Glass, la recensione: la psicanalisi dell'incredibile di M. Night Shyamalan

Il regista di Unbreakable e Split porta a conclusione il suo universo narrativo con una regia pregiata, lasciando però una nota doleceamara in bocca.

Glass, la recensione: la psicanalisi dell'incredibile di M. Night Shyamalan
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M. Night Shyamalan si è sempre dimostrato un autore affascinato dal "genere", capace di manipolarlo a suo piacimento per creare storie apparentemente semplici, persino superficiali, per poi ribaltarne completamente il senso e modificarne il contenuto. Lo fa da sempre, da Il Sesto Senso a The Village fino anche a Lady in the Water - nonostante diverse eccezioni per cui la formula del plot twist shyamalaniano non è bastata a scardinare il film dalla sua totale mediocrità. E la carriera del regista ne ha visti diversi, di film mediocri.
Per farlo, sono servite intuizioni ritenute brillanti ma rivelatesi poi fallate - soprattutto in ambito fantasy o sci-fi -, al contrario, al funzionare dell'intuizione e quindi del ribaltamento, diverse opere del regista hanno sprigionato una potenza creativa e narrativa decisamente importante. Merito non solo delle storie, ovviamente, perché Shyamalan si è sempre circondato di interpreti straordinari e ha spesso confezionato regie esaustive e ricercate, su tutte quella di Unbreakable - Il Predestinato: movimenti di macchina raffinati, tonalità fredde, grammatica narrativa interamente bilanciata sulla dualità del potere, positivo o negativo, e sugli opposti, che attraendosi sono poi costretti a respingersi. Anche quando la regia non bastava, in titoli come Split, l'autore ha saputo lavorare con la scrittura in modo superlativo, creando un personaggio sfaccettato e complesso come Kevin Wendell Crumb, facendolo evolvere sotto gli occhi del pubblico per poi connetterne la storia con quella di Unbreakable, formando di fatto, e dal nulla, un Universo Narrativo Cinematografico.
In Glass, adesso, le parti di questo Universo sono costrette a un confronto-scontro decisivo, che si rivela però diverso da quanto atteso: una vera e propria psicanalisi dell'incredibile che si muove con taglio netto tra action volutamente maldestro e thriller psicologico magistrale.

Il Sorvegliante, l'Orda e la Mente Suprema

Lo dice il titolo stesso: Glass è come una larga e spessa lastra di vetro temperato, sollecitata però dalla pesante eredità dei capitoli precedenti e dal gravoso e a volte insostenibile estro dell'autore. Nel film sembra che Shyamalan abbia voluto sbizzarrirsi nel suo meglio e anche nel suo peggio. Rispetto al primo, sviluppando un discorso narrativo e tematico volto all'approfondimento del soprannaturale inteso come super potere, riprendendo coerentemente il discorso iniziato con Unbreakable e poi continuato con Split, con un occhio all'evoluzionismo; rispetto al secondo, invece, liberandosi dei freni inibitori dal lato creativo e scrivendo, in sostanza, un film che tenta di stupire senza però riuscirci, eludendo intuizioni e contenuto per arrivare in qualche modo e obbligatoriamente a una conclusione definitiva.
Le parti in gioco sono tre, riunite tutte sotto le stesso tetto, che è poi quello di un ospedale psichiatrico. Il regista riprende le fila dal finale di Split, con l'Orda (James McAvoy) intenzionata a mostrare al mondo la Bestia - prossimo passo evolutivo dell'umanità - e con un David Dunn (Bruce Willis) invecchiato che mette al servizio degli innocenti i suoi poteri, agendo come un giustiziere della notte conosciuto con vari nomi - l'ultimo, il Sorvegliante.
I due vengono intercettati, messi fuori gioco e poi trasportati al Raven Hill Hospital dalla dottoressa Ellie Staple (Sarah Paulson), una psichiatra specializzata in una particolare forma di Delirio d'Onnipotenza: studia i casi che riguardano le persone che sono convinte di avere dei poteri soprannaturali, nello specifico di essere dei supereroi o dei super cattivi.
Oltre a Kevin Wendell Crumb e a David, nella struttura psichiatrica è tenuto sotto stretta sorveglianza anche Elijah Price (Samuel L. Jackson), Mr. Glass - che dà poi il titolo al film -, reso apparentemente catatonico dalle diverse somministrazioni di farmaci che dovrebbero tenere a bada la sua mente superiore.

