween? Difficile dirlo a primo impatto, certamente non un horror che si dimentica in fretta - nel bene e nel male. È un film che non taglia i ponti con il passato, al contrario lo omaggia e lo scavalca, prendendo inoltre in giro svariati cliché del genere. L'origine della paura è cambiata, Michael Myers è diventato più fisico, più efferato, gli stessi autori del film hanno meno timore di mostrare il sangue a favore di camera. Si parla dunque un linguaggio diverso rispetto al passato, meno propenso a inventare e più lineare, più prevedibile, sempre pronto a sfruttare jumpscare che - francamente - hanno stancato. La seconda parte però nasconde qualcosa di oscuro, un fascino primordiale che ingoia lo spettatore come ai tempi d'oro, trascinandolo in una resa dei conti finale che fa volare il tempo in un lampo. E poi c'è lei, la musica, la colonna sonora di sempre, ripresa in mano da John Carpenter che l’ha arricchita, senza mai snaturarla. La battaglia è dunque anche fuori dallo schermo, fra elementi che si potevano evitare e soluzioni funzionali, con l'oscurità di Michael Myers che fa comunque guadagnare qualche punto.

7

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