Finché c'è prosecco c'è speranza, recensione del film su Amazon Prime Video

Antonio Padovan esordisce sul grande schermo con un giallo ambientato nelle campagne venete, sospeso tra toni leggeri e sussulti mystery.

Finché c'è prosecco c'è speranza, recensione del film su Amazon Prime Video
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In un paesino della campagna veneta, famoso per la produzione di vino, il conte Desiderio Ancillotto, proprietario di una delle più rinomate vigne della zona, decide di togliersi la vita. Il suicidio, avvenuto nel cimitero locale, è stato causato da un overdose di farmaci e il caso sembrerebbe apparentemente già chiuso e risolto.
L'ispettore Stucky, da poco promosso, pensa di concludere facilmente le indagini ma la tranquillità locale viene scossa da un'altra morte misteriosa: la vittima, questa volta di omicidio, è una delle personalità più influenti della comunità e aveva un pessimo rapporto proprio con Ancillotto.
Stucky comprende come i due decessi siano in realtà strettamente collegati e nel procedere delle indagini rischia di svelare un complotto riguardante un cementificio che da anni inquina l'aria e le acque del circondario.

A piccoli passi

Lo attendiamo al varco con Il grande passo (2019), in uscita nei prossimi giorni nelle sale, per capire se in grado di ampliare le potenzialità intraviste nella sua opera prima, ossia il qui oggetto di recensione Finché c'è prosecco c'è speranza.
Il veneziano Antonio Padovan, classe 1985, ha esordito tre anni fa con questo lungometraggio - adattamento dell'omonimo romanzo di Fulvio Ervas - e ha cercato nelle intenzioni di variare dalle dinamiche solitamente tipiche dell'asfittico panorama nostrano.
Ci troviamo infatti di fronte a un'indagine poliziesca ben lontana - almeno a livello di situazioni - dagli stereotipi ai quali ci ha abituato il piccolo schermo tricolore, capace di muoversi con una certa disinvoltura su toni leggeri più affini alla black comedy e influenze mystery che riescono a rendere appassionante l'intreccio fino all'effettiva risoluzione del caso.

Il bere vince sempre contro il male

Disponibile nel catalogo di Amazon Prime Video, Finché c'è prosecco c'è speranza non è certamente un lavoro perfetto e diverse ingenuità ancora permangono, soprattutto in fase narrativa nella trasposizione dalla carta all'immagine.
Alcune forzature appaiono evidenti e le stesse battute vanno a segno a corrente alternata, ma il quadro generale può dirsi discretamente costruito e abbastanza solido da non sfaldarsi su se stesso, pur pagando a livello estetico e di messa in scena certe similitudini proprio con le succitate produzioni destinate alla tv.
L'ambientazione paesana è in grado di dar vita a un paio di folkloristiche figure secondarie e di generare un'atmosfera placida e inquieta al contempo, con Padovan che mette a frutto la lunga esperienza maturata nei corti di inizio carriera per calibrare l'equilibrio di modi e tempi, citando quando necessario e lasciando emergere una buona personalità in altre occasioni.
Merito anche alle scelte di casting, con le facce giuste al posto giusto sia per i ruoli principali che per quelli comprimari e con Giuseppe Battiston a proprio agio nei panni di un ispettore inizialmente impacciato ma pronto a trovare un'inedita risolutezza nello scorrere degli eventi.

Finché c'è prosecco c'è speranza Il basso budget e alcune ingenuità di fondo, a ogni modo perdonabili in un'opera prima, non inficiano la gradevolezza di un'operazione semplice e senza troppe pretese che cerca di aggiornare il giallo nostrano, tra inclinazioni mystery e il più scontato ricorso ad atmosfere comiche e leggere. Finché c'è prosecco c'è speranza vede il protagonista - interpretato da un convincente Giuseppe Battiston - alle prese con le indagini sul suicidio di un noto produttore di vini, morte alla quale seguiranno altri delitti pronti a svelare una verità ben più losca e inaspettata. I novanta minuti di visione, pur al netto di alcune soluzioni parzialmente prevedibili e di un'estetica più affine al piccolo schermo, riescono a mantenere discretamente alto l'interesse fino al giungere dei titoli di coda, per un film che proprio nella sua praticità di fruizione trova l'effettiva chiave di lettura.

6

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