L'inizio del film funge da perfetta introduzione al capitolo conclusivo della saga, mostrandosi già in partenza come un mix di toni, generi e sfumature dei due precedenti film: c'è la missione morale di David, contro i bulli e i criminali, e c'è poi quella dell'Orda, che vuole riportare nella Luce la Bestia, nutrendola. Il primo è alla ricerca della Bestia, mentre il secondo tenta di attuare il suo piano, che è poi mostrare al mondo la profonda forza di chi soffre, dei puri, esattamente come annunciato alla fine di Split.
I fini narrativi di Shyamalan non sono però quelli di un Heat in salsa supereroistica, con una caccia all'uomo serrata e uno scontro finale spettacolare, perché il regista è intenzionato a liberarsi dai canovacci che imprigionano il genere per darne una sua lettura, asettica e scientifica prima, morale e fantasiosa poi. Per questo prende la Mente Superiore, l'Orda e poi il Sorvegliante e li rende inermi pazienti da curare, tentando di convincerli di una verità che la dottoressa Staple considera assoluta: che medicina e raziocinio possono spiegare incontrovertibilmente i fattori scatenanti dei loro "deliri".

Il seme del dubbio

Il motore e cuore pulsante di Glass è proprio questo: il tentativo di dimostrare con motivazioni valide e attestazione dei fatti l'inesistenza del soprannaturale, l'impossibilità della presenza di assurdità come i supereroi nel mondo reale. È - come dicevamo - una vivida e folgorante psicanalisi dell'incredibile, inteso come impensabile, impossibile. Non si deve però guardare necessariamente a poteri energetici, trasformazioni inverosimili o a Dei immortali di pianeti lontani, perché per un uomo normale l'impossibile risiede anche in qualcuno capace di sollevare un peso superiore rispetto a chiunque altro. Per la gente comune, che vive e prolifera in un ambiente comune, che magari non conosce neanche sfumature di grigio ma giudica il mondo soltanto in bianco o in nero, impossibile è anche un Disturbo da Personalità Multipla.
Come la Staple con i tre pazienti, così Shyamalan in un gioco di inganni e furbizia insinua in noi il seme del dubbio: e se davvero non esistessero supereroi e super cattivi? E se avessimo assistito per 18 lunghi anni ai deliri psicotici di tre personaggi in realtà malati, non superiori?
L'artificio narrativo funziona e anzi, arriva addirittura a sorprendere nell'ormai conosciutissima sequenza della stanza rosa, che vede la Staple faccia a faccia con il Trio, forse il più grande scontro del film. Lì si intrecciano tutte le ambizioni di Shyamalan, tutta la sua conoscenza del mezzo cinematografico e la sua arte illusoria, riversandosi come un fiume di parole in piena sullo spettatore e anche su Kevin, David ed Elijah.
In quel preciso momento le certezze vengono meno e crolla sia per noi che per i personaggi quel solido muro di fiducia nelle proprie capacità, deduttive o soprannaturali che siano. Ci si arriva lentamente, senza rivelare troppo e procedendo per gradi, restando fortemente connessi ai personaggi, alla loro reclusione, ai loro pensieri. Parte importante della storia vede inoltre protagonisti i "cari" dei tre: Joseph Dunn (uno Spencer Treat Clarke in stile Oracle della DC), la madre di Elijah e Casey Cooke (Anya Taylor-Joy), legati ai Pazienti da amore o comprensione, le uniche persone a comprenderli e conoscerne i segreti. Se vogliamo, sono delle ancore morali: salvifici e oltremodo necessari.

Tutto sembra collidere in una direzione sagace, rilucente maestria, ma è proprio sul terzo e ultimo atto che la lastra di vetro temperato che è Glass si rompe, sotto la pressione della precisa e sempre più appesantita forza del dubbio, che va infine a inficiare la struttura stessa del film, incrinandola man mano che ci si avvicina al finale.
Quello che però risulta curioso è che l'atto conclusivo, quello decisivo per l'intera economia del progetto Universo Shyamalaniano, sia in realtà pensato e voluto esattamente così dall'autore. È qui che si tirano più o meno validamente le fila di tutto, ma è così che doveva essere. È qui che l'impossibile si rivela infine per ciò che veramente è - che ovviamente non vi anticiperemo -, chiudendo le porte all'infinità ridondante e spesso simile dei cinecomic, distanziandosi dai rilanci in stile Marvel o DC e aderendo invece alla "Dottrina della Vera Conclusione", almeno per quanto riguarda il destino di una storia, intesa come unica e irripetibile.

