Recensione Fuori dal coro

Siciliano trovatosi a lavorare come cuoco negli Stati Uniti in un noto ristorante tra i cui proprietari vi era Robert De Niro, Sergio Misuraca fonde commedia e pulp nel suo primo lungometraggio da regista.

Recensione Fuori dal coro
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Bisogna dire che la strada effettuata da Sergio Misuraca per arrivare dietro la macchina da presa non rientra certo tra le più comuni.
Approdato a ventuno anni negli Stati Uniti, nel 1994, e trasferitosi a Los Angeles per inseguire il sogno di entrare nel mondo del cinema, si trovò a lavorare in diversi ristoranti, tra i quali Ago, di proprietà dei giganti di Hollywood e in mezzo ai cui soci vi era anche Robert De Niro.
Il Robert De Niro che pare amasse particolarmente gli spaghetti aglio e olio che gli cucinava e che lo deliziava con i suoi racconti riguardanti i suoi viaggi in Italia per prendere parte alle riprese de Il padrino parte II e Novecento; fino al giorno in cui, mentre Misuraca non era presente al ristorante, un controllo dei funzionari dell'immigrazione scovò i suoi documenti falsi fornitigli da amici messicani per poter vivere e lavorare su suolo americano, costringendolo a tornare in Sicilia, ventiquattrenne, con il pensiero di quel copione che avrebbe voluto scrivere e proporre al mitico protagonista di Taxi driver e Quei bravi ragazzi.
Copione che, comunque, scrive quando non è impegnato con il ristorante messicano aperto una volta tornato in patria e che, appunto, gli consente di accumulare i mezzi economici per poter concretizzare Fuori dal coro, mix di commedia e pulp i cui dichiarati punti di riferimento sono Martin Scorsese, Guy Ritchie e Quentin Tarantino, ma anche La capagira di Alessandro Piva.

Quei due bravi ragazzi

Mix di commedia e pulp che, però, non dimentica neppure di omaggiare il Maurizio Merli del poliziottesco che fu attraverso la locandina di Un poliziotto scomodo affissa su una parete, poco dopo l'apertura sulle note dell'Osanna e man mano che ci porta a conoscenza dei due giovani disoccupati siciliani Nicola e Dario, ovvero Alessio Barone e Dario Raimondi, propensi a trascorrere le giornate tra spinelli, giri in motorino e arte di arrangiarsi.
Almeno prima che il secondo, in cambio di una promessa di "segnalazione" per un posto di lavoro, decida di consegnare a Roma, come favore ad un influente personaggio del paese, una busta contenente dei documenti che fa nascondere dentro al sedile della sua automobile dall'amico, abile tappezziere.
Segnando soltanto l'inizio di una pericolosa avventura che non va come erano stati prestabiliti i piani e che, con l'entrata in scena del poco raccomandabile slavo Pancev alias Ivan"La buca"Franek, destinatario della consegna, spinge Dario a scappare in Sicilia affiancato dallo zio Tony che non vedeva da molti anni, il quale, incarnato da Alessandro"Baarìa"Schiavo, doveva fare da tramite nell'"affare".
Pericolosa avventura non priva di morti e neanche di un Pancev con motosega alla mano che cita in maniera evidente Scarface di Brian De Palma; sfoggiando non disprezzabili prove da parte del cast e una confezione tecnica piuttosto lodevole.
Peccato, però, che, sebbene la oltre ora e mezza di visione riesca anche nell'impresa di strappare qualche risata, l'iniziale impressione di assistere ad un poliziesco "leggero" alla Tomas Milian/Monnezza si trasformi presto in quella di trovarci dinanzi ad uno di quei mafia movie appartenenti alla fetta meno nota e riuscita della celluloide di genere degli anni Settanta.
Complici, soprattutto, una sceneggiatura - a firma dello stesso regista - un po' troppo ingarbugliata e una fiacchezza generale tendente a rendere il tutto, forse, più adatto al piccolo che al grande schermo.

Fuori dal coro Cuoco con alle spalle un’esperienza in un ristorante americano tra i cui proprietari vi era il premio Oscar Robert De Niro, il siciliano Sergio Misuraca costruisce in Fuori dal coro un mix di pellicola malavitosa e commedia. Gli attori funzionano piuttosto bene e la qualità tecnica risulta decisamente superiore rispetto a quella che caratterizza molte altre opere prime tricolori concepite senza appoggi da parte delle major... purtroppo, però, lo script tende non poco a confondere ed il fiacco ritmo narrativo non si distacca più di tanto dai tempi di una fiction televisiva.

5.5

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