Recensione Follia

Un'ossessione senza fine

Recensione Follia
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Un'ossessione senza fine

Il cinema e la follia: un connubio da sempre affascinante, che ha saputo regalarci grandi perle di celluloide. Un tema molto caro al pubblico, poichè indagare all'interno della mente umana è da sempre croce e delizia dell'essere Uomo. La curiosità, perversa, di scoprire come certi individui possano subire una deviazione tanto aberrante da comprometterne la salute mentale. Da semplici raptus, a vere e proprie malattie, la Settima Arte ha mostrato tutti e più i diversi volti dell'instabilità psichica. Quindi è più che normale un leggero senso di déjà-vu quando ci si trova davanti a prodotti dalle tematiche in questione. Attenzione però, a sottovalutare questo Follia. Infatti il film diretto da David Mackenzie è tratto dal libro omonimo di Patrick McGrath, profondo conoscitore dell'argomento, dato che suo padre era psichiatra presso un manicomio criminale. Per narrare questa storia dal sapore torbido il regista (già autore del controverso Young Adam) si affida a un trio di attori eccellenti : Natasha Richardson, Ian McKellen (qualcuno ha detto Gandalf?) e Marton Csokas (Il Signore degli Anelli, Le Crociate). Di meglio, francamente, era difficile chiedere...

Amore impossibile

Stella Raphael (la Richardson) non avrebbe mai immaginato il suo futuro quando arrivò col marito, psichiatra, al manicomio diretto dal dottor Clave (Mc Kellen). I rapporti col compagno erano logori, tenuti insieme soltanto dalla presenza del loro figlio piccolo. E il trasferimento non sarebbe certo stato di giovamento... Un'ambientazione difficile, in una società elitaria, dove i medici e le loro famiglie vivono nel lusso e nel bigottismo, indifferenti ai malati immobili nella loro pazzia. Unico personaggio che pare interessato alla loro ripresa, seppur nella sua ambiguità, è proprio il quello interpretato da McKellen. E sarà proprio uno dei suoi pazienti a mettere a rischio la credibilità dell'intero complesso. Edgar Stark, uxoricida, guarito solo apparentemente dai suoi problemi, finirà con l'innamorarsi, ricambiato, proprio di Stella, dando vita a una relazione clandestina che provocherà più di un colpo di scena, a cominciare da una fuga d'amore senza scampo. E i doppiogiochi si muoveranno, in un filo contorto che darà vita a un tragico finale.

Il fascino del male

Non è la prima volta che ci si trova davanti ad una storia nata in mezzo al tormento: da una parte causato dalla prigione, anche sessuale, di un recluso o detenuto;dall'altra dalla voglia di trasgredire, di uscire da un'altra prigione, quella della borghesia, della normalità, composta da così ferree regole da essere ancora più difficile da sostenere. Ma se in alcuni casi i rapporti finiscono per essere platonici (basti pensare a L'Amore che non Muore di Leconte), in altri spinti dagli eventi (l'ottimo Kalifornia con Brad Pitt per fare un esempio) , qui tutto si muove proprio intorno al fascino di operare una frattura estrema con le proprie convinzioni, di liberarsi finalmente dalle catene di una vita infelice. E se neanche l'amore per il figlio riesce a dissuadere la protagonista dal suo obiettivo, vuol dire che la follia è più forte di ogni concezione sensata. E' una sorta di trasformazione, quando si viene a contatto con persone affetta da tali sindrome, un'ossessione senza fine. Se in questo caso non si può parlare del vampirismo psichico di Bergmaniana memoria, quello del capolavoro onirico e visionario che è Persona, è solo per un vizio di forma. Esemplare la scena verso l'inizio del film, con un'inquadratura che mostra contemporaneamente due corridoi, uno che conduce alle stanze dei reclusi, l'altro verso i luoghi di ritrovo e divertimento dei dipendenti e delle loro mogli. Una sorta di via cerebrale, che separa la malattia dalla presunta normalità. Non manca la tensione in questo film, sempre ben dosata senza mai eccedere, e anche se in qualche punto finisce per apparire un po' prevedibile, riesce a sostenere una curiosità morbosa per tutta la sua durata. Un amore che è un'ossessione, non composto da sentimenti ma solo da mancanze, perchè l'uomo ha bisogno di cibarsi di emozioni, non importa quanto malsane siano. Accade però un fatto assai strano: di solito, in questo tipo di storie, è facile parteggiare per lo schieramento più debole, quello che viene soggiogato a forza di cure mentali o sevizie. Forse qui non accade perchè, seppur glaciali nei loro metodi, i dottori appaiono più umani degli stessi fuggiaschi, per i quali anzi si prova più un sentimento di rabbia che di pena, trovando difficile lasciare spazio alla compassione. Si rimane insomma indifferenti, senza tifare per nessuna delle due parti in causa. Sicuramente un pregio questo, che, senza il peso e la bravura dei tre attori, non avrebbe forse avuto luogo: sono soprattutto loro il vero valore aggiunto del film, capaci di delineare psicologie complesse, in grado ognuna di nascondere segreti. Incalzante, coinvolgente, ha tutte le carte in regola per appassionare il pubblico.
La regia è più che buona, con qualche colpo di genio, ed è accompagnata da un cast tecnico di tutto rispetto: dai costumi (il film è ambientato nel 1959) alle musiche, mai invadenti ma necessarie allo scopo, fino a una scenografia che mette bene in risalto il contrasto tra detenuti e carcerieri. Molto bella la scena del ballo annuale, dove tutti gli abitanti dell'istituto, senza distinzione di limiti mentali, si ritrovano insieme: fondamentale per i risvolti drammatici della pellicola. Follia è sicuramente un ottimo prodotto, e si conferma tra i thriller migliori della stagione (impresa non difficile, a dire il vero...) e fa domandare il perchè della sua uscita in Italia a ben due anni dalla sua realizzazione. Meglio tardi che mai...

Follia Un viaggio nella mente umana. Un esempio di come la follia sia sempre in agguato, in attesa di solo una piccola scintilla per esplodere in tutta la sua violenza. Irrazionalità e dolore si mescolano in questo thriller drammatico di ottima fattura, che ci mostra come ci siano due tipi di prigioni, quella vera e propria e un'altra, sociale. Non si tifa per nessuno, e questo è un bene. Troppo facile appoggiarsi agli standard canonici del genere. Qui niente bianchi, solo grigi scuri e neri. Nessuno ha la coscienza tranquilla, e la regia lo mette in evidenza con delle scelte azzeccate. Un prodotto che forse non farà "impazzire", ma che senza dubbio risulterà interessante.

7

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