Recensione Gloria

Sul podio dei migliori film in competizione alla Berlinale 63 il film di Sebastián Lelio

Recensione Gloria
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Uno dei papabili all’Orso d’Oro 2013 era, assieme al rumeno Child’s Pose e al kazako Harmony Lessons, una piccola sorpresa molto gradevole da parte della cinematografia cilena. Come come? Da Santiago del Cile non vi viene in mente nulla? Le tradizioni sudamericane sono da sempre tra le più sottovalutate, ma l’espansione del cinema cileno a partire dagli anni Sessanta è storia, la crescita è continuata fin sotto il governo di Allende fino a una brusca interruzione col colpo di stato del generale Pinochet: arrestati molti registi, costretti altri - tra cui il famoso Alejando Amenabar ma anche Raul Ruiz - a fuggire, chiuse le scuole di cinema. Una storia tormentata durante la quale anche Luis Sepulveda si è messo dietro la macchina da presa. Del substrato di profonda consapevolezza cinematografica il Cile non si è mai dimenticato. Il navigato regista Sebastiàn Lelio è qua al suo decimo film (quinto lungometraggio). Si chiama Gloria ed è uno dei più apprezzabili film in concorso all’ultima Berlinale. I cinefili lo chiamerebbero affettuosamente “un gioiellino”, a voi vi basterà ridacchiare seguendo le avventure e disavventure dell’omonima protagonista e riflettendo su di lei come su se stessi.

NO LOVE NO GLORY

Gloria (Paulina Garcia) è una donna cilena di 58 anni, divorziata e presa dal tentativo di non abbassare la saracinesca sulla propria vita. Tutti i suoi figli hanno ormai lasciato casa, alle prese con le rispettive famiglie, e a Gloria non resta altro che cercare un nuovo compagno. Batte senza sosta le feste per single ultraquarantenni, generalmente portatrici solo di un vuoto abissale. Un giorno però il segno si rovescia: incontra Rodolfo (Sergio Hernandez), un simpatico ometto pacato. Sessantacinque anni, ex ufficiale di marina, sembra essere nella stessa condizione di Gloria: un divorzio alle spalle, due figlie che pensano solo a chiedere e mai a dare, tanta voglia di donare affetto inappagato. Da una semplice notte di lussuria comincia a crearsi una storia, ma anomalie e venature serpeggiano onnipresenti: se Rodolfo è strano, talvolta scompare e sembra nascondere qualcosa, Gloria ha anche da fare con vicini di casa particolarmente molesti e figli che sente sempre più distanti. C’è chi si sposa, chi si trasferisce in Svezia, c’è l’ex marito in agguato, ci sono gli alti e bassi a lavoro. C’è un micio ossuto e non particolarmente bello che finisce per infiltrarsi sempre in clandestinità in casa della donna, e ci metterà le radici. C’è hashish, tanto hashish che inebria le preoccupazioni e la tragica, spaventosa, isolata e desolata condizione di Gloria. Una sirena di allarme che campeggia sulla vita di tanti individui di mezz’età, divorziati o meno, timorosi di essere costretti a un’inevitabile conclusione di routine.

IL MONDO DI LELIO

Il regista Lelio ha scritto il film col collega Gonzalo Maza, sviluppando un mondo in cui nulla è gratuito ed ogni singolo elemento è lo specchio dell’isolamento di Gloria. Non tanto il monolocale, quanto soprattutto il micio scheletrico e rachitico, bruttino e solo, sempre in cerca di ospitalità in casa della donna: il parallelismo tra la protagonista e il felino è evidente e di gran classe. Ma è nel gioco di riflessi con la famiglia, con un amante ambiguo e contraddittorio, con l’uso smodato di alcolici e droghe leggere, fino alle folli serate in casinò e ai risvegli in spiaggia, che il film mostra il suo meglio. Il parco giochi gestito ora da Rodolfo diventa così la grande allegoria del mondo della solitudine attempata e apparentemente senza via di fuga, in cui tutto è grottesco, dove tanti giochi e attrazioni, ideale simbolo di divertimento, sono abbandonati a se stessi e al logorio del tempo. La grande morale di questo raffinato e gustoso film - che tra i suoi indubbi pregi fregia la costituzione commediale, a tratti addirittura comica ma sempre profonda, senza così stancare lo spettatore - è allora nell’omonima canzone, Gloria, che diventa risoluzione alle angosce e alle domande della protagonista. Forse.

Gloria Sul podio dei migliori film in competizione di Berlin 63, la protagonista Paulina Garcia ha vinto - a buona ragione - il premio come miglior attrice. Un film molto piacevole, con la capacità di raccontare tanto senza ricorrere a fiumi di immagini ridondanti, senza quella retorica esasperata da melodramma hollywoodiano. Ancora una volta, culture un po’ più lontane e che siamo meno abituati a vedere al cinema ci fanno da maestre.

8

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