Recensione Fratelli d'Italia

Tre adolescenti di origine straniera alle prese con i problemi e le difficoltà dell'integrarsi.

Recensione Fratelli d'Italia
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Ostia. Tre ragazzi alle prese con le tipiche problematiche adolescenziali: il difficile rapporto con la propria famiglia, le difficoltà d'inserimento nell'ambiente scolastico, le relazioni precarie con i propri coetanei. Eppure i protagonisti di Fratelli d'Italia non sono proprio dei ragazzi normali. Hanno uno stesso, seppur diversissimo, passato che gli accomuna e li segna inevitabilmente: sono immigrati.

Tre ragazzi, una storia

Alin Delbaci è un rumeno di 17 anni. Vive in Italia da circa quattro anni, ma ha ancora qualche problema ad integrarsi con i suoi compagni di scuola. Tra di loro non comunicano e spesso i rapporti si limitano ad atti di bullismo e reazioni violente. Ma mentre genitori ed insegnanti cercano un modo per risolvere il problema, il ragazzo continua ad addossare le colpe di tutto al suo essere rumeno e, per questo, diverso dagli altri.
Masha Carbonetti ha 18 anni e fin da piccola è stata adottata da una famiglia italiana. Si ricorda molto poco dei suoi genitori: il padre è in carcere e la madre era una donna molto violenta. Pur essendo nata in Bielorussia, lei si sente perfettamente integrata in Italia ma, quando riceve notizie dal fratello rimasto in patria, il suo mondo comincia a vacillare. La voglia di incontrarlo è tanta, ma Masha ha anche tanta paura di avventurarsi da sola in una terra così pericolosa.
Nader Sarhan è un immigrato di seconda generazione. È nato in Italia e cresciuto con le stesse abitudini e gli stessi desideri dei suoi coetanei. A 16 anni ha voglia di vivere la propria vita senza le restrizioni che la religione mussulmana invece gli impone. Come quella di non poter frequentare la propria ragazza, motivo di litigi all'interno della tradizionalista famiglia egiziana.

L'illusione multiculturale

Claudio Giovannesi, giovane regista romano divisosi negli anni tra cinema e televisione, decide di portare il documentario ad una nuova dimensione, quella del lungometraggio cinematografico, territorio poco esplorato dal mercato italiano del racconto del vero. Tutto comincia con Welcome Bucarest, produzione del 2007 nata con la collaborazione con l'Istituto Tecnico Commerciale "Paolo Toscanelli" di Ostia, dove circa il 30% degli studenti non è di origine italiana. "Considero fondamentale ed emozionante ogni forma di melting pot: il crogiolo, l'amalgama, all'interno di una società di esseri umani, delle etnie, delle culture e delle religioni." Queste le motivazioni che hanno portato il regista ad avvicinarsi a questo habitat così caratteristico e forse nemmeno tanto anomalo. L'immigrazione è ormai parte della nostra cultura, che ogni giorno combatte per divenire equamente multirazziale pur mantenendo salde le proprie radici. Eppure si tratta, inevitabilmente, di un equilibrio precario tra identità multietnica ed orgoglio nazionale, in cui si inseriscono le storie di questi tre ragazzi, come a fornirci un ulteriore punto di vista mai esplorata fino ad ora.
La macchina da presa si insinua dentro le vite di Alin, Masha e Nader in modo invasivo ma mai prepotente, spiandoli nei loro momenti più commoventi, spalleggiandoli durante le discussioni più difficili, accompagnandoli in un viaggio la cui meta non è stata ancora decisa. Si tratta di tre storie completamente diverse per origine e sviluppo, separate tra loro da un netto titolo di presentazione. Non c'è fusione tra i tre protagonisti e Giovannesi non vuole che ci sia, proprio per sottolineare quanto da uno stesso punto di partenza di possano raggiungere destinazioni differenti. Alin è circondato da persone che vogliono amalgamarlo nel loro gruppo, eppure scappa disinteressato. Quelli non sono i suoi amici, non è il suo popolo, non hanno le sue stesse abitudini. Se ufficialmente si lamenta che la gente lo tratta in maniera diversa a causa della sua origine, quando il momento si fa più intimo emerge una sottile voglia di non appartenenza, di rigetto verso tutto quello che lo circonda di non rumeno. Agli antipodi è invece la situazione di Masha, adottata da piccola da una famiglia italiana e cresciuta lontano dal suo paese, tanto da averne quasi paura. Non rinnega le sue origini ma non distacca neanche dal suo presente, da quella che ormai è e sarà la sua vita. Trascinata in Bielorussia dalla voglia di rivedere un fratello che credeva ormai perso e verso il quale si sente in colpa, vive questa scelta con una affascinante miscela di emozione e timore. Se a loro due aggiungiamo la tenacia combattiva di Nader che per difendere il proprio sentimento adolescenziale nei confronti di una ragazza italiana è disposto ad andare contro la sua intera famiglia, il quadro di Fratelli d'Italia è completo. Una fotografia della situazione che forse non ci saremmo mai aspettati, socialmente attraente e che crea innumerevoli spunti di riflessione. Sicuramente un esperimento interessante che, seppur non è destinato ad un eclatante successo di botteghino, è pronto a fare il giro delle scuole e degli ambienti più sensibili al tema, cercando di infrangere l'illusione multiculturale nella quale viviamo.

Fratelli d'Italia Fratelli d'Italia è un documentario sull'Italia, sull'immigrazione, sull'integrazione sociale. Ma nonostante ciò tutto quello che giunge allo spettatore sono le storie di tre adolescenti, le loro emozioni, la difficoltà delle loro scelte: sentimenti che sono uguali in qualsiasi paese tu sia nato. Dilemmi e problematiche che, se da un lato scandiscono il ritmo della narrazione, rimangono irrisolte fino ai titoli di coda che, lampanti, ci riportano all'inevitabile realtà.

6.5

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