Un mondo miasmatico, un futuro senza speranza. L'intera superficie terrestre è diventata un palcoscenico invivibile, dove la siccità ha consumato la natura e aridi deserti si estendono per spazi che appaiono infiniti. "Una volta, in qualche posto, non lontano da adesso" è il tempo e il luogo imprecisato dove ha luogo l'azione di Gold, distopico che ci accompagna in un'epoca ipoteticamente prossima, dove il cambiamento climatico e gli errori degli uomini hanno condotto ogni cosa allo sbando (lo trovate al cinema, mentre potete già programmare quali film in sala a luglio 2022 andrete a vedere). In questa realtà senza speranza si muove il protagonista Virgil, un viaggiatore solitario che dopo aver raggiunto un isolato avamposto, ingaggia l'autista Keith per essere portato in un'area dove potrebbero essere necessarie le sue abilità.
Un uomo dell'ovest, Virgil, che è pronto a tutto pur di trovare uno scopo per quanto gli rimane da vivere, mentre il più anziano Keith è ormai più disilluso, stanco di credere in qualcosa. Ma durante il tragitto a bordo di uno scassato pick-up il loro destino potrebbe cambiare incredibilmente: dopo un guasto al mezzo in pieno deserto infatti, i due si imbattono casualmente in un gigantesco masso pieno d'oro. Il problema è che a mani nude è impossibile portarlo via e solo una scavatrice è in grado di estrarlo dal secco terreno...Keith decide così di far ritorno al campo base per procurarsi i mezzi necessari, e lascia lì Virgil quale guardiano di quell'insperata fortuna. Ma le ore scorrono veloci una dopo l'altra e il ragazzo si trova a lottare contro le estreme condizioni climatiche in attesa che il compagno faccia ritorno...
Gold: non tutto è oro quel che luccica
Qualche anno fa vi avevamo parlato su queste stesse pagine di The Rover - leggete qui la nostra recensione di The Rover - solida produzione australiana con il quale questo Gold, proveniente anch'esso dalla terra dei canguri, ha diverse cose in comune, bandiera a parte. In entrambi i casi infatti il mondo fetido e puzzolente dove ha luogo il racconto è stato terreno ideale per le performance di due attori considerati prima "troppo belli" o soft per ruoli da duro: se nel film del 2014 era stato Robert Pattinson a offrire una performance destabilizzante nei panni di un personaggio mentalmente disturbato, tocca ora a Zac Efron ripulirsi dall'immagine "carina" e calarsi nella furia primordiale di un survival-movie moderno.
L'altro elemento in comune che lega i due titoli è la presenza dell'attore e regista Anthony Hayes: una piccola parte nel film di David Michod, mentre qui siede non solo dietro la macchina da presa ma veste anche i panni del co-protagonista. Peccato che a livello di stile non possieda la stessa abilità del navigato collega e che Gold dimostri una certa velleità di intenti, pur a dispetto di buone scelte tecniche e visive.
Un film troppo derivativo
La pecca maggiore dell'operazione è nel suo essere fortemente derivativa, con colpi di scena più o meno prevedibili e l'entrata in scena di sporadiche figure secondarie che cercano di risollevare la monotonia dell'assunto, richiamando però ad archetipi ben più riusciti. Dopo la prima mezzora infatti assistiamo ad una brutale lotta per la sopravvivenza dove Efron diventa magma catalizzante ed eruttivo, alpha e omega di un film che alla fin fine si regge esclusivamente sulle sue sempre più stanche gambe.
Che l'avidità riporti l'uomo ad uno stato primitivo non è certo una novità, ce lo insegnava d'altronde già Charlie Chaplin in un capolavoro non certo "estremo" quale La febbre dell'oro (1925), e il gioco si fa quindi risaputo, tra voltafaccia e violenze che scoppiano in faccia alla storia e a chi la abita, gesta incontrollabili che scavano nelle pieghe più amare dell'animo. Un parossismo che si rifà anche nelle scelte paesaggistiche, con questi enormi spazi aperti dove l'uomo diventa un puntino in mezzo al nulla, e che nelle migliori sequenze, complice la magnifica fotografia di Ross Giardina e il fascino selvaggio e quasi lunare degli spogli paesaggi, riporta alla mente le migliori suggestioni di frontiera, quasi di un western fordiano ribaltato dal freddo grigiore di un futuro dove nulla è andato come doveva andare.
Non è l'ultimo uomo sulla Terra di Matheson, ma poco ci manca in questo survival movie dove Zac Efron si trova a lottare in completa solitudine per gran parte del film, in una battaglia per la sopravvivenza senza mezze misure dove le estreme condizioni climatiche di un mondo allo sfascio giocano un ruolo fondamentale. In Gold, come già suggerisce il titolo, il vero protagonista è quell'oro che diventa colonna narrativa, miraggio concreto che segnerà inevitabilmente il destino dei personaggi coinvolti, abitanti di un futuro disilluso e contaminato dagli errori del passato. I suggestivi paesaggi e la grintosa performance di Efron sopperiscono almeno in parte ad un'evoluzione litanica, che si consuma progressivamente con lo scorrere dei minuti e che chiama a gran voce quel finale ampiamente prevedibile. Per un distopico godibile ma che rischia di cadere sotto il peso di ambizioni che degradano in un'elefantiaca messa in scena.