Quella di Hansel & Gretel è una delle fiabe più conosciute dei fratelli Grimm, ma la versione di Oz Perkins è qualcosa di completamente nuovo. Lontana dalla traiettoria action del film con Jeremy Renner e Gemma Arterton, diversa dai toni profondamente fiabeschi usati da Terry Gilliam nel suo L'incantevole strega, sovversiva e più eccentrica rispetto alla favola stessa. La trasposizione firmata dal regista di Sono la bella creatura che vive in questa casa è infatti sovversiva già a partire dal titolo, che lascia il posto da protagonista alla vera eroina della storia, Gretel.
L'ambientazione eterea ideata dai Grimm e riconducibile alla campagna o Foresta Nera tedesca lascia il posto a un'Inghilterra in piena carestia, dove Gretel e Hansel vivono di stenti insieme alla madre. Rinunciando a vendere il suo corpo per mantenere la famiglia, la ragazza viene cacciata dalla povera madre insieme al fratello, finendo per diventare girovaghi tra i boschi della zona. Andando sempre più in profondità nella fitta radura della foresta, Gretel comincia a percepire qualcosa di strano, a sviluppare una sorta di seconda vista che le fa vedere cose che potrebbero non esistere. L'arrivo presso un'inquietante casetta nera nel cuore del bosco e la calorosa accoglienza di un'anziana quanto angosciante signora, alla fine, cambieranno le vite dei due fratelli in una curiosa e inaspettata maniera.
L'estetica dell'orrore
La prima cosa che concettualmente salta subito all'occhio di Gretel e Hansel è il posizionamento della morale. La struttura delle fiabe, proprio per loro stessa natura e ideazione, è concepita come un racconto con un finale di tipo pedagogico, volto cioè all'insegnamento di un precetto edificante per vivere in modo quanto più puro e saggio possibile. È prima di tutto la morale a dare l'impalcatura alla storia, ma è soprattutto la storia a sviluppare infine la morale. Si parte dall'insegnamento in forma basilare, gli si crea il guscio del racconto intorno e alla fine lo si chiarifica all'interno della trama o direttamente in modo esplicito. La cosa essenziale è non tradire mai il senso stesso della fiaba e seguire un filo logico narrativo che conduca poi alla lezione di vita conclusiva.
Oz Perkins sceglie invece di essere anche in questo caso sovversivo e raccontarci la Fiaba della Bambina dal Cappello Rosa all'inizio, inserendola direttamente come prologo-monito d'apertura e rivelando la morale prima ancora dell'inizio della storia vera e propria.
Ci dice di "fare attenzione ai regali e a chi ce li offre e di fare anche attenzione a chi è troppo felice di riceverli". Estremamente interessante è però l'uso mutevole che l'autore fa di questo precetto, che cambia radicalmente con il procedere del film e diventa per lo spettatore uno strumento di valutazione diegetico del racconto, dato che mette in guardia non solo dalla villain dichiarata ma anche da tutto il resto, compresi i protagonisti.
Il film di Perkins guadagna così punti narrativi grazie a questa intrigante trovata della fiaba nella fiaba, mai accessoria ma segnante e centrale, che dà quel tocco di novità necessario a un susseguirsi di eventi che, per quanto ribaltati, rinnovati, riformualati, appaiono infine sempre gli stessi. Più che modificare al cuore Hansel e Gretel, "l'inversa trasposizione" prodotta dalla Orion Pictures tenta infatti di accentuare e valorizzare quelle vibrazioni orrorifiche che da sempre appartengono alla creazione dei Grimm, declinandole su di un piano più intimo e psicologico per i due protagonisti e decisamente tetro, tra l'onirico e l'agghiacciante, per quanto riguarda le ambientazioni.
L'autore riesce comunque a dare un tocco di personalità più spinta anche ai dialoghi, che in più di un'occasione riescono a nascondere molta più concretezza e originalità di quello che appare (la favola iniziale, il discorso sul veleno, il confronto con il sir o il cacciatore). Il film è comunque bilanciato per caratterizzare narrativamente bene anche i silenzi, dove sono gli sguardi curiosi o preoccupati della splendida e bravissima Sophia Lillis (IT, Sharp Object) o il vuoto, la sfida e le tenebre nei sorrisi e negli ammiccamenti della strega interpretata da un'irriconoscibile e fantastica Alice Krige a donare bellezza, senso e funzionalità alla scena.
Mancando a monte di originalità - visto il tema e i personaggi trattati -, il lavoro di Oz Perkins in questa occasione si può accostare più a quello di Ari Aster anziché al più sofisticato, laborioso e filologico esempio di Robert Eggers. L'autore di Gretel e Hansel punta soprattutto a un'estetica elaborata, pulita e affascinante, che dalla magnificenza dell'immagine e dell'inquadratura arriva anche alla scelta di un contrasto elettrico sensoriale tra vista e udito, dando persino in questo caso un tocco di vanità manieristica in più, anche se in un senso del tutto indipendente.
Straordinaria - forse più di ogni altra cosa - è infine la cura cinematografica di Galo Olivares, sia nelle inquadrature fisse che nella fotografia, dato un eccellente utilizzo delle luci, vario, ingegnoso e coerente con i toni del film, formalmente superlativo.
Gretel e Hansel è un titolo che si sofferma con intelligenza e contenuto sulle radici del male e l'ossessione per il potere, traducendo in modo maturo sul grande schermo un racconto per bambini già di per sé teso e intrigante. È un grande ed emblematico esempio della rilettura contemporanea del cinema horror indipendente, più autoriale, un po' sfarzesco, esteticamente opulento e apparentemente vacuo (anche se spesso lo è davvero). Nel caso specifico, Perkins evita di sana pianta i jump scare per puntare invece al brivido, il che significa che il nervosismo durante la visione è generato dall'intera costruzione cinematografica e non da escamotage legati a un aumento del volume delle musiche o agli angoli di ripresa. È insomma sempre la forma che troneggia sul contenuto, il che abbassa un po' l'attenzione dello spettatore sul secondo, catturato più da scorci magnifici e passaggi visivamente sensazionali piuttosto che dalla trasformazione intrinseca della morale. Il che è un peccato.