Shyamalan al suo massimo

È un film articolato e affascinante, Glass, che vuole imprimersi sin da subito nella mente del pubblico. C'è dentro uno Shyamalan al suo massimo, che significa con tutte le sue virtù e tutti i suoi difetti. Nei punti di ripresa, nella ricerca dell'inquadratura perfetta e nei movimenti di macchina, il regista torna ai fasti stilistici di Unbreakable: nella forma, Glass è un film ipnotico e molto raffinato, in particolar modo per quanto riguarda tutta la parte centrale al Raven Hill Hospital. Sfrutta una sintassi stilistica che fa di una fotografia glaciale e di uno studio intelligente delle caratteristiche di ambienti e personaggi il suo punto di forza, adattandosi a Kevin, a David o ad Elijah a seconda dei momenti. È come se mutasse pelle al mutare del focus.
L'interpretazione monumentale di James McAvoy è infatti stata valorizzata enormemente da una ritrovata vitalità artistica da parte di Shyamalan, che ha reso l'Orda di Kevin e le sue personalità forse la cosa più riuscita del film. Sì: anche meglio di Split, perché qui lo switch di McAvoy da una personalità all'altra è ampiamente ancorato a una struttura scenica immacolata, che sfrutta piani sequenza e punti focali per potenziare al meglio l'efficacia delle trasformazioni, che devono comunque tanto all'istrionica performance incisiva dell'attore, mai così bravo.
Anche Bruce Willis e Samuel L. Jackson tornano nei panni di Dunn e di Mr. Glass con credibilità e voglia di approfondire i loro personaggi, ma è l'uso che ne fa Shyamalan a non convincere del tutto rispetto a quello di Kevin.

Tutto sembra raggiungere il suo limite nel terzo atto di cui sopra, dove il regista sceglie di chiudere ogni spiraglio di futuro per arrivare a uno showdown in realtà molto particolare, dove l'azione non è confezionata con la stessa cura riposta fin lì per il resto del film. Forse perché l'azione non è il suo credo, nel genere; forse perché, anche nell'azione, non bisogna esagerare per mostrare qualcosa di impossibile.
Quale che sia la verità o quali che siano le intenzioni dell'autore, allo scorrere dei titoli di coda si avverte una sensazione di mancanza. A non tornare sono determinate scelte del regista, alcune sue decisioni per concludere una storia di buoni e cattivi che è in realtà sempre stata una storia d'origini.
E mentre si esce dalla sala, convinti come non mai dell'inesistenza di una scena post-credit, Glass comincia lentamente a infiltrarsi nella coscienza critica, intaccandola.
Non abbiamo assistito a uno spettacolo dedicato ai supereroi, ma a una terapia collettiva con un unico scopo: tirare fuori il potenziale nascosto di ognuno di noi.

Glass Glass non è la conclusione che ci aspettavamo. Con questo terzo capitolo del suo Universo Narrativo, M. Night Shyamalan si libera definitivamente di tutti i canovacci del genere supereroistico e punta a una rilettura ambiziosa e intrigante del soprannaturale inteso come super potere, muovendosi con alcuni dubbi tra thriller psicologico e maldestro action di serie B. È un film sfaccettato e prepotentemente identitario, che accetta di essere diverso e funzionale alle intenzioni dell'autore, a prescindere che vengano poi lette in modo corretto o sbagliato. Rifiuta il compromesso e, facendolo, riesce sia a sorprendere nella forma - curata da uno Shyamalan in stato di grazia - che a deludere per quanto riguarda parte del contenuto. Un titolo quando vuole formidabile, che sa incatenare alla poltrona e instillare il germe del dubbio nello spettatore, ma che sa anche essere punitivo verso le aspettative dei fan, che si ritroveranno per la maggior parte divisi sulla riuscita di film. Resta folgorante per alcune intuizioni e opinabile in diverse scelte e forse non riesce a chiudere bene la crasi tra Unbreakable e Split, ma Glass è un'opera intrigante e raffinata, assolutamente da vedere.

7

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