Fino all'inferno, la recensione: sangue, azione e anni '80

Roberto D'Antona torna in una folle corsa contro il tempo a capo di una banda di rapinatori fra thriller, horror e grottesca ironia.

Fino all'inferno, la recensione: sangue, azione e anni '80
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Per comprendere al meglio il cinema di Roberto D'Antona occorre avere ben presente il quadro completo della sua intera filmografia, conoscere le sue origini da divoratore di film d'azione e horror.
Cinefilo prima che addetto ai lavori, D'Antona ha sempre cercato di creare pellicole di genere che facessero tornare alla mente degli spettatori gli action americani più classici, gli horror passati in TV, b-movie o cult indimenticabili che fossero, con i quali sono cresciuti.
Per fruire appieno delle sue opere occorre lasciarsi andare al ricordo di ciò che ci ha fatto innamorare della settima arte da piccoli, ai primi brividi lungo la schiena nel buio della sala, all'azione più sfrenata. Molto prima dell'analisi dell'estetica, delle inquadrature, della regia.
Intrattenimento. Puro intrattenimento. Questo l'obiettivo cardine di Roberto D'Antona, che gli ha permesso di affermarsi sia come regista che come attore, soprattutto all'estero, dove spesso determinato cinema italiano riscuote un'attenzione maggiore rispetto ai nostri confini.
Lo stesso D'Antona ha rimarcato in passato, nel corso di varie interviste, quanta attenzione il mercato straniero abbia posto nei confronti di pellicole indipendenti nostrane, spesso senza distribuzione nel Belpaese.

Da Dylan Dog all'inferno

Il giovane autore pugliese inizia presto la sua gavetta. Fino all'inferno è solo l'ultimo capitolo di una lunga serie di produzioni che spaziano dal web al cortometraggio, dalla serialità al cinema su grande schermo.
L'amore per la cultura pop di Roberto D'Antona si sviluppa attraverso la sua prima regia, nel 2012, del fan-film Dylan Dog: Il Trillo del Diavolo, che si aggiudica il premio al Cartoomics: Fan Film Festival 2013. L'inizio di una carriera prolifica che, negli anni, ha saputo adattarsi a ogni tipo di mezzo di comunicazione, riuscendo a mantenere gli stilemi di un cinema in grado di mixare sapientemente la violenza action con l'ironia grottesca dell'horror.
Queste caratteristiche tornano ciclicamente in ogni lavoro di Roberto D'Antona, nella serie The Reaping come nell'ultimo lavoro, The Wicked Gift, sua opera prima per il cinema.
Il buon riscontro ottenuto, grazie anche al supporto distributivo di Movie Planet, ha permesso a Roberto D'Antona di gettarsi su un nuovo progetto. È nato così Fino all'inferno, dalla cultura pop-cinefila del suo autore e dall'audacia del reinventare qualcosa di "già visto", ma in modo vincente, rifacendosi al ritmo e all'azione anni '80 e '90.

Ritmo, eccessi e violenza

Sin dalle sue prime sequenze, Fino all'inferno si dimostra un film che fa del ritmo, dell'eccesso e della violenza tre cardini imprescindibili per sviluppare la propria identità. Il totale di un camper bianco isolato in campagna, tre uomini che trasportano a mano un cadavere e la narrazione che fa un "passo indietro" fino al principio.
Tre personaggi, che s'imbattono in una donna e il suo taciturno figlio, iniziano una corsa contro il tempo, una fuga che avrà risvolti sempre più crudi e inaspettati. Intrattenimento, dicevamo, e senza dubbio l'opera di Roberto D'Antona mantiene fede agli obiettivi che l'autore si era prefissato.
Un concentrato di adrenalina e sparatorie che ricordano, anche nelle diverse citazioni presenti (e tutte da scovare), decine di thriller che hanno imperversato a cavallo fra gli anni '80 e gli anni '90, sia nelle sfumature che nello stile utilizzato per comporre le varie scene.
E se il gioco alla lunga tira un po' troppo la corda, D'Antona dimostra di saper condurre saldamente fino in fondo (fino all'inferno...) la banda composta da Rusty (Roberto D'Antona), il fraterno Anthony (Francesco Emulo) e il cugino Dario (Alessandro Carnevale Pellino).

Overacting, horror e ironia

Uno dei pregi di Fino all'inferno è la destrezza nel dosare - quasi sempre in maniera funzionale - i diversi registri narrativi e gli elementi solitamente basilari nelle pellicole di genere.
Dall'inizio alla fine la recitazione, seppur in qualche caso altalenante e non pienamente convincente, è costantemente portata all'overacting, in taluni casi palesemente forzato ma adeguato alla situazione. Un'ironia di fondo che non muore nemmeno quando la trama vira su tematiche fra l'horror e la spy story. Convincenti in particolare le sequenze più oscure e sanguinolente.

D'Antona e il suo team dimostrano di saperci fare anche nella creazione di atmosfere suggestive e ricche d'intensità, riuscendo a regalare diverse scene che spiccano nettamente sull'intero contesto generale.
Seppur grezzo in alcune svolte narrative, Fino all'inferno diverte, appassiona e lascia con il fiato sospeso lo spettatore in più di un momento, dimostrando che con coraggio e competenza è possibile creare del cinema d'intrattenimento di buon livello senza peccare di presunzione.

Fino all'inferno Fino all'inferno s'impone come una buona pellicola d'intrattenimento, capace di mescolare più generi e affrontando, seppur in maniera spesso solo abbozzata, diverse e interessanti tematiche senza dimenticare il fine ultimo del cinema di Roberto D'Antona: intrattenere. Sotto quest'aspetto il film riesce a non deludere quasi mai lungo tutta la sua durata.

6

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