Grindhouse - A prova di morte, recensione del nuovo film di Tarantino

Quentin Tarantino torna al "pulp" con Grindhouse - A prova di morte, il suo nuovo, violento e dissacrante film.

Grindhouse - A prova di morte, recensione del nuovo film di Tarantino
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Tarantino al 100 %

Premessa: lasciamo perdere il flop negli USA di Grindhouse, con conseguente cambio di tattica commerciale per l'Europa. Da noi un film per volta, prima questo Death Proof, poi, pare verso ottobre, arriveranno Planet Terror di Rodriguez e i fantomatici fake trailer girati da Eli Roth, Rob Zombie e compagnia. Inutile star a discutere di tutto questo, della ovvia perdita di fascino e credibilità nel visionare in due puntate questo progetto cinematografico: inutile perchè il film di Tarantino, allungato addirittura fino a due ore per reggere da solo l'impatto col pubblico europeo, è puro, onesto cinema d'autore. Autore perchè, cosa ormai ben rara, Quentin è per l'occasione regista, sceneggiatura e direttore della fotografia. Padre inconfondibile e coraggioso di un figlio partorito con fatica e peripezie, ma alla fine, per fortuna, partorito. E' uno dei film più autoreferenziali e personali che abbia mai sfornato: se Kill Bill era un omaggio al cinema altrui attraverso quello di Tarantino, Death Proof è un omaggio al proprio cinema attraverso le atmosfere e i richiami degli amati padri '70.
Intanto soggetto scarno, essenziale, proprio sulla falsariga di una certa epoca che purtroppo non tornerà mai più, ma che è possibile far ricordare: due storie praticamente identiche, intervallate da un salto temporale di poco più di un anno, con in ballo due gruppi di ragazze e uno stuntman fuori dal tempo, pazzo, morboso, meraviglioso, che si diverte a molestare e devastare con la propria e gloriosa combat car le suddette ragazze. Lo stuntman è interpretato da Kurt Russell, e volendo la recensione potrebbe anche finire qui, tanta è la magia e la passione che sprigiona la sua prova; la prima sequenza in cui spunta parte del suo sguardo, all'interno della sua macchina quasi interamente sommersa dal buio, è roba da infarto, brividi, pura devozione.

La macchina del tempo

Dicevamo, due storie identiche all'apparenza, ma che nascondono due, forse anche di più, film insieme: Death Proof è un'opera metacinematografica, è cinema nel cinema, per lo spettatore e CON lo spettatore. La prima parte è il film vero e proprio, tripudio per occhi e orecchie (colonna sonora da infarto, con Morricone, Micalizzi e svariate altre perle), meticolosa ricostruzione di un'atmosfera vecchia trenta e passa anni, attraverso anche i giochetti Tarantiniani di cui si è parlato molto: pellicola che si inceppa, sgranature, bruciature, graffi, inquadrature sbagliate. Certo, tutto molto artificioso, se un tempo questi effetti erano l'onesta e sincera conseguenza dei pochi, spartani mezzi a disposizione tipici dei B-Movie, qui abbiamo a che fare comunque con budget ed ambizioni ben più alte. Poco importa, perchè è comunque il cuore a guidare tali scelte, e su questo non si può stare a discutere, perchè questa prima storia è Tarantino al cubo, che parla e scherza col suo pubblico. Dialoghi a torrente, continui, incalzanti, spesso inconcludenti, luoghi ricostruiti ad arte (il pub dove si vanno a divertire le ragazze), personaggi azzecatissimi, feticismo strabordante, a volte quasi nauseante (piedi, piedi e ancora piedi !) e apoteosi estatica della violenza, incorniciata nello strabiliante incidente in slow motion che taglia a metà del film e che proietta Kurt Russell nel culto più totale, celebrando e rinnovando i suoi indimenticabili personaggi legati a film come Grosso guaio a Chinatown e 1997 Fuga da New York, giusto per citare i più ovvi e ricorrenti.

Benvenuti NEL cinema !

Poi, si riparte, altre ragazze, ancora lo stuntman. Soltanto che ora il film non è amore e dono per lo spettatore, è lo spettatore stesso, preso e lanciato dentro la storia. Ci sono queste simpatiche femmine, e veniamo a sapere che lavorano nel cinema: una di loro è Zoe Bell, nella parte di se stessa, ovvero controfigura di Uma Thurman, il suo ruolo in Kill Bill, di cui ci ricorda la suoneria del suo cellulare. Il cinema si avvolge su stesso, con personaggi che potrebbero essere ognuno di noi, un qualsiasi fan di Tarantino, dei road movie, dei polizieschi italiani, dei thriller/horror nostrani. C'è un lungo dialogo che non porta assolutamente a niente, ambientato in un bar, girato con un pianosequenza maniacale, perverso, invasivo: poco conta la trama, la vicenda, è tutto un pretesto per buttarci dentro questo delirio. Tecnica e stile al servizio di sentimenti e passione, quello che mancava assolutamente a Kill Bill. Ancora: l'ultimo inseguimento, con l'irruzione delle due macchine di razza in una strada colma di vetture del giorno d'oggi. Più che un semplice confronto è mescolarsi di passato e presente, è di nuovo l'incrociarsi e il contaminarsi di due diverse pellicole, una dentro l'altra. Queste ragazze stanno andando a girare un film e si ritrovano NEL film, in Death Proof: una di loro vuole guidare un'altra celebre combat car, proprio come in Punto Zero, opera citata di continuo, e nella cittadina in cui si è recata con le sue compagne c'è un bifolco redneck, chiaramente adorabile, che la vende. La prendono, rievocano le proprie, ma anche le nostre fantasie: siamo con loro, come loro.

Stuntman...Kurt?

Riecco Kurt, riecco Stuntman Mike: sadico e inesorabile ripropone il suo gioco di lamiere e ruote incandescenti. Stavolta però le cose cambiano, le vittime designate si ribellano, lo cacciano, da carnefice Mike diventa vittima, completando il ribaltamento concettuale operato da Tarantino: il suo personaggio scompare, si sveglia, dice che stava solo giocando, e si sente improvvisamente proiettato nella realtà, in quello che per lui NON è più un film. Ma per le angeliche creature, ora trasformate in demoni vendicativi, con chiaro rimando a un altro filone, quello dei rape'n'revenge, è esattamente il contrario: drogate da fascinazioni estetiche e proiettate in un'altra dimensione, si tramutano in altro, in attrici di se stesse, decise fino in fondo a girare e concludere questo film. Film che si interrompe, meravigliosamente, e non diciamo qui come e perchè; la cosa bella è che, nonostante la scritta The End, sembra che non finisca, che continui, con il pubblico - fan - attrici a vivere il proprio sogno e Kurt Russell spogliato del suo personaggio fittizio e piombato in un gioco grottesco e irreale, non più attore del/nel suo film originario, ma di un altro. Il nostro, quello di Tarantino.

Grindhouse - A prova di morte Piaccia o non piaccia, artificioso o non, ai limiti del masturbatorio, questo è un lavoro di un autore vero: un autore che si diverte a giocare, scherzare e rimescolare le carte in tavola, col suo pubblico e con se stesso insieme. Un regalo immenso per chi la pensa come lui, per chi ama un certo cinema, per chi sa semplicemente sognare grazie ad un'inquadratura, un dettaglio, un'espressione facciale. E ora, aspettiamo Rodriguez...

8

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