Recensione God's not dead

Kevin sorbo e Shane Harper si confrontano su uno dei più grandi dilemmi dell'esistenza, in un 'film cristiano' che parte da spunti interessanti ma si perde appresso alla sua evidente e discutibile parzialità.

Recensione God's not dead
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La vita è fatta di scelte. Una di quelle comuni a tutti gli esseri umani riguarda la possibilità di credere o meno in Dio o, quantomeno, ad un'entità superiore di qualche tipo. Credenti o atei? Sebbene la maggior parte delle persone, da sempre, sia in qualche modo religiosa, anche solo per tradizione, diverse forme di ateismo e agnosticisimo si fanno sempre più strada. God's not dead mette a confronto queste due visioni della vita, apparentemente antitetiche, raccontando la "sfida" accademica tra un professore di filosofia ferocemente ateo e una giovane matricola, Josh, fervente cristiano. L'acuto prof Radisson, difatti, al diniego del giovane di scrivere su un foglio le tre semplici parole "Dio è morto" lo invita a dimostrare in aula le prove empiriche dell'esistenza del Creatore, con i suoi colleghi di corso a giudicare la credibilità della sua esposizione. Chi la spunterà?

Roaring like a lion

Il filone dei cosiddetti "film cristiani" ha finora avuto poca presa nel nostro Paese, ma in America va alla grande: God's not dead è uno degli esempi più forti degli ultimi anni, con 64 milioni di dollari raccolti a fronte di una produzione da appena 2 milioncini. Contando che sì, è un film per famiglie, ma dal target molto preciso e settorializzato, quindi non esattamente un blockbuster. Il segreto del suo successo? Un buon cast e una morale consolatoria piuttosto spicciola in grado di gratificare il suo pubblico elettivo. Purtroppo, per quanto un'opera vada sempre giudicata in modo obiettivo e super partes, questo genere non si presta molto ad una esposizione "estesa" presso i suoi potenziali spettatori, schierandosi automaticamente da una delle due parti della barricata. Sappiamo già dove il film vorrà andare a parare prima ancora di entrare in sala: sarebbe chiaramente più interessante una visione "neutra" della questione -da sempre una delle più dibattute- ma dovendoci accontentare di questa voluta parzialità possiamo dunque solo andare avanti e giudicare il film da un punto di vista oggettivamente e puramente cinematografico. E purtroppo, in questo modo, la pellicola diretta da Harold Cronk ne esce con diverse ossa rotte, nonostante non sia del tutto da buttar via. Lo spunto è interessante, ma chiaramente la pretesa di esaurire un argomento millenario nell'arco di due ore è piuttosto risibile, calcolando poi che il vero dibattimento si svolge all'incirca solo per un terzo del film, costellato per il resto dai drammi personali e dai percorsi di fede di protagonisti e (numerosi) co-protagonisti e guest-star. Tecnicamente siamo a livelli televisivi, ma il buon utilizzo di musiche e canzoni e l'affiatato ed efficace cast (che vede protagonisti lo Shane Harper visto in tante produzioni per ragazzi nei panni di Josh e il mitico Kevin "Hercules" Sorbo in quelle del professor Radisson) rende il tutto piuttosto scorrevole, anche se raramente piacevole, inficiato com'è da personaggi tagliati con l'accetta e piuttosto insopportabili (volutamente o meno) per come vengono rappresentati.

God's not dead God's not dead è un film dal discreto ritmo, tempestato dalle belle canzoni di Shane Harper e dei Newsboys -che inoltre, indirettamente, tramite una loro nota canzone, danno il titolo al film, oltre a essere parte integrante della pellicola nella parte finale, ambientata ad un loro concerto- e dalle premesse interessanti. Purtroppo, però, il risultato finale, nonostante il sentito coinvolgimento degli interpreti, è mediocre, per via di una risoluzione dell'argomento di base piuttosto sempliciotta oltre che di parte, di personaggi che si rendono spesso odiosi, arroganti o supponenti (credenti o atei che siano) e di situazioni sinceramente assai pretestuose. Un progetto del genere parte già con dei limiti strutturali, e purtroppo gli eventuali meriti finiscono sommersi da molte perplessità, soprattutto per quanto riguarda il finale "a sorpresa" che ci è parso quasi eccessivo nella sua morale intrinseca. Se è vero, infatti, che spesso i credenti sono messi alla berlina da atei spesso più integralisti e discriminatori di tanti bigotti, questo non giustifica la demonizzazione della figura e delle scelte, al contrario, di atei e agnostici. Rimane, dunque, un'opera controversa e che può piacere solo a una ristretta cerchia di pubblico. In attesa del secondo capitolo, che arriverà negli USA ad aprile.

5

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