Gunda: la recensione del documentario prodotto da Joaquin Phoenix

Dopo l'anteprima mondiale al Festival di Berlino, arriva al Torino Film Festival il nuovo documentario di Viktor Kossakovsky.

Gunda: la recensione del documentario prodotto da Joaquin Phoenix
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Girato in bianco e nero e senza dialoghi, esclusi chiaramente i versi attraverso i quali i protagonisti comunicano fra loro, il nuovo documentario del regista Viktor Kossakovsky è un racconto del quotidiano di una fattoria dal punto di vista di una scrofa, Gunda.
In questa fattoria degli animali nient'affatto orwelliana ma incredibilmente umana ci sono un maiale, i suoi cuccioli, due mucche e una gallina con una zampa sola (davvero), ognuno con la propria voce specifica e nessuna di queste è umana.
Tra squittii, grugniti, strilli e muggiti, Kossakovsky va alla ricerca dell'epica negli sguardi solo apparentemente inespressivi dei suoi protagonisti, che ovviamente non recitano mai eppure davanti alla camera, ma vantano un linguaggio del corpo da vere star.
L'opera è stata Osannata da Joaquin Phoenix, che ne è diventato produttore esecutivo, applaudita da Paul Thomas Anderson e accolta positivamente in tutto il mondo.
Gunda cattura lo sguardo con immagini di straordinaria bellezza, spesso long take tanto intimi quanto discreti, si traveste volutamente da art-house estremista ma allo stesso tempo si fa cinema popolare puro nel suo modo di comunicare da parabola politica, sociale e ambientalista, creando immagini incredibilmente eleganti per un contesto che di elegante non avrebbe nulla.

Nella vecchia fattoria

Se c'è una cosa che Gunda proprio non è, è un documentario: il messaggio del film è chiaro e tondo e lo scopo anche, Kossakovsky ha fatto del veganesimo la sua religione e la sua opera mira a diventarne il simbolo.
Presentato in prima mondiale a Berlino e ora di passaggio al Torino Film Festival 38 (non si sa ancora nulla della distribuzione italiana), ha ottenuto un grande successo nel mondo animalista e tra leggenda e verità già si racconta di come, durante la produzione, abbia convinto tantissimi membri della troupe a dire addio per sempre al consumo di carne.
Gli animali protagonisti, filmati in diverse fattorie sparse tra la Norvegia, la Spagna e il Regno Unito (primo indizio di come sia un "finto documentario"), vivono una quotidianità tranquilla che Kossakovsky racconta con un bianco e nero stile Béla Tarr o Carl Dreyer e una cura per le immagini pazzesca.
Il sonoro, per stessa dichiarazione dell'autore, è stato ritoccato in post-produzione per essere esaltato e contribuire ad arricchire la saga dei protagonisti, che si estende per circa novanta minuti.

Del tutto avulso dagli standard cinematografici convenzionali, e per questo giustamente considerato originalissimo, il film mostra i maialini protagonisti e la loro crescita, la loro lotta per trovare la posizione giusta durante l'allattamento, i pisolini, i giochi e l'esplorazione, con mamma Gunda sempre intorno a loro o a distanza di zampa.
Gli umani non ci sono mai eppure sentiamo sempre che è il loro mondo, dall'orecchio della scrofa protagonista che dà il titolo al film (il termine "Gunda" ha origini tedesco-scandinave e significa "guerriera") pende un cartellino che la indica come proprietà di qualcuno che rimane sempre fuori campo.

Scaltro a evitare sequenze di shock e di sangue che sui blog e sui social sono diventate il manifesto tipico dei trattati contro il consumo di carne animale, Gunda affonda definitivamente il colpo nel cinema narrativo col suo finale.
Giocando d'astuzia e mirando al cuore dello spettatore per arrivare a una conclusione furba e ruffiana, diventa chiaro come l'opera sia stata pensata appositamente per essere strappalacrime, e grazie all'abilità fuori dal comune di Kossakovsky riesce nel suo intento. Genera un'empatia davvero inusuale in un film, visti i soggetti inquadrati e il modo scelto per raccontarli.
Un canto bucolico idilliaco fatto di grugniti che all'improvviso si interrompono, e forse quello che manca a Gunda è la puzza, non solo di maiali ma anche di verità: la straordinaria fotografia rende tutto traslucido e sognante ma insieme alle numerose finzioni orchestrate dal regista fa apparire tutto costruito ed elaborato, paradossalmente quasi mai naturale. Strano a dirsi in un film di fango e porcili.

Gunda Con una potenza visiva d'eccezione che ha quasi dell'inedito, Gunda si finge documentario nel raccontare la quotidianità di una scrofa e dei suoi maialini, utilizzando al tempo stesso i mezzi e gli stratagemmi di un film con sceneggiatura non per suscitare clamore, ma per generare empatia e strappare qualche lacrima. Non esattamente sottile nel messaggio che vuole comunicare ma decisamente originale per la maniera con la quale lo trasmette, quello di Viktor Kossakovsky è un semi-doc furbissimo e un po' ostentato, che però rappresenta a pieno titolo un’esperienza più unica che rara. Prodotto e osannato da Joaquin Phoenix, è stato presentato in Italia al Torino Film Festival 2020.

6.5